Incontri ravvicinati con la musica da film - Omaggio a John Williams

Incontri ravvicinati con la musica da film - Omaggio a John Williams
Reportage dei concerti di sabato 28 - Lunedì 30 - Martedì 31 Maggio 2016 presso Auditorium Parco della Musica - Sala Santa Cecilia in Roma

Nella sua illuminata e intelligente sovrintendenza di Santa Cecilia, Michele dall‘Ongaro ha osservato, presentando il concerto di musica cinematografica tenutosi lo scorso weekend con ben tre date all‘Auditorium romano, che «queste colonne sonore sono ormai considerate capolavori dalle maggiori orchestre del mondo... [e che] c‘è tutto un mondo narrativo in questa musica, legato a tecniche compositive del passato rilette in chiave moderna».

Parole sante, aggiungeremo noi, senza peraltro cedere ad una tentazione recriminatoria che pure avrebbe qualche legittimità: verrebbe infatti da chiedersi dov‘erano le istituzioni musicali, i musicologi "colti", i teatri, le orchestre, i direttori, le direzioni artistiche, quando quaranta o cinquanta o sessant‘anni fa questi capolavori venivano creati, per essere immediatamente relegati nel ghetto della cosiddetta "musica applicata", e ciò malgrado i pochi dalla vista lunga e dall‘udito fine avertissero già che eravano in presenza del nuovo, grande genere musicale della modernità. E alcune lodevolissime eccezioni (ad esempio le incisioni di Zubin Mehta, o le performance concertistiche isolate di direttori allora giovani come Jan Latham Koenig) ovviamente confermano la regola... Ma, ripetiamo, sarebbero recriminazioni inutili e ingenerose, che attengono piuttosto ad una ipotetica storia sociale della musica per film, che prima o poi andrebbe scritta. Converrà invece godersi appieno l‘esplosione concertistica che, ad esempio in quest‘annata, ha investito l‘opus di John Williams (da LaVerdi milanese alla Fenice veneziana a Santa Cecilia nella capitale), auspicando che sia solo l‘inizio della riscoperta esecutiva di un repertorio sterminato e per la maggior parte ancora sconosciuto al grande pubblico delle sale da concerto. Ciò premesso, il concerto dell‘orchestra capitolina diretta da Stéphane Denève si caratterizzava per un accostamento stimolante (le pagine fantascientifiche di Williams accanto all‘Aleksander Nevskji di Prokofiev) e per l‘approccio unitario e concentrato del direttore francese. Denève vanta infatti una consuetudine ormai solida con il sinfonismo williamsiano, esplicata in numerose esibizioni concertistiche, e lo ha confermato in questa sede, enucleando da pagine – e film – molto diverse sia pure all‘interno di uno stesso genere una coerenza formale e una profondità analitica frutto di un‘accurata concertazione e rielaborazione formale. Si prenda l‘incipit con la celebre suite per coro e orchestra da Incontri ravvicinati del terzo tipo. Appare del tutto evidente che l‘attenzione del maestro transalpino è polarizzata da quei sette sconvolgenti minuti iniziali totalmente devoti alla pratica dodecafonica: le stratificazioni timbriche della partitura vengono isolate a blocchi e scolpite con impressionante rilievo, evidenziandone le influenze puntillistiche e il rigore contrappuntistico ancorché seriale, così come il lento defluire dello sviluppo nell‘apertura melodica, traguardato come una confluenza naturale, spontanea in un cantabile aperto ed emozionante: tra l‘altro Denève sottolinea senza enfasi ma con precisione i due elementi diegetici interni della partitura, ossia "When you wish upon a star" e il celebre temino di cinque note tramite il quale alieni e terrestri comunicano. "Adventure on earth" da E.T. l‘extraterrestre è come si sa un minipoema sinfonico autonomo e conchiuso, sul quale il regista ha adattato il montaggio visivo di tutta la sequenza finale – come ha foto denevericordato Denève, anche ottimo e spiritoso entertainer tra un brano e l‘altro – e costituisce forse la summa sia del romanticismo adolescenziale spielberghiano sia dell‘immaginazione williamsiana: qui la fluvialità dell‘orchestrazione, la ricchezza leitmotivica (impressionante il rilievo dei corni nella ripresa del tema dell‘amicizia), la cura per le sfumature timbriche e la potenza tellurica (ma mai fracassona) dell‘impianto sinfonico risaltavano in tutta la loro grandiosità, complice la spettacolare resa di un‘orchestra che, grazie al lavoro svolto dal suo direttore