Note in rosa: la carriera cine-musicale di Sofja Gubaidulina

Note in rosa: la carriera cine-musicale di Sofja Gubaidulina

… il silenzio è una condizione indispensabile per la creazione artistica, non solo per la musica, ma anche per la poesia. Nel nostro tempo l’umanità sembra stia perdendo la propria anima nel delirio del frastuono e nella frenesia della vita cittadina. Le qualità dell’anima possono crescere solo nella tranquillità del silenzio mentre l’uomo odierno sembra essere travolto da una mentalità solo rivolta al pragmatismo economico. L’umanità corre il serio rischio dell’appiattimento globale della mente e della crescente incapacità di guardare verso l’alto” (1)
Sofja Gubaidulina nasce a Chistopol nella repubblica russo-tartara nel 1931, nipote di Masgud Gabdulgalejevic Gubaidullin, imman della moschea del paese e suo nonno paterno.

Studia pianoforte al conservatorio di Kazan e in seguito composizione a Mosca con Nikolaj Pejko e Wissorion Shebalin (1902 – 1963) e inizia la sua attività indipendente nel 1963.
Filosofia, religione, simbolismo e poesia rappresentano le colonne portanti del suo cosmo musicale.
La musica di Sofja Gubaidulina nasce dal silenzio, dalla solitudine e riposa su un linguaggio denso di spiritualità che muovendosi in un profondo respiro di spazio e tempo, coniuga in modo altamente suggestivo elementi della filosofia orientale e della tradizione tartara con la sensibilità dell’avanguardia occidentale.
Le sue partiture posseggono e trasmettono spesso una dirompente carica e ispirazione religiosa come rivelano titoli quali “Introitus” per pianoforte e orchestra da camera (1978), “Offertorium” per violino e orchestra (1980/1986), “Sette Parole” per violoncello, bayan e orchestra d’archi (1982), “Alleluja” per soli coro e orchestra (1990), “Sonnengesang” (Cantico del sole) per violoncello, percussioni e coro (1997) e “Johannes Passion” per soli, coro e orchestra (2000).
La drammaturgia sonora del suo linguaggio è dominata da un gioco dicotomico in cui si riflette il dramma esistenziale dell’uomo che si muove in un difficile cammino avvolto nel dilemma della contrapposizione fra passato e futuro, vita terrena e vocazione spirituale.
chucheloIl suo stile evidenzia forme e contenuti drammatici ben delineati e con i suoi toni avvolti da atmosfere mistiche e misteriose riesce a catturare la sensibilità dell’ascoltatore, anche nei momenti strutturali più complessi, con la sua intensa carica emotiva che rende l’incontro con le sue composizioni una profonda esperienza musicale.
Il suo grande interesse per l’opera compositiva di Johann Sebastian Bach non si ferma all’aspetto religioso quanto anche ai riferimenti matematici del suo concetto architettonico che ella sviluppa con una organizzazione strutturale motivica e ritmica, utilizzando in alcune sue più recenti partiture le serie numeriche di Leonardo Fibonacci, in particolare la ‘sezione aurea’.
Il distacco dall’armonia e dalla melodia viene compensato da un rinnovato equilibrio estetico ottenuto dallo sviluppo della forza espressiva e del rapporto spazio-tempo.
La musica di Sofja Gubaidulina viene a lungo bandita nella Russia sovietica ed etichettata come ‘formalista’ a causa della sua scomoda originalità espressiva, della profondità spirituale del suo linguaggio che si pone in netto contrasto ai rigidi schemi ideologico-artistici dettati dal real-socialismo.
In occasione di una sessione d’esami al Conservatorio negli anni cinquanta, Dimitri Shostakovich, che ne aveva intuito il grande potenziale talento, la incoraggia con forza a proseguire lungo la sua strada che la stessa commissione di cui era presidente aveva valutato come ‘errata’….
…Shostakovich è stato una figura di fondamentale importanza che come uomo, musicista e compositore ha profondamente segnato la mia vita…Da lui come da Anton Webern ho assimilato il fondamentale principio di essere e rimanere se stessi in ogni circostanza…” (2).
