Piersanti & Amelio: Un libero sodalizio!

foto_franco_piersanti_new.jpgPiersanti & Amelio: Un libero sodalizio!

Guardare un film significa ricevere una serie di messaggi di diversa natura, che assimilati contemporaneamente ci danno l'impressione di essere un continuum temporale che ci narra una storia. Smembrando questi linguaggi in unità singole per analizzarli in dettaglio ci rendiamo conto che ognuno contribuisce, con le sue abilità, a conferire significato alla globalità dell'evento filmico. In particolare parliamo qui del compositore e del suo fondamentale apporto alla narrazione. Un film è fatto per essere guardato e considerato nella sua interezza, tuttavia, se ci avviciniamo alla sua componente musicale più da vicino per condurre un'analisi ragionata su esigenze ed intenti, possiamo scoprire nuovi significati, ed apprezzare con più ricchezza di particolari sia il lavoro del compositore che quel sincretismo di linguaggi che è il film.

Le due opere che analizzerò di seguito sono i due film di Gianni Amelio Il ladro di bambini e LAmerica, con musiche di Franco Piersanti: sia per la loro bellezza, sia per l'accuratezza dell'analisi, che prevede la descrizione della musica in ogni scena, raccomando ai lettori almeno una visione dei due film, onde poter apprezzare appieno il magistrale concerto (è proprio il caso di dirlo) di musica ed immagini orchestrato dai due sapienti maestri.


IL LADRO DI BAMBINI

Per parlare delle musiche ne Il ladro di bambini non possiamo prescindere dalle parole dello stesso Piersanti (1) «E' il film del quale non abbiamo potuto non tener conto successivamente [.], di fronte a questo materiale così vivo, già sufficiente, bastante, sentivamo come un problema l'applicazione della musica; infatti ce n'è pochissima». E di Amelio: «Guardo soltanto il racconto, guardo i personaggi. Sto con loro come persone. Anzi, sono quasi sempre più vicino ai personaggi che non a chi li guarda. Tendo a privilegiare il personaggio nei confronti del pubblico. Nel senso che non ho voglia di essere più di tanto voyeur nei confronti dei sentimenti di alcuni personaggi». Il fatto che per questo film siano state scritte due colonne musica sottolinea, senza bisogno di alcun commento, l'impegno con cui regista e compositore hanno lavorato. La scelta finale, quella di una musica «povera, non ufficiale», concepita per pochi strumenti e dal tono «vagamente mediorientale», raggiunge in pieno l'obiettivo, spiazza l'ascoltatore che, da parte sua, non può fare a meno di chiedersi due volte perché: perché quella musica, perché in quel momento. (2)
Nella prima apparizione sui titoli di testa si può intuire un avvertimento, quella strana commistione tra violino, flauto e percussioni ci dice: 'state per vedere un film particolare'. Come la musica non si concede al commerciale o allo scontato, così il film non si concede ad uno spettatore distratto o superficiale. La prima comparsa della musica nella narrazione avviene dopo il trambusto: abbiamo conosciuto i bambini e la situazione, c'è stato l'arresto, hanno fatto la loro comparsa i due carabinieri e abbiamo conosciuto anche loro, infatti quello 'buono' rimane sul treno e quello opportunista e approfittatore è già sceso lasciandogli tutta la responsabilità addosso. Le percussioni entrano su Antonio che esce dalla toilette del treno in borghese, e lo accompagnano fino all'arrivo alla stazione di Civitavecchia. Durante questa scena i bambini dormono, noi siamo soli con Antonio, che veglia e legge le carte relative a Rosetta e Luciano. In questo caso la musica è collegata direttamente con i pensieri del carabiniere: sul treno non c'è altro da fare che riflettere sulla situazione; quasi sentiamo Antonio che si domanda cosa farà, se andrà tutto bene o se ci saranno complicazioni. Il fatto che la musica esca sul rumore dello sportello del treno che si apre segna la ripresa dell'azione, bisogna muoversi.
La musica ritorna in un momento drammatico: Luciano ha un attacco d'asma. Ancora una volta è Antonio che deve fronteggiare la situazione da solo ed essendo completamente all'oscuro dei problemi del bambino e, di conseguenza, di come risolverli. Anche qui le percussioni sottolineano, senza però enfatizzarle, le tribolazioni del carabiniere, che culminano in questa scena con lo sfogo della sua impotenza. Ma, al momento dell'azione, la musica è già svanita.
Segue una lunga pausa degli interventi musicali esterni, durante la quale l'unica musica che sentiamo è quella proveniente dal bar-ristorante calabrese. In queste scene la (brutta) realtà che vediamo viene 'servita' così com'è. Anche la scena del riconoscimento di Rosetta non lascia scampo: noi veniamo feriti come lei dalla brutalità della realtà. Possiamo scoprire come l'intervento musicale sia studiato per i personaggi durante il dialogo tra Rosetta ed Antonio sul terrazzo dell'hotel a Marina di Ragusa: sentiamo un nuovo motivo, suonato da strumenti fino a quel momento 'inediti', ossia una chitarra ed un vibrafono. L'entrata della musica avviene quando Rosetta esce dalla porta-finestra e si avvicina al carabiniere. La novità è dovuta al personaggio: come la bambina ha i suoi pensieri, così ha una 'sua' musica. Sempre, però, lontana dall'enfatizzare alcunché. Quando il discorso fra i due riguarda i dolorosi trascorsi di Rosetta, gli strumenti tacciono, per poi riprendere quando la bambina chiede ad Antonio di scappare.
Possiamo intendere la comparsa degli strumenti fino a questo momento come una 'presentazione sonora' che culmina nelle scene al mare: Piersanti le definisce «l'unico momento con un cuore musicale, dove la musica abbracciava tutto quanto». E' qui che, finalmente, cadono tutte le tensioni e le diffidenze: i tre protagonisti hanno formato un piccolo gruppo e, semplicemente, si divertono. La musica, con tutti gli strumenti, abbraccia e sottolinea questo momento, finalmente competendo con la brutta musica del ristorante sul mare, per aprire uno spiraglio di serenità nello squallido quotidiano. Toccato questo culmine, che coincide con il momento più felice per i tre protagonisti, comincia un diminuendo che va dalla scena in questura, in cui il flauto solo attacca appena prima che Antonio spieghi le sue ragioni per il 'sequestro di persona', alle domande insistenti di Luciano prima nel corridoio e poi nella macchina, accompagnate dalla percussione sola, al breve ritorno del flauto solo quando scende il silenzio fra i tre. La musica finisce sul freno a mano che Antonio tira all'arrivo nel campo abbandonato. Il motivo affidato al flauto, che è