Note d'inquietudine: James Newton Howard e i film di M. Night Shyamalan

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Analisi sul sodalizio tra il regista indiano e il compositore americano

La collaborazione tra M. Night Shyamalan e James Newton Howard nasce nel 1999 con The Sixth Sense (Il sesto senso); il regista americano di origine indiana è al suo primo film importante e “hollywoodiano” (anche se sicuramente non può prevederne il successo), Howard è un compositore affermato che nel corso degli anni ha già sperimentato diversi generi cinematografici (sue le colonne di Il Fuggitivo, Pretty Woman, Waterworld): il loro sodalizio, tuttora in corso, ha dato vita ad una delle unioni cinematografiche-musicali più prolifiche ed interessanti degli ultimi anni.
Con The Sixth Sense il giovane Shyamalan porta James Newton Howard a lavorare su una storia di fantasmi raccontata in modo inusuale attraverso una sceneggiatura rigorosa e originale: una storia che ha bisogno di esserecover_sesto_senso.jpg supportata musicalmente tanto negli aspetti più intimi quanto in quelli propriamente di tensione, tipici di un racconto dalle venature fantasy-horror. L’edizione commerciale di The Sixth Sense è di soli undici brani e manca pertanto di diversi pezzi essenziali ad una buona comprensione del lavoro del compositore: nell’analisi che segue si farà perciò riferimento anche ad alcuni momenti musicali presenti nel film ma non inseriti nel cd; analizzando le colonne sonore delle pellicole di Shyamalan non si possono, ad esempio, ignorare i brani che accompagnano i titoli di testa. Nel caso di The Sixth Sense il “Main Title” è piuttosto importante, dal momento che serve al compositore per definire l’atmosfera sonora dell’intero film. Una delle caratteristiche principali dello score di James Newton Howard è l’uso particolare di rumori, stridii, sospiri e voci voluto da Shyamalan, in accordo con il compositore, per dare una forma sonora alle presenze inquietanti che solo il piccolo protagonista Cole riesce a vedere e percepire. La breve partitura che apre il film è appunto satura di questi suoni indefinibili, di melodie intrecciate e sovrapposte tra le quali spuntano le note degli strumenti ad arco. Quando sullo schermo compare il titolo del film, la musica sembra flettersi, si blocca, stride: forse il sesto senso è proprio questo, una stortura che si produce nel tessuto della realtà, o meglio nel nostro modo di percepirla, uno stridio appunto, un suono non omologato dal punto di vista melodico. Il tema principale viene pure introdotto dai titoli di testa: è ossessivo, compresso, fortemente drammatico.
Interessante è pure quello che potrebbe essere definito il tema di Vincent Gray, ovvero il pezzo che si ascolta nella primissima parte del film, quando Vincent si introduce armato in casa di Malcolm. In una delle interviste comprese nei contenuti extra del dvd, Howard racconta di aver campionato una frase pronunciata in scena da Donnie Whalberg (l’interprete di Vincent) e di averla inserita nel brano al contrario, in modo da renderla praticamente impercettibile: si tratta del “Look at me” gridato da Vincent come un’ultima sfida disperata.
Il primo brano contenuto nel cd è “Run to Church”, sorta di introduzione musicale di Cole (è il pezzo che commenta la prima apparizione del bambino) in cui il tema principale viene eseguito al piano e si fonde di nuovo a delle voci, questa volta più armoniche e più simili a dei veri e propri cori. Cori che tornano, angoscianti ma anche melodicamente più ricchi, nel successivo “De Profundis”: “de profundis clamo ad te Domine” (dagli abissi io ti invoco, o Dio) è la frase che Cole ha ascoltato da uno degli spettri e che il piccolo ripete a Malcolm.
Significativo è anche “Mind Reading”: è il brano che gli spettatori ascoltano quando Malcolm, ancora ignaro dei motivi di turbamento del bambino, prova a comunicare con lui attraverso il gioco della lettura del pensiero. È uno dei pezzi dalla struttura più complessa e variegata, per rendere al meglio i diversi sentimenti provati da Cole di fronte a Malcolm: prima paura, poi speranza e fiducia, infine delusione.
“Suicide Ghost”, “Hanging Ghosts” e “Help the Ghosts/Kyra’s Ghost” formano una piccola suite di quelli che potrebbero essere definiti i temi musicali dei fantasmi, tutti basati su marcate sovrapposizioni sonore, rumori, fruscii che acquistano maggiore efficacia se ascoltati in concomitanza con le immagini. Più ricco il tema di Kyra, il fantasma della bambina che riesce a comunicare con Cole: alle solite sonorità confuse e stratificate si unisce per pochi secondi il pianoforte, per poi arrivare ad un finale violentemente drammatico. Grazie a  Kyra, Cole inizia ad accettare le responsabilità che il suo dono gli impone, si confronta con la violenza, con l’omicidio.
Nel complesso, lo score di The Sixth Sense è molto omogeneo, sobrio, privo di grandi temi melodici: il suo ruolo nel film non è quello di commentare o enfatizzare le azioni, né quello di esprimere semplicemente i sentimenti dei personaggi (o almeno, non solo) ma bensì, come si è visto, le note cercano di costruire materialmente le percezioni del piccolo Cole, tentano di dare allo spettatore un’idea sonora della realtà intesa come luogo di dolore e scontro tra entità umane che, pur appartenendo a dimensioni spaziali e temporali diverse, non possono fare a meno di chiedere aiuto e di gridare la loro presenza.