Nei momenti di maggiore difficoltà derivanti dall’emarginazione e dal boicottaggio, anche Sofja Gubaidulina – anche se in modo molto più circoscritto di quanto avvenuto con Alfred Schnittke (1934 – 1998) -
trova nel cinema una vitale valvola di sostegno economico.
Afferma al riguardo la compositrice: “…purtroppo non è stato possibile venire in contatto con i registi più famosi, come al contrario è riuscito a Schnittke. Spesso poi quando mi sembrava di aver scritto una bella partitura per un film, questa veniva montata in modo arbitrario e improvvisato e risultava quasi sempre impercettibile in quanto coperta dalle voci…. Quante volte poi ho rifiutato commissioni per il cinema in quanto il comporre per uno scopo esclusivamente economico contrastava fortemente con la mia coscienza artistica… onestamente non so se mi farebbe piacere che le colonne sonore che ho dovuto comporre venissero ora riesumate…” (3).
chuchelo 2Fra i registi con cui ha collaborato figurano comunque nomi di rilievo come Mark Osepjan (1937), Viktor Titow (1939 – 2000), Rolan Bykov (1929 – 1998), Mikhail Schvjeitser (1920 – 2000) e Stanislaw Govoruchin (1936).
Uno dei lavori più significativi che lega la compositrice tartara al cinema è sicuramente la colonna sonora scritta per Cucelo (Lo spaventapasseri, 1984 Mosfilm) di Rolan Bikov (1929), che ricordiamo anche grande attore in particolare nel ruolo del buffone nell’Andreij Rublev (1966) di Tarkovskij (1932 – 1986).
Il film portatore di un profondo messaggio etico, propone con forza il tema quanto mai attuale ai nostri giorni dell’emarginazione e del terrore fisico cui è esposto il ‘diverso’ come tale anche in piccoli dettagli di apparenza o comportamento. La classe riflette nel suo agire bullistico il modello di intolleranza, tracotanza e cinismo in cui si muovono in una società malata e corrotta gli stessi genitori degli alunni e la indiretta complicità e il fare ipocrita degli insegnanti. Lena, la bambina appena trasferita insieme al nonno da un’altra città, disturba l’equilibrio della classe e viene quindi sistematicamente boicottata, sottoposta a continui soprusi e intimidazioni. Sopraffatta dallo stato psicologico in cui viene costretta, a Lena (superbamente interpretata da Kristina Orbakaite) non rimane altra scelta che lasciare la scuola e partire di nuovo insieme al nonno (Jurij Nikulin). Solo a quel punto la classe si ritrova di fronte allo specchio della propria coscienza, nel triste rimorso di un comportamento brutale e inumano.
L’impegno ideologico del regista per il ‘diverso’ assume nel film anche una forte valenza politica e come tale – pur agli inizi della Perestroika – suscita non poche polemiche per la sua aperta critica sociale.
Concepita in un singolare carattere tridimensionale e sostenuta da un esemplare montaggio, la colonna sonora appartiene sicuramente alle migliori realizzazioni della compositrice tartara per il grande schermo.
Le note di una marcia intonate da una banda schierata nel parco e diretta dallo stesso regista Bykov in veste di attore accompagnano le sequenze iniziali e conclusive del film e conferiscono un notevole equilibrio alla sua concezione architettonica che tende verso una simmetria radiale, concetto caro all’avanguardia russa fin dagli inizi dei movimenti pittorici espressionisti. Nello scorrere delle immagini si controbattono in suggestiva dialettica contrappuntistica due universi sonori: quello del linguaggio compositivo proprio della Gubaidulina che illumina il mondo delicato, dolce e altruista della protagonista Lena e quello pop-rock rappresentato da hit russe interpretate dalla cantante Anna Pugacheva (1949, madre della protagonista Krjstina Orbakajte) che rappresenta il mondo degenerato, maligno e feroce dei suoi compagni di classe.