principale Sir Antonio Pappano (che regalò l‘ìindimenticato bis dei Main Title Starwarsiani al concerto conclusivo della prima edizione della Festa del cinema romana), vanta ormai un eclettismo e una duttilità di repertorio unici in Italia. La suite da Star Wars, ancorché proposta in forma ridotta, conferma le doti intuitive del direttore, che sicuramente ha potuto confrontare la propria visione con quella di Williams grazie anche alla sua frequentazione col maestro newyorkese: l‘"Imperial March" procede dunque come uno schiacciasassi implacabile ma ordinato, ferreamente tenuto in pugno dal punto di vista ritmico; lo "Yoda theme" si snoda severo e composto nel canto, affabile ma malinconico, dei celli; stupefacente poi l‘inclusione del fantasmagorico "The asteroid field", autentica pièce di bravura orchestrale, imboccato dal direttore a velocità vertiginosa e in uno sfavillare timbrico (soprattutto nel rutilare dei legni e nella tempestosa, cronometrica esattezza d‘interventi del timpanista Enrico Calini, uno dei pilastri dell‘orchestra) che restituisce questa pagina alle sue più nobili ascendenze classiche. I Main Title infine vengono ricondotti ad un ordine strutturale quasi geometrico, dove emergono le coordinate architettoniche del comporre williamsiano e la mostruosa ma nello stesso tempo immediata e comunicativa complessità della sua scrittura. Sull‘Aleksander Nevskji che occupava la seconda parte del programma sono fiorite, da quel lontano 1938, le analisi teoriche (spesso sovrastrutturali rispetto a quelle di partenza dello stesso Prokofiev e di Ejzenstein) più articolate e diverse; malgrado si trattasse di un lavoro – filmico e musicale – con il quale i due Sergej, alla loro prima collaborazione, dovevano a tutti i costi tornare nelle grazie di Stalin e del "realismo socialista" dopo un periodo di sospetto "deviazionismo formalista", questo lavoro possiede ancora oggi uno straordinario carattere sperimentale (assai più del successivo Ivan il Terribile – La congiura dei Boiardi), nella concezione formale e linguistica: una caratteristica che emerge anche nella cantata op.78 in sette parti che Prokofiev compose appositamente per le sale da concerto ricavandola dai materiali della partitura filmica. Nessuna concessione al descrittivismo hollywoodiano allora già fiorente, ma piuttosto una tensione spasmodica verso una sorta di bassorilievo musicale costellato di punti apicali su cui fissare l‘ascolto in parallelo allo sguardo sui fotogrammi. La partitura risente molto del periodo "barbaro" del compositore, elemento che Denève sottolinea con acuminata precisione sin da "La Russia sotto il giogo mongolo", gravato di una cupezza raggelante e spettrale, e poi in "I Crociati a Pskov", sorta di pagina horror lontanissima da qualsiasi tentazione esoticheggiante. Anche i momenti celebrativi corali, che hanno visto in primo piano il magnifico, avvolgente Coro dell‘Accademia ottimamente istruito da Ciro Visco, esulano dal folklore e sembrano guardare piuttosto alla straordinaria, drammatica coralità del "Boris Godunov" mussorgskjano. "Il canto della morte", affrontato con esasperata, dolentissima lentezza, appare come uno straziante ma asciutto epicedio funebre, dove il testo (dello stesso Prokofiev con Vladimir Lugoskji) trova nella voce possente, accorata e materna del mezzosoprano armeno Varduhi Abrahamyan un‘eco irresistibilmente commovente; e quanto alla "Battaglia sul ghiaccio", che di tutta la pagina è il pezzo più noto, risplendono ancora oggi a quasi ottant‘anni di distanza la genialità delle invenzioni prokofieviane, lo scontro micidiale fra le aree timbriche, il dosaggio dei crescendo e degli stringendo, l‘apocalittica mobilitazione percussiva e nel contempo l‘implacabile, mai dispersiva o esornativa visione d‘insieme imposta dal direttore. Pubblico (a sala gremita) ovviamente in visibilio e implicitamente teso alla richiesta di proseguire su questa strada: una prima risposta la otterrà il 28 luglio alle 21 nella cavea dell‘Auditorium con un concerto dell‘Orchestra di Santa Cecilia diretta da un‘altra bacchetta specialista nel repertorio cinemusicale, Frank Strobel, in un programma di musica corredata anche da immagini e monograficamente dedicato all‘ormai leggendario sodalizio tra John Williams e Steven Spielberg. 

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