cover_unbreakable.jpgQuesto tipo di lavoro concentrato sulla definizione musicale dell’atmosfera in cui si muovono i personaggi, continua con coerenza anche nel successivo Unbreakable (2000); interessanti anche in questo caso le dichiarazioni rilasciate dal compositore che in un’intervista compresa nel dvd spiega di aver voluto dare a questa colonna sonora una “singular quality”, una particolare qualità uditiva che rendesse la partitura immediatamente riconoscibile e unica, pur nella sua essenzialità compositiva. Con Unbreakable Shyamalan mette in scena (a modo suo, ovviamente) la storia di un supereroe triste utilizzando abbondanti riferimenti al mondo dei fumetti: un immaginario prettamente popolare, colorato, a cui Howard dà voce lasciando che le sue note vengano contaminate da sonorità più moderne, quasi elettriche, che certamente non avevano trovato spazio nel film precedente. La partitura è piuttosto ossessiva, sostanzialmente avvolta su un solo tema principale, anche se non mancano alcuni picchi di drammaticità (“Falling Down”, “The Wreck”): del resto, la caratteristica principale del film è quella di non avere un vero e proprio sviluppo (Shyamalan ha definito il racconto un “unico primo atto” praticamente privo d’azione, fatto solo di impercettibili spostamenti emotivi e mentali), perciò la ripetitività musicale della colonna sonora è più che adeguata, e contribuisce a costruire quell’ansia sottile e persistente che stringe l’intero film. La tracklist dell’album non segue una struttura cronologica per quanto riguarda l’ordine dei brani secondo l’uso che Shyamalan ne fa nel film, tuttavia, con le sue 14 tracce, offre una buona panoramica del lavoro del compositore.
Sono soprattutto “Visions” e “Unbreakable” a definire il tema principale: la paura del protagonista David è espressa dall’uso ansiogeno delle percussioni mentre nel secondo brano spuntano curiosamente dei suoni più dolci, simili a dei trilli, come quelli presenti già in “Reflections of Elijah” che si ascolta durante il flashback dedicato all’infanzia dell’altro personaggio principale, Elijah appunto: tintinnii, suoni argentini dal sapore infantile (viene in mente il suono dei carillon) ma anche inquietanti nel loro rifarsi al rumore del vetro infranto (non a caso il fragilissimo Elijah è anche detto Mr. Glass). Altro brano legato a Elijah e al suo modo di rapportarsi con la realtà è “Hieroglyphics”, significativo fin dal titolo visto che l’uomo è abituato a leggere il mondo in cui vive come fosse un fumetto, cogliendone le simbologie nascoste, la costruzione visiva, le simmetrie. La realtà per Elijah è un groviglio di geroglifici da decifrare ed infatti la traccia in questione è molto concentrata, lieve, del tutto mentale ed interiore.
Un tocco più umano di tenerezza si può invece cogliere in “Carrying Audrey”, pezzo che tratteggia la rinascita del rapporto d’amore tra David e la moglie, uno dei primi personaggi femminili significativi del cinema di Shyamalan.
Unbreakable è uno dei film meno compresi tra quelli del regista di origine indiana, e la colonna sonora non ha probabilmente ricevuto l’attenzione che meritava: pur non presentando elementi particolarmente rilevanti o originali nella fusione tra musica e immagini (ma ancora una volta l’uso dei rumori - di ululati, perfino, in un caso - è tutt’altro che banale), si tratta di una partitura ricca di forza emotiva, caratterizzata da una grande aderenza concettuale alla materia narrata da Shyamalan. Più che una OST di commento, è un tessuto sonoro molto discreto che permea il racconto cinematografico, lo plasma e gli dà forma.