All’iniziale motivo tratteggiato dal tremolo del flauto, cui si aggiungono gli archi, che accompagna il dramma interiore di Lena si susseguono figure sonore dominate da spigolose dissonanze avvolte nell’abituale densità del registro espressivo, che richiama grandi lavori sinfonici quali “Stimmen…Verstummen” sinfonia in dodici movimenti (1986), “Sieben letzte Worte” per violoncello, bayan e orchestra d’archi (1982) e “Pro et Contra” per orchestra (1989) e rispondono in modo altamente efficace e coinvolgente alle profonde istanze psicologiche e di critica sociale del film.
vertikal 2Percorsa da una dirompente tensione interiore, la scrittura della Gubaidulina si dipana con imponenza per raggiungere il tormentato climax nella sequenza del rogo dello ‘Spaventapasseri’ in cui Lena, tradita dal suo compagno Dima, si ritrova in totale solitudine ad affrontare il cieco e crudele terrorismo psicologico del resto della classe. La volta espressiva dell’imponente cluster orchestrale cui si aggiungono le suggestive modulazioni del coro appare vacillare sotto i colpi dell’impressionante apparato delle percussioni mentre affiora la profonda istanza religiosa del concetto di crocefissione, salvezza e sacrificio che accompagna costantemente la vita compositiva della compositrice tartara.
Il rapporto artistico più produttivo è quello con Stanislaw Govorushin con cui realizza le partiture di tre suoi film, Vertikal (Odessa Filmstudios, 1967), Den angela (Il giorno dell’angelo, Odessa Filmstudios 1968) e Belyy vzryv (Bianca esplosione, Odessa Filmstudios,1969).
Den angela è la rappresentazione di un dramma che vive una nave da crociera in rotta dagli USA verso Odessa e dove improvvisamente si sviluppa un incendio nella stiva. Il capitano ordina all’equipaggio di impegnarsi a domarlo e mantenerlo sotto controllo il più a lungo possibile. Soprattutto i passeggeri non vanno assolutamente informati di quanto sta accadendo per evitare il dilagare del panico e vanno intrattenuti in modo costante e con la massima dedizione per tenere lontana ogni percezione di pericolo. Il comandante successivamente li informa che il giorno seguente verrà effettuata un’escursione sulla vicina terraferma utilizzando le scialuppe di salvataggio. In quel momento ‘il giorno dell’angelo’, suo compleanno, egli annuncia la grave avaria in cui si trova la nave. In salvo sulle scialuppe, i passeggeri assistono sconvolti al suo naufragio.
Il linguaggio sospeso e tormentato della Gubaidulina si associa in maniera lusinghiera al dirompente stato di angoscia che avvolge la nave e il suo equipaggio e solo in minima parte percepito dai passeggeri cullati dal nostalgico e atmosferico languore di un valzer o dal poetico testo di una struggente chanson. Montata in modo soddisfacente la trama sonora di questo film interessante ma onestamente non rilevante, evidenzia la capacità della Gubaidulina anche ad affrontare atmosfere contrastanti e a uscire con disinvoltura quando necessario dai propri abituali schemi compositivi.
Belyy vzryv e Vertikal sono idealmente uniti dalla spettacolare location delle montagne del Caucaso, assolute protagoniste dei due lavori.
In Belyy vzryv rappresentano nel 1942 il terreno di scontro fra le truppe della Wehrmacht, che avanzano con l’obiettivo di accedere ai pozzi petroliferi di Baku e una brigata di alpinisti russi opposti in strenua resistenza che con grande abnegazione e coraggio affrontano le impervie asperità della montagna e l’implacabile fuoco avversario. Rimasti in due a raggiungere la vetta strategica al di sopra della postazione tedesca, riescono con abilità a piazzare una serie di mine che nella loro esplosione staccano una dirompente valanga che libera la montagna dal nemico.
Il film davvero notevole per la sua forza narrativa e le spettacolari inquadrature fotografiche fa veramente rimpiangere il precario montaggio delle note drammatiche e stranianti create dalla compositrice tartara, oscurate da plateali squilibri sonori e rumori di fondo prodotti dalla sceneggiatura in un prevalente contesto di combattimenti o relegate in inaccettabile sottofondo e raramente in adeguato equilibrio con i dialoghi.
vertikalIn Vertikal le stesse montagne diventano destinazione di una avventurosa e drammatica spedizione.
In questo singolare lavoro si realizza l’affascinante incontro artistico fra Sofja Gubaidulina e Vladimir Vysotzki (1938 – 1980) grande attore, poeta e cantautore dissidente (4) per una colonna sonora che coinvolge lo spettatore in un’esperienza musicale di straordinaria e profonda originalità e grande impatto emotivo, dove il gioco dialettico fra mondi sonori distanti e suggestivi supera il contrasto estetico per costruire una forte unità ideale e spirituale nello scorrere delle immagini.
