Speciale Michael Giacchino a Torino

Gli Incredibili di Feletto: la visita torinese di Michael Giacchino vista dagli occhi di un appassionato.


Lasciate che vi racconti una storia affascinante e curiosa, un racconto al tempo stesso improbabile e vero. È una storia che riguarda un gruppo di persone, quelli che per qualche ora, una sera, hanno condiviso istanti magnifici e indimenticabili. Come tutte le storie corali, anche questa deve avere, tra molti, i suoi protagonisti. Si prestano a questo ruolo due soggetti in particolare, due quarantenni in apparenza “ordinari”, con esistenze e stili di vita quotidiani che non potrebbero essere, tra loro, più lontani e diversi.Non fosse altro che per i luoghi dove vivono, collocati ai lati opposti del pianeta.Per una magica sera, quasi si fosse precipitati nell’improbabile ed edificante finale di una vecchia pellicola di Frank Capra, l’impossibile è accaduto, e i loro percorsi si sono incrociati. Un momento quasi surreale, quando la quotidianità supera la fantasia, e sfiora l’incredibile. I talenti si sono sommati, caratteri singolari, ciascuno, a modo suo, eccezionale, sono entrati in sintonia. Complice un ineffabile gioco del destino, un’occasione di incontro voluta dal caso, la mescolanza di alchimie irripetibili. E la musica. La buona musica, naturalmente.

Uno dei due personaggi “chiave” della storia si chiama Bruno Lampa. Un giovane maestro di musica che vive a Feletto Canavese, poche case raggruppate nelle pianure a nord di Torino, subito prima che il terreno si sollevi nei contrafforti prealpini. Una comunità di qualche centinaio di famiglie, dove Bruno insegna. Lui coltiva fin da giovanissimo una vibrante passione per la musica, qualcosa di radicato nel suo codice genetico o, se preferite, nel profondo della sua anima. Dopo anni di studio e sacrificio, diventa maestro di trombone, e ben presto sale sul podio della formazione bandistica del suo paese, la Filarmonica Felettese, che vanta una tradizione antica. Bruno, che ha subìto il fascino della musica per film, è un profondo conoscitore dell’ignorato universo delle colonne sonore, partiture che quasi tutte le orchestre italiane disprezzano e si ostinano a non introdurre nei loro programmi. Invece il nostro direttore di Feletto è lungimirante, propone alla sua disciplinata squadra le inascoltate suite tratte da film famosi, a partire dai lavori del suo compositore prediletto, l’impareggiabile John Williams. Sono pezzi difficili, ma con esercizio e dedizione i musici di Feletto diventano davvero bravi nelle esecuzioni. I risultati sono eccellenti. L’orchestra miete applausi nel circondario e il dinamismo coinvolgente e moderno di questi brani attira l’attenzione di molti giovanissimi, che scoprono con divertimento il piacere dell’esecuzione, si applicano con dedizione ai loro strumenti, chiedono ogni anno di aggiungersi alla filarmonica, divenuta ora una delle più giovani della zona.
L’altro protagonista della vicenda vive su quello che, per noi, comuni mortali, può sembrare un altro pianeta. La sua casa e la sua famiglia sono a Hollywood, California. Terra di sole, sogno e cinema, dove il nostro eroe, con sacrificio, bravura e dedizione, e molto, molto talento, si è arrampicato al culmine di una carriera tanto rapida, quanto ammirevole. Si chiama Michael Giacchino e di certo qui tra noi non richiede lunghe presentazioni, se non per dire che nel giro di una decina di anni Michael è entrato a pieno titolo tra i compositori più richiesti, pagati ed apprezzati di Hollywood. Ha vinto una nomination all’Oscar con le sue musiche per Ratatouille, nel 2009 ha inanellato un filotto di successi invidiabili: il podio dell’orchestra durante la Notte degli Oscar, le musiche della quinta stagione di Lost, un posto d’onore nell’epopea di Star Trek e, non ultima, la commovente e vibrante musica di Up, ennesimo capolavoro Pixar, nuova promessa per l’Oscar.