Di tutt’altro genere le abilità e le idee messe in campo da James Newton Howard in Signs (2002), da lui definito il progetto più difficile a cui abbia mai lavorato. Effettivamente si tratta di un film sotto molti cover_signs.jpgpunti di vista ambiguo, interessante e ricco ma anche zoppicante su alcuni aspetti della messa in scena e in particolare della sceneggiatura. Signs è un film di fantascienza che aspira ad essere tutt’altro, un racconto di rinascita e di recupero della fede smarrita: Howard si è trovato pertanto a dover rendere in musica le due anime della pellicola, quella più prettamente “di genere”, e quindi citazionista, persino ironica e parodica in certi punti, e quella invece più intima e seria. Il risultato è una partitura tutt’altro che disprezzabile, anzi raffinata nel suo voler omaggiare il cinema di fantascienza (ma anche quello d’avventura, o il thriller) e compositori come Bernard Herrmann. In questo senso  il “Main Title” è esemplare ed efficacissimo nel suo snodarsi tra una melodia malinconicamente ansiosa e sonorità molto marcate, quasi da cartoon. È una scelta giusta e pertinente ma che dà voce solo in parte al cuore del film, limitandosi a sottolinearne appunto l’aspetto più cinefilo, più legato all’idea di “storia di alieni”. Il problema probabilmente è a monte, nella sceneggiatura di Shyamalan che usa gli Ufo come pretesto ma non riesce a dare all’invasione dei pericolosi extra-terrestri un ruolo concreto, che vada oltre il simbolico. Rimandando sempre a qualcos’altro (all’irrompere degli eventi negativi nella vita delle persone, al dolore che non si può evitare o relegare all’esterno e che può invece paradossalmente costituire una ricchezza), gli alieni di Shyamalan si dimenticano di essere se stessi: sono funzioni narrative, ma non personaggi reali. Così anche la voce musicale che Howard assegna alla loro presenza resta senza una vera identità, è citazione, è gusto per la narrazione fantascientifica, ma non produce un senso vero e reale.
Diversi sono comunque i pezzi degni di nota e la loro aderenza alle immagini è pressoché perfetta: si pensi a “Brazilian Video”, una traccia cupa e stridente che accompagna la breve (e spaventosa) scena in cui Merrill guarda in tv l’inquietante video amatoriale in cui compare uno degli extra-terrestri.
“The Hand of Fate (Part 1 e Part 2)” è il brano che chiude il film: il compositore ne ha parlato come del più difficile, per la varietà di azioni ed emozioni che va ad accompagnare; una melodia leggera lascia il posto, nel finale, ad un sentimento di grandiosità, di libertà ritrovata, coerentemente con la conclusione forse fin troppo ottimistica del film, e forse il giudizio sul film influenza in parte anche quello sulla colonna sonora: la conclusione troppo semplicistica e felice che Shyamalan applica al suo racconto e le ambiguità della pellicola inficiano necessariamente anche la resa globale della musica, che resta comunque un lavoro notevole per raffinatezza, gusto per la citazione e puntualità nel dare concretezza sonora alle immagini.