La vita è monotona perché l’uomo la rende nella routine quotidiana piatta e orizzontale…le caratteristiche recondite e sorprendenti della persona umana trovano piena manifestazione nell’incontro con la montagna. Qui l’uomo è chiamato a vivere in una dimensione opposta. Quella verticale…
Sono le parole di Volodya – superbamente interpretato da Vladimir Vysotzki – telefonista del campo base di un gruppo di quattro alpinisti che affronta la impervia scalata della vetta del monte Artao.
Le parole di questa ballata intonata da Vysotzki accompagna le fasi preparatorie della spedizione con l’allestimento del campo fra immagini idilliche in un atmosfera carica di entusiasmo e ottimismo.
L’affresco sonoro della Gubajdulina, in un linguaggio che evoca il suo giovanile quintetto per piano e archi, dipinge l’atmosfera misteriosa di un ambiente lontano e primitivo in una natura potente e intatta: il gruppo di alpinisti giunge al villaggio ai piedi della montagna dove viene accolto da Vissarion, un anziano abitante del luogo che ha perso il figlio Iligo proprio nel suo tentativo di scalare la vetta Artao e vive nei suoi ricordi e nel sogno di poter ritrovare la sua salma.
Nelle sequenze dell’ascesa la musica raggiunge una rara compenetrazione con le immagini: il tema in forma di marcia dagli accenti atonali intonata dagli archi in pizzicato con ritmo stringente, sostenuti da suggestive dilatazioni sonore, si trova in compiuta armonia con i movimenti ascendenti degli alpinisti sulla parete come in una rappresentazione danzante e trasmette nello stesso tempo l’atmosfera carica di tensione che annuncia l’incombere del dramma.
Volodya al campo base riceve la comunicazione dell’arrivo di una tempesta che colpirà la montagna proprio nel momento in cui il gruppo dovrebbe affrontare la parte finale della vetta: mancano solo quattro ore al momento della conquista. Regna l’entusiasmo di una grande impresa e quando Gennady riceve via radio la comunicazione da Volodya decide di tenerla per se. Il viaggio si trasforma in dramma e la sopravvivenza diventa l’obiettivo da raggiungere.
Vysotzki canta: “le ripide pareti richiedono il tuo massimo ingegno. Non lasciare nulla alla fortuna o al caso, nessuna pietra o pezzo di ghiaccio è affidabile come le proprie mani o quelle di amici, prega poi che i perni infilati nelle rocce tengano…tagliamo le scale, non si fa un passo indietro, le gambe tremano per il tremendo sforzo, il cuore vorrebbe battere dal torace fino alla cima mentre guardiamo dall’alto la terra, siamo avvolti da un grande momento di felicità e pensiamo con una punta d’invidia a coloro che scaleranno la vetta dopo di noi…
Le forze della natura mettono a dura prova gli alpinisti come in guerra nella suggestiva associazione che viene evocata dalle montagne del Caucaso che sono state teatro di aspri scontri fra le truppe tedesche e le forze di resistenza.
Vysotzy canta: “basta con le parole. Alziamoci e andiamo. Domani sarà battaglia. Un giovane tedesco scalava la montagna prima della guerra. Cadde e fu salvato. Forse ora impugna il fucile contro la nostra patria. Le montagne sono nostre e ci aiuteranno. Tu sei qui in attesa del segnale e anche il giovane tedesco si trova fra gli artiglieri della brigata Edelweiss. Li dobbiamo respingere fuori dal passo. Alziamoci e andiamo. Le nostre montagne ci aiuteranno”.
La montagna è fedele nella riconoscenza e viene in aiuto dei soldati della grande guerra. Dopo il drammatico ritorno al campo base del capo spedizione Lomov partono i soccorsi. Gli alpinisti fanno ritorno in città pensando alla prossima vetta da conquistare.
La Sonata a Kreutzer (Krejtserova sonata) di Leo Tolstoj è un racconto drammatico, profondo e sconvolgente nella sua intensa carica esistenziale e spirituale, che ha sollecitato l’impegno di vari registi, da ultimo proprio con una produzione italiana firmata dal regista Maurizio Sciarra e intitolata Quale amore (2006, Amka Film Productions) con Giorgio Pasotti e Vanessa Incontrada.