Giacchino a Torino

Il 5 novembre 2009 Giacchino si è teletrasportato in Italia, il paese dalle cui coste, molti decenni fa, erano salpati i suoi nonni emigranti, originari di Abruzzo e Sicilia. Nel nostro paese Michael ha ottenuto l’ambita cittadinanza e un passaporto nuovo di zecca, che gli permetterà di andare e venire dall’Europa senza troppe pastoie burocratiche. Il compositore è stato invitato a Torino, per essere ospite d’onore nella manifestazione VIEW Conference, un appuntamento per gli appassionati del futuro digitale del cinema e dei videogames. Nelle sue giornate piemontesi si prevedeva di farlo esibire in un concerto delle sue appassionanti musiche, ma le orchestre disponibili sono risultate tutte troppo onerose, decisamente fuori budget per i pur volenterosi organizzatori dell’iniziativa. Nulla da fare, insomma, nonostante le buone intenzioni. Ci si è detti: godiamoci Giacchino in carne ed ossa, e pazienza per la sua musica dal vivo. Questo sarebbe accaduto, se l’amico felettese, il vulcanico Bruno, non avesse nel frattempo telefonato per informarsi. Ha letto sul forum di Colonne Sonore dell’arrivo di Giacchino, uno dei suoi autori prediletti, quello che più di tutti promette di afferrare il testimone dai grandi anziani ormai al tramonto. Quando parla con lo staff di VIEW Conference, li scopre privi di un’orchestra per dar voce alle creazioni del maestro d’oltreoceano. Bruno vince l’esitazione, e offre spavaldo i servigi della sua formazione filarmonica, poco conta se tra i suoi musici nessuno suona strumenti ad arco. All’organizzazione non sembra vero. La scintilla è scoccata. Non resta che trovare al volo le trascrizioni per strumenti a fiato delle partiture di Giacchino e mettere sotto torchio l’orchestra, per essere pronti in tempi record ad accogliere degnamente l’ospite di riguardo. Questo l’antefatto.
Finalmente, la sera di giovedì 5 novembre è previsto che Michael Giacchino, da qualche giorno arrivato a Torino, si sposti a Feletto per assistere alle prove dell’orchestra. La sera successiva, venerdì 6 novembre, è prevista la performance pubblica a Torino, in un concerto gratuito che promette il tutto esaurito, visto il risalto che ha ricevuto dai giornali.
Alle 19 circa, il vetusto salone del teatrino scolastico di Feletto, dove da sempre la banda si esercita, è pieno di gente in trepidante attesa. L’antico stanzone, con la tradizione che ne segna i muri, nelle decine di foto color seppia di manifestazioni remote, con il suo calore riottoso che arriva da una stufa in un angolo e l’odore polveroso tipico degli edifici che sfidano il tempo, lo scintillìo degli ottoni, le partiture sfogliate e sistemate sui leggii, le macchine fotografiche e le telecamere pronte ad immortalare l’evento, è pieno di suoni dissonanti e di un vociare confuso. Per l’occasione ci sono ospiti autorevoli: il presidente dell’associazione, il sindaco del paese, supporter e familiari degli orchestrali, appassionati di musica per cinema che si sono intrufolati alla chetichella, subito accolti con il calore ospitale e l’abbraccio brioso della gente di Feletto.
La formazione è in fibrillazione. Più di metà sono giovanissimi, preparano e lustrano i loro strumenti con il riguardo e la cura che si riserva alle cose importanti. I meno giovani, espressione della tradizione e della continuità nella filarmonica, non nascondono loro stessi un formidabile entusiasmo e un malcelato senso di attesa. Come sarà Giacchino? Come reagirà questo inarrivabile talento ad un approccio necessariamente rustico alle sue musiche, lui abituato a lavorare con i professionisti del “pianeta lontano” da dove arriva? Nessuno sa molto di questo autore, pochi hanno idea di che aspetto abbia. Bruno Lampa, di sicuro il più nervoso di tutti, ha fatto circolare in sala fotocopie di un vecchio articolo di Colonne Sonore di cinque anni fa, quando il nostro giornale era ancora pubblicato su carta. In quelle pagine si preconizzava il glorioso futuro dell’autore, si constatava quanto promettente fosse questo esplosivo nuovissimo talento della musica da film. All’epoca i suoi dischi si contavano sulle dita di una mano, o poco più.