cover_the_village.jpgThe Village (2004) segna un punto importante nella filmografia di Shyamalan: è il suo primo film in cui non è presente alcuna componente paranormale, è il primo ad avere come protagonista assoluto un personaggio femminile e a raccontare la nascita di una storia d’amore. Naturalmente The Village non è solo questo: in concomitanza con l’uscita del film nelle sale si parlò molto delle sue implicazioni politiche, delle riflessioni messe in campo da Shyamalan sul concetto di utopia, sulla paura che deriva dal dolore.
E il regista ancora una volta trova nelle note di James Newton Howard il mezzo giusto per veicolare emozioni e idee complesse, non prive di ambiguità, sempre interessanti e problematiche.
Similmente a quella di The Sixth Sense, l’edizione commerciale dello score presenta diverse lacune, manca anche qui il “Main Title”, non viene seguito l’ordine cronologico e alcune tracce sono accorpate e titolate in maniera arbitraria, probabilmente per favorire un ascolto più fluido e piacevole dell’album concentrando la selezione sui temi principali.
La primissima parte del film è prettamente descrittiva, e serve a Shyamalan per mostrare allo spettatore la routine di Covington, tranquilla ma non priva di elementi inquietanti: Howard dà voce a questa breve sequenza priva di dialoghi con “Rituals”, che in questo senso funge da tema musicale del villaggio attraverso un violino contemplativo e malinconico; il pezzo si incupisce nella parte finale, quando sullo schermo compaiono i primi segni del “bad color”, quel rosso tanto temuto dai protagonisti.
Con The Village il compositore dà maggiore importanza all’esecuzione strumentale dei suoi brani, alla loro interpretazione, scegliendo la violinista Hilary Hahn, poco più che ventenne al tempo della lavorazione. Il contributo della musicista (scelta proprio in considerazione della sua giovanissima età, per far sì che fosse la voce amplificata di Ivy Walker, la ragazza protagonista del film) è molto significativo in “Those We Don’t Speak Of”, uno dei brani centrali della partitura che si ascolta durante l’attacco delle presunte Creature Innominabili al villaggio.
Si tratta di un momento carico di tensione e, coerentemente, la prima parte del pezzo è cupa, satura di suoni inquietanti e sospesi; sul finale però il violino di Hilary Hahn entra con prepotente romanticismo, con un’intensità commossa che mai si era sentita prima in un film di Shyamalan. Ciò costituisce anche un importante indizio sulla strada che il racconto prenderà in seguito: quella che in principio appare come una vicenda misteriosa dal sapore fantastico, si rivelerà una storia d’amore e di dolore molto concreta, triste e crudele, e del tutto umana. Il lirismo della Hahn torna poi in “The Gravel Road” che commenta uno dei momenti più importanti del film, quello in cui Ivy riesce finalmente ad uscire dal bosco e compiere la sua missione per salvare Lucius.
Notevoli sono anche gli incastri perfetti che il regista riesce a creare nel fondere suono ed immagini: esemplare è, a tal proposito, la scena in cui Lucius compie coraggiosamente alcuni passi oltre il confine della misteriosa foresta accompagnata dalle note di “The Forbidden Line”; l’intelligenza di Shyamalan sta però anche nel saper scegliere il silenzio, come durante il terrificante accoltellamento di cui resta vittima Lucius.
Al di là delle sequenze più propriamente “di paura”, che pure non mancano e che possono contare su un impeccabile commento sonoro, ciò che più si imprime nella mente dello spettatore/ascoltatore è l’emotività palpitante dei brani. The Village è sì una riflessione storico-politica sul mito di fondazione della nazione americana, è sì un racconto pessimistico sul formarsi e il disgregarsi delle società umane, ma è soprattutto la storia di una ragazza giovanissima, luminosa, innamorata e coraggiosa. Ed è a lei, ad Ivy, ai suoi pensieri e alle suo emozioni che James Newton Howard ha pensato nel mettere in musica quello che è probabilmente il film più bello e ricco del regista americano.