Il regista Mikhail Shvejtser, autore di diverse importanti trasposizioni cinematografiche di testi letterari – fra cui una magnifica edizione di Resurrezione dello stesso Tolstoj – si cimenta nel 1988 per la Mosfilm con questo lavoro del grande scrittore russo.
mowgliNel film il grande attore Oleg Jankovskij nel ruolo di Pozdnyshev, racconta in treno ad un passeggero, la sua drammatica storia d’amore e gelosia mentre Sofja Gubaidulina è chiamata ad occuparsi della parte musicale.
La colonna sonora è in realtà molto circoscritta ai momenti in cui la compositrice si limita a gestire le note dell’omonima sonata per violino e pianoforte scritta da Beethoven in particolare nella rappresentazione del concerto tenuto in un ricevimento in cui la sposa di Pozdnyshev si produce in concerto insieme al violinista Truchacevskij amico di famiglia, dove l’esecuzione si trasforma in un complesso gioco di sguardi, sentimenti e complicità che fa emergere la reciproca affinità spirituale, artistica e sensoriale.
Il suo personale contributo musicale è alquanto breve e accompagna la tensione che pervade le immagini del ritorno a casa da un viaggio di lavoro di Pozdnyshev che preludono al culmine del dramma.
Particolarmente articolato e suggestivo risulta invece il commento musicale scritto dalla compositrice per il film d’animazione Mowgli firmato da Roman Davydov (1913 – 1988) nel 1967 per la Soyuzfilm e ispirato al Libro della giungla di Rudyard Kipling.
La partitura dalla veste espressiva politonale presenta un marcato carattere contrappuntistico dove dominano ritmi serrati avvolti da una suggestiva atmosfera misteriosa e raffinati riferimenti esotici che richiamano la magia dei suoni e dei movimenti e delle voci della foresta e dei suoi abitanti.
La musica svolge uno spiccato ruolo dialettico nell’associarsi alle immagini con le sue raffinate combinazioni timbriche e ritmiche: il ronzio delle api e l’incedere galoppante dei lupi che adottano Mowgli – un giovane uomo e come tale un estraneo - si trasformano in totale goduria che raggiunge il suo culmine nel quarto episodio del film (‘La battaglia’) con il confronto finale fra i lupi e i cani rossi accompagnato da incalzanti onde ritmiche intonate da trombe e percussioni.
In conclusione citiamo due film occidentali i cui rispettivi registi hanno ritenuto opportuno far ricorso alle musiche della Gubaidulina, non con la commissione di nuove originali partiture, quanto con l’impiego nella colonna sonora di alcune sue affermate partiture, come del resto avviene da tempo in particolare con compositori come Arvo Paert (1935), ormai a nostro avviso sfruttato ai limiti dell’eccesso e a volte in modo scarsamente originale, o anche Gyoergi Ligeti (1923 – 2006).
Il villaggio di cartone è un bellissimo film realizzato nel 2011 dal grande maestro Ermanno Olmi (1931) che si sofferma sul cinismo che sembra inesorabilmente avvolgere ogni atteggiamento umano e non risparmia neanche la chiesa, che nello stile di una qualsiasi banca o multinazionale, improvvisamente decide che una determinata parrocchia non serve più e va chiusa, forse magari perché la raccolta delle offerte non ne giustifica più l’esistenza. L’anziano parroco è sconvolto, il sagrestano accetta con rassegnazione. Da luogo abbandonato e pronto alla sparizione la parrocchia diventerà spontaneamente un centro di redenzione e accoglienza di clandestini in cerca di rifugio.
