Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller con musiche di Pino Donaggio

uno sguardo dal ponteAl Teatro Carcano di Milano Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller con musiche di Pino Donaggio

Molti autori di colonne sonore per il cinema e la TV spesso hanno mosso i primi passi nel mondo del teatro, scrivendo musiche originali per svariate regie.
Nel caso di Pino Donaggio invece l’esperienza teatrale è di recente acquisizione e si presenta come novità negli oltre quarant’anni di attività filmografica, sancendo un’altra tappa nella sua carriera artistica e confermando la curiosità e l’abile poliedricità del compositore veneziano.

Sicuramente le musiche teatrali, pur supportando azioni sceniche dal vivo, non hanno il medesimo impatto di quelle trasmesse e sovraincise alle immagini di un film e servono o come supporto a scene prive di dialoghi oppure come traduzione di un pensiero parallelo che l’attore tiene nascosto e che il materiale musicale ha lo scopo di rivelare o potenziare. Tuttavia, se l’uso delle musiche è diverso, lo scopo ultimo di una colonna sonora teatrale è comunque identico a quello di ogni musica concepita per le immagini perché la scrittura, in Donaggio ancor più, tende a penetrare nell’immagine non solo in quanto tale ma proprio in qualità di soggetto drammaturgico, cioè di personaggio intento, su un palco o su un set, a riproporre una realtà a comando. Senza la musica nessun attore sarebbe in grado di rivelare totalmente il suo personaggio perché la stenografia musicale ha la capacità di infarcire le sensazioni e di garantire il pieno compimento emotivo che un copione intende trasmettere. Il teatro poi, agendo in una sola sequenza e nel medesimo luogo, affida tutto ai corpi recitanti e solo la loro professionalità e la loro autorevolezza performante possono raggiungere un target autenticamente artistico. Anche lo stile recitativo può risentire di un’inevitabile differenza tra un “consumo televisivo”, fatto di ritmi più intensi o continui colpi di scena per non tediare lo spettatore (che è un padrone spietato, avendo in mano il telecomando) e un uso dell’arte della parola al servizio di un pubblico assiso in una sala che non muterà ma che comunque andrà forse ancor più difficilmente conquistato e soddisfatto.
Chi meglio dunque di Sebastiano Somma - che in teatro ha mosso i suoi primi passi drammaturgici negli anni Ottanta con opere di De Filippo e Palazzeschi – poteva riportare sul palco l’esperienza e il successo maturati come attore televisivo? Ed è proprio sul set televisivo che avviene l’incontro artistico tra Somma e Pino Donaggio quando, nel 1999, Rai Fiction produsse la serie TV Sospetti - con stellari esiti di share – nella quale Somma interpretava il sostituto procuratore della Repubblica Luca Bartoli. Serie che - per la regia di Luigi Perelli e Gianni Lepre – conobbe altre due fortunate stagioni fino al 2005, tutte musicate da Donaggio. Collaborazione poi proseguita tra il 2003 e il 2008 anche nelle prime tre stagioni del legal thriller Un caso di coscienza, con l’attore campano nei panni dell’avvocato Rocco Tasca.
Lo stesso Somma ha scelto opera e regista, ovvero il capolavoro di Arthur Miller Uno sguardo dal ponte del 1955 ed Enrico Maria Lamanna. Il racconto presenta una realtà attualissima qual è il tema dell’immigrazione affidato a Lamanna, che ne offre una lettura psicologica e tormentata, pur mantenendo fede a un’esposizione classica dell’opera. Con Lamanna, Donaggio aveva lavorato pochi mesi prima per il monologo “Il Sindaco Pescatore”, dedicato ad Angelo Vassallo, sindaco-eroe della città campana di Pollica, ucciso dai camorristi nel 2010, con protagonista l’attore Ettore Bassi.
Nella scena iniziale i ritmi delle programmazioni sottendono le azioni coreiche-marionettistiche degli interpreti, adagiandosi poi nel monologo in flash-forward su una scura modalità che ricorda incipit alla celluloide dei detection di Ferrara come I banchieri di Dio. Il racconto del passato di Eddie Carbone è spesso abbinato a passaggi pianistici che rievocano una giovinezza perduta e un legame affettivo che, nell’opera di Miller, diventa il morboso vulnus intorno al quale si compirà il destino del protagonista. La musica viene usata per contrasto e compensazione, ovvero laddove il narratore ci presenta un Eddie come brav’uomo e capace di rivelare pienamente se stesso, un tappeto di synth in minore prelude già a ciò che confezionerà la tragedia e che, nell’andamento narrativo, verrà progressivamente svelato nella prosa. Pennellate pianistiche di orientamento nostal-jazz fanno da coda a una chiusura in notturna e ci ricordano un pò l’umore di alcune incunabole produzioni donaggiane per i noir nostrani e d’oltreoceano, nei quali la piacevole melodia per pianoforte è sempre associata a un personaggio (a volte femminile) sottoposto a una situazione critica nel suo circuito sociale o nel contesto narrativo in cui si muove. Come il contrasto tra le altezze durante il dialogo tra Catherine e Rodolfo e l’ingresso bradicardiaco di due note gravi e minacciose che scandiscono bene l’interiorità di Eddie, ubriaco e fuori di sé, che finirà col baciare la nipote sulla bocca. Un sax malinconico e solitario dal sapore newyorkese prelude all’incontro tra Eddie e l’avvocato e alla scelta di Carbone di denunciare i clandestini, intenzione non rivelata ma fatta intendere dalle parole dell’avvocato. Il ritmo grave sul quale viene sovraincisa la voce di Rodolfo che intona una canzone disegna ciò che sta per accadere e mette in contrasto l’interiorità buia di Carbone, ostinato e minaccioso come il ritmo, e la volontà di vivere e divertirsi affidata al canto del ragazzo che però risulta imprigionato e non assecondato dai propositi oscuri di Eddie. Un tocco di ispirata e sinfonica sicilianità tinta di misteri e paure intangibili lo si ascolta nella scena che antecede la tragedia, il giorno del matrimonio di Rodolfo e Catherine, quando anche le scuse del ragazzo non riusciranno a placare l’equivoca ossessione di Carbone. L’arrivo di Marco, scandito da una sorta di pendolo orrorifico che batte gli ultimi minuti di Carbone fino al climax conclusivo, prepara la scena dell’omicidio di Eddie, dopo il quale le synth voices si aprono in un liberatorio canto sovrannaturale, mentre il vecchio avvocato, a dramma ormai inevitabilmente compiuto, traccia la morale conclusiva sul protagonista.

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