Nel 2006 esce nelle sale Lady in the Water, pellicola poco capita, a volte derisa come puerile; in realtà si tratta di una storia stratificata sul concetto di fiaba, sul valore salvifico del racconto, della scrittura, della lettura. Troppi simbolismi, forse, ma a Shyamalan cover_lady_in_the_water.jpgva riconosciuto il merito di una grande sincerità nel mettere in scena un progetto rischioso (non a caso le vicende produttive sono state burrascose), e un’assoluta coerenza col proprio cinema precedente: i temi presenti in Lady in the Water sono quelli tipici dei film del regista, dalla paura al dolore per la perdita di una persona amata, dallo rapporto difficile tra individuo e gruppo sociale alla conquista della salvezza che qui si allarga a comprendere un’idea di salvezza universale. Il lavoro che James Newton Howard si trova ad affrontare non è dunque facile: il compositore sceglie la strada della dolcezza, anche se sa accompagnare con la giusta potenza i momenti d’azione e tensione.
Bello e delicato il “Prologue” che spiega agli spettatori l’argomento principale del film, il ruolo salvifico che il Mondo dell’Acqua, da cui proviene la ninfa, ha avuto per la Terra nel corso dei secoli: l’incipit del film è costituito da una breve sequenza animata che inizia a porre le basi per la complessa struttura narrativa che seguirà, tutta imperniata, come si diceva, sul significato e sul ruolo sociale delle fiabe. Nel Prologo musicale, come in ogni fiaba che si rispetti, c’è tutto: dolcezza, fascinazione romantica, paura, tensione, gioia e senso di liberazione.
La parte più rilevante e coinvolgente è comunque quella finale, che comprende “The Healing”, “The Great Eatlon” e gli “End Titles”: si passa da un acuto senso di pericolo a momenti più dolci e rilassati, fino alla potenza di “The Great Eatlon”, grandioso, quasi epico, si avvale dell’uso dei cori per dare enfasi al momento della liberazione di Story, la ninfa protagonista. La maestosità della lotta, dello scontro con le forze malefiche che vorrebbero far del male a Story, si scioglie nella semplicità limpida e dolce dei titoli di coda, quasi una ninna nanna, Del resto il film era nato come una “bedtime story”, una storia della buonanotte, che Shyamalan soleva raccontare alle sue bambine.
Anche l’album di Lady in the Water è parzialmente incompleto nella selezione dei brani e offre comunque all’ascoltatore alcuni punti fermi, includendo la musica che commenta molti dei momenti più importanti (tra cui la fine del film, come si diceva) e concentrandosi sulla definizione del tema principale, quella melodia che viene inserita da subito nel Prologo e torna poi spessissimo anche nelle altre tracce.

cover_the_happening.jpgDopo la dolcezza fiabesca di Lady in the Water, con The Happening (E venne il giorno, 2008) Shyamalan racconta una storia dove il gusto per il racconto perde la sua funzione, una storia grondante pessimismo, sfiducia e paura. Newton Howard si ricollega in parte alle scelte operate in The Village, privilegiando di nuovo l’esecuzione: fin dai titoli di testa, l’interpretazione del tema è affidata al violoncello di Maya Beiser che non ha nulla della poesia romantica dei brani suonati da Hilary Hahn per The Village, ma è anzi tremendamente amaro, quasi terrificante. La melodia eseguita dal violoncello che Shyamalan usa sulle primissime immagini del film, su quelle nuvole minacciose ma anche pericolosamente belle, è probabilmente l’intuizione migliore che il compositore abbia avuto per questo film. Il lavoro è complessivamente molto buono, e sorprende come James Newton Howard sappia sempre trovare soluzioni nuove, capaci di incarnare con precisione lo spirito dei film di Shyamalan che, pur nelle ovvie differenze, si somigliano tutti per le tematiche affrontate e per le implicazioni fantastiche; tuttavia, si ha l’impressione che molte tracce si limitino a fungere da commento. Un commento serrato, crudo, efficacissimo, ma pur sempre un semplice commento: i momenti di tensione e paura sono infatti enfatizzati da suoni cupi, da stridii, in maniera abbastanza immediata (si pensi a “Evacuating Philadelphia”, “Mrs. Jones”).
È innegabile però che un brano come “Gunshot” porti con sé un livello di angoscia notevole, e non si può nemmeno trascurare la forza emotiva di “Be With You”, che veicola uno dei pochi sentimenti positivi trasmessi dal film, vale a dire la forza degli affetti umani incarnata dalla famiglia protagonista.
L’album comprende poi la “End Titles Suite” nella quale il violoncello ha nuovamente un ruolo di primo piano nel seguire l’evoluzione triste e compressa della melodia principale che diventa un canto di morte, tragico, in certi punti persino minaccioso.

Dopo sei film realizzati insieme ci si può dunque legittimamente chiedere quale sia l’effettivo contributo di James Newton Howard alle opere di Shyamalan; la caratteristica principale dello stile registico e narrativo del regista è quella di usare ogni strumento della messa in scena (dai dialoghi, alle inquadrature, fino ai colori, sempre fondamentali) per raccontare: tutto, nei film di Shyamalan, concorre a narrare, a definire conflitti, a costruire l’identità dei personaggi, e le relazioni fra di essi. E la musica ovviamente ha un ruolo importante in tutto ciò: non è mai crudelmente ironica, non contrasta mai il senso delle immagini, ma anzi vi si fonde, con delicatezza e rispetto, per emozionare e coinvolgere.intervista_night_shyamalan2.jpg

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