Sicuramente Olmi è un appassionato e profondo amante della sua musica di Sofja Gubaidulina al punto di inserire nella colonna sonora ben 11 suoi brani fra cui citiamo in primis lo straordinario “Offertorium” per violino e orchestra (stranamente nell’edizione della Bis con Oleg Krysa e non quella della Deutsche Gramophone di Gidon Kremer cui il lavoro è dedicato), il coinvolgente “Pro et Contra” per orchestra, “Quaternion” per 4 violoncelli, “Am Rande des Abgrundes” per 7 violoncelli, “In Croce” per violoncello e accordeon. Per chi ama il linguaggio della Gubaidulina il soundtrack del lavoro di Olmi dovrebbe essere una vera goduria, ma purtroppo il suo montaggio assai precario e lo stesso materiale musicale platealmente eccessivo per un unico film relegano ingiustamente il soundtrack in un secondo piano distaccato e ornamentale dove scorre indifferente senza trasmettere alcuna emozione, lasciando la sconcertante impressione di riempitivo che assolutamente non si addice a straordinarie partiture che potrebbero rapportarsi in modo assai più intenso e profondo con le immagini.
Questo avviene invece con la suggestiva trasposizione filmica del romanzo di Stefan Zweig Mary, Queen of Scots realizzato nel 2013 dal regista svizzero Thomas Imbach (1962) e presentato ai festival di Locarno e Toronto.
Evitando con grande eleganza possibili forzature retoriche e scadimenti melodrammatici, l’affascinante e ambigua figura della protagonista, interpretata da Camille Rutherford, viene tratteggiata nella sua umana fragilità femminile e nella sottile introspezione dell’interiore lacerazione in cui si dibatte fra slanci passionali, potere e equilibri politici.
Un film davvero imponente dove la musica della Gubaidulina, avvalorata da un montaggio impeccabile, entra in coinvolgente gioco dialettico e simbiotico con la profonda carica esistenziale che percorre le sue immagini, in particolare nell’incanto poetico e contemplativo delle inquadrature paesaggistiche realizzate in lunghi piani sequenza che Thomas Imbach costruisce con sorprendente maestria e con il pensiero rivolto alle indimenticabili esperienze lasciateci da Tarkovskij e Angelopoulos.
Il regista ricorre a sei partiture della Gubaidulina in cui predominano i densi spessori sonori e la severità espressiva di “Sieben letze Worte” per violoncello, bajan e orchestra d’archi (con Boris Pergamenschikow, violoncello, Elsbeth Moser, bajan, Muenchner Kammerorchester diretta da Cristoph Poppen, CD ECM) presente nei titoli di apertura, nel corso del film e nel finale e “The Deceitful Face of Hope and Despair” per flauto e orchestra (con Sharon Bezaly al flauto, cui il pezzo è dedicato e la Gothenburg Symphony Orchestra diretta da Mario Venzago, CD Bis Records). Completano la coinvolgente colonna sonora del film “Silenzio I – IV” per bajan, violino e violoncello, “Et Expecto I – IV” per bajan solo e “Glorious Percussions” per ensemble a percussioni e orchestra. In modo singolare e forse estemporaneo alla canzone di Bob Dylan “Changing the guard” è affidato il compito di accompagnare i titoli di coda.

NOTE:
(1) A. Reif, Das Klingen der Seele. Gespraech mit Sofja Gubaidulina, Fono Forum 2006
(2) G. Frohmann, Eruption und tiefe Stille, in Hefte der Gesellschaft der Musikfreunde, Wien 2000
(3) A. Reif, Das Klingen der Seele. Gespraech mit Sofja Gubaidulina, Fono Forum, 2006
(4) Indimenticabile artista dalla forte connotazione eclettica, considerato uno dei maggiori esponenti della generazione dei sestidesjatniki, ha fortemente caratterizzato la scena culturale sovietica nel periodo del disgelo dei primi anni sessanta così come nei difficili anni settanta dominati dalla restaurazione breshneviana. Attore, poeta e cantante Vladimir Visockij (Volodja) nasce a Mosca nel 1938, in pieno periodo del terrore stalinista. Terminati gli studi al Teatro d’arte a Mosca (MCHAT) nel 1964 entra a far parte della compagnia del Teatro Taganka – ubicato nel suggestivo palazzo in stile art-nouveau nell’omonima piazza moscovita - diretta dal grande regista Jurij Ljubimov (1917) che inizialmente rimane incantato soprattutto dal suo inconfondibile stile di cantante più che dalle sue doti di attore. Memorabili rimangono le sue interpretazioni del Galileo di Brecht e Ascoltate Majakovskij, pièce basata su lavori del poeta rivoluzionario.

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