Giacchino a TorinoPer rompere il ghiaccio e ingannare l’attesa, Bruno Lampa sale sul podio ed inizia a mettere all’opera i suoi. L’orchestra scalda il motore. Si inizia ad esplorare qualche punto più spigoloso della partitura di Star Trek. Il direttore prova i passaggi più ostici, si preoccupa che gli strumenti solisti si accordino alla perfezione, sembra difficile da accontentare, gli attacchi non lo convincono, le sue parole sono brusche ed esigenti, la tensione e l’attesa dominano ancora l’atmosfera della sala, ora silenziosa e obbediente. Poi un brivido elettrico serpeggia di colpo. La voce passa di bocca in bocca… “E’ arrivato, è qui”. È lo stesso Bruno, avvisato dalle sentinelle appostate all’esterno, a dare l’annuncio alla banda. “Ragazzi, ci siamo!”. Quasi in contemporanea la porta d’ingresso cigola sui cardini, si apre, per far entrare l’impensabile. Michael Giacchino, cardigan verde e blue jeans cascanti, i capelli scuri arricciati sulla fronte, la barba incolta di qualche giorno, dimesso ed autorevole al tempo stesso, entra in sala sorridente e viene subito travolto da un applauso impetuoso, degno sfogo di tanta tensione. Saluta tutti con un ampio gesto del braccio, è visibilmente scosso da quel calore inatteso. Lui parla solo inglese, e si avvicina a Bruno, che parla solo italiano. Nonostante questo, mentre i due si scambiano una vigorosa stretta di mano, scatta tra loro una corrente quasi visibile ad occhio nudo. Michael scorre le partiture del direttore, che Bruno gli porge insieme alla bacchetta, ma si rifiuta subito di salire sul podio. Non è questione di convenevoli, lui ci tiene a dirlo: “Per carità, questa è la tua orchestra. Li hai preparati con cura, ora ci mancherebbe che arrivo io a prenderti il posto”. C’è un rito quasi cavalleresco in questo gesto. Bruno è il padrone di casa, sarà lui a dirigere. E così avviene. I brani del concerto vengono proposti uno dopo l’altro, ad un Giacchino che li ascolta rapito, goduto e sinceramente colpito dalla passione che viene fuori da quegli strumenti eseguiti con tanto entusiasmo.  Alla fine di ogni esecuzione, l’autore salta in piedi, applaude, è generoso e sincero nei complimenti che elargisce all’orchestra. Suggerisce alcuni cambiamenti, prontamente messi in atto. Per la suite di Ratatouille, suggerisce che un passaggio melodico dei clarini non resti soffocato dai corni, a cui si chiede di suonare più sommessi. Dopo la scatenata suite da Gli Incredibili ha poco da aggiungere; scherza alla volta del giovanissimo e scatenato batterista, che è stato funambolico nel tener dietro alla ritmicità del brano. Durante Up ha un’osservazione importante: consiglia al maestro di lasciare che il malinconico e arioso “Tema di Ellie” venga esposto con maggior lentezza e grazia, per poter meglio assaporare il senso di sospensione e di ascesa. La riesecuzione, applicati i consigli del compositore, appare estasiante, sembra di sollevarci anche noi con quei colorati palloncini che trascinano verso il cielo la casa del film. Alla fine tutti applaudono e anche Michael è pienamente convinto del risultato: “Great! Excellent!”, non fa che dire mentre si alza e applaude. E infine si arriva al momento di Star Trek, il brano più difficile, quello che finora è stato provato di meno. Niente più ritmiche jazz e valzer francesi. Ora è il momento della sinfonica classica. Bruno non nasconde a Michael i suoi timori, teme per le assonanze dei celeberrimi rintocchi iniziali di Alexander Courage, ma Giacchino sembra fiducioso, incoraggia lui e gli esecutori ad abbandonarsi nel brano. Alla prima prova il passaggio di Courage riesce bene, è convincente. Ma sono i passaggi successivi a spingere Giacchino a dare nuovi consigli, ancora una volta determinanti. L’attacco del “Main Title” deve essere aggressivo, militaresco: non esita a spronare i ragazzi, “Dateci dentro! Picchiate duro, qui c’è scritto ‘fortissimo’”, fa notare a Bruno. E poi il tema principale, al momento giusto, deve balzare fuori con maggior enfasi, più solenne, meno affrettato. Il tono epico che assume ora, nella prova successiva, è perfetto.

Michael Giacchino a Feletto con la FilarmonicaBruno però torna alla carica. E’ venuto il momento che sia Giacchino a salire sul podio, sia pure per riprovare solo quella manciata di battute del “Main Title”. L’orchestra ci tiene, e il maestro lo capisce e si lascia convincere, vincendo i suoi sospetti per quella trascrizione che non gli è familiare. Inforca gli occhiali, sale sul podio, domina la sala mentre occhi trepidanti osservano le sue braccia allargate, che attendono il momento. E poi via, le mani vorticano a dita protese, l’orchestra gli va dietro infuocata, Bruno osserva tutto con lo sguardo lucido di emozione. Le note battagliere si spandono tra quelle pareti, i volti antichi nei ritratti alle pareti, abituati alle polke, alle ballate del folclore, alle piccole marce da parata, sembrano esterrefatti, ma non meno rapiti e sconvolti di quelli dei presenti, sommersi da quel furore spaziale, dal fuoco musicale che accompagna le avventure dell’Enterprise. Quando tutto finisce l’applauso è scrosciante. “My first time conducting in Italy”, annuncia felice il compositore.  Se ora la musica tace, la magia non è ancora finita. Nel suo programma, dopo le prove Giacchino avrebbe dovuto riprendere la via per la città.  Ma l’ospitalità dell’orchestra, l’affetto di quei giovani esecutori che gli si assiepano intorno per ottenere un’ambita dedica direttamente sulle partiture, sono contagiosi. Bruno fa gli onori di casa. Vino toscano vecchio e inebriante scorre nei bicchieri, accompagna le specialità del posto che vengono distribuite tra i presenti: grissini artigianali avviluppati da foglie sottili di un prosciutto crudo profumato, il formaggio stagionato tagliato a dadi, un morbido salame di patate da addentare con il pane fragrante. L’americano, letteralmente estasiato per quelle leccornie, non esita ad ammettere che la cucina italiana ha una fama più che meritata. “Fatelo bere”, suggerisce qualcuno, “così ci racconta il finale di Lost!”. Michael sorride all’idea, “Nice try”, commenta. Dal bere non si tira certo indietro, il vino è ambrosia. Ma il finale di Lost, confessa il musicista, non lo conosce. “Preferisco così”, ci dirà in seguito. “Voglio che la mia musica rispecchi lo stupore che provo anch’io, man mano che la storia viene raccontata al pubblico”.
Tra la firma di un autografo e un nuovo stuzzichino, gli viene rimproverato che il cd di Star Trek è troppo breve. É lo stesso Bruno a farglielo notare. “Forse ci sarà un volume due, con musica inedita”, preannuncia Michael. Ovviamente è cauto, non ne è sicuro, così come non è certo di partecipare ad alcuni progetti cinematografici di cui in questa sede non ci è possibile ancora parlare pubblicamente. (tra cui un progetto con la Pixar per cui gli occhi del musicista scintillano, si capisce che è un piatto ghiotto per lui). Ma ci confessa che nel 2010 ci sarà solo Lost, ultima stagione. Ha bisogno di riposo, dopo l’iperattività degli ultimi anni. Sul piano discografico, forse ci sarà un cd tratto da Fringe, “Ma le musiche, in questo caso, saranno soprattutto di Chris Tilton”, ci spiega. Quando lo si fa parlare dei suoi collaboratori, ha parole di elogio per tutti. Scherza su Tim Simonec, il suo fedele direttore d’orchestra: “Non lasciate niente da mangiare in giro, quando c’è Tim nei paraggi!”. Ci fa capire che Simonec sarebbe al settimo cielo, in mezzo a tutte quelle leccornie di Feletto.
Quando il grande tavolo del rinfresco è ormai vuoto, l’orchestra si ricompone, sono tutti pronti a suonare di nuovo. Giacchino ne è stupito, “Ma come, ora che abbiamo bevuto…”.
Bruno non ha dubbi: “Vedrai, ora suoneremo anche meglio”. In questa inattesa seconda parte delle prove, si mettono a punto gli altri brani che completeranno il programma della sera dopo. Si tratta di musica da film italiana (Morricone, Piovani) oppure vicina al cinema di Giacchino (Mancini). La banda si scatena e dà nuovamente il meglio di sé con una pirotecnica esecuzione di “Sing Sing Sing”, capolavoro indimenticabile di un altro grande italoamericano, Louis Prima. Giacchino ha gli occhi lucidi, è sovraeccitato. “Uno dei miei autori preferiti, bravissimi”. Ha parole di elogio per la tromba e il clarinetto solisti.

Michael Giacchino concede un ballo!Alla fine Giacchino è il primo a mescolarsi all’orchestra nei momenti in cui gli strumenti vengono infine riposti e si chiudono i sedili, e si scherza e ride. Vuole fare una foto tutti insieme, lui seduto per terra e circondato da tutti. Il vino circola ancora, è sempre più beverino. Gli esecutori più esperti, che tardano a separarsi dai loro clarinetti, dalle trombe, dagli oboi, si scatenano in qualche indiavolato ballabile del loro repertorio, mentre un’elegante signora tra i presenti si fa avanti ed invita il musicista americano a qualche giro di danza. Michael Giacchino non si fa pregare, tra la sorpresa e il divertimento di tutti lo si vede ballare con energica scioltezza, del tutto affiatato con la sua improvvisata compagna di danza. Nonostante sia il grande musicista che conosciamo, non viene facile chiamarlo “maestro”, non perché non si voglia rispettare l’autorevolezza della sua musica, ma perché è proprio “uno di noi”. Bruno gli è vicino quando arriva infine il momento del commiato. L’euforia è ancora forte, tutti ora attendono con trepidazione la serata che verrà, quando ci sarà l’esecuzione vera e propria davanti al pubblico di Torino. 
Ventiquattro ore dopo, però, tutti quelli che erano presenti a Feletto lo hanno subito capito, prima ancora che sia lo stesso Giacchino a dichiararlo ai microfoni davanti alla sala gremita. Quello che è successo a Feletto, nel salone della musica, è un evento irripetibile. “Durante il viaggio di andata non sapevo cosa aspettarmi”, scherza Giacchino parlando al pubblico. “Ad un certo punto, mentre la macchina continuava a viaggiare, ho cominciato a sospettare che sarei finito in un bosco, con qualche organo in meno”. Tutti ridono. Poi però lo ammette: “È stata una delle serate più divertenti della mia vita”.
Ed ha ragione. Se anche non ci fossero le foto e i filmati a testimoniare quel momento, nessuno dei presenti dimenticherà mai la sintonia perfetta di quelle ore in cui la passione per l’arte musicale, l’amore per il cinema, la dedizione, la disciplina, l’ammirazione e la capacità di ascolto hanno spezzato ogni collegamento con il quotidiano e con il reale. Musiche scritte per esprimere i sentimenti più nobili, apprezzate da migliaia di estimatori in giro per il mondo, facevano da contorno all’incontro con il loro strepitoso compositore. Di fronte all’arte “viva”, all’emozione di un contatto così diretto e concreto con la creatività personificata, le preoccupazioni ordinarie che turbano le nostre giornate erano del tutto scomparsi. C’era posto solo per un inebriante godimento spirituale, di quelli rari ed irripetibili.

Giacchino a Torino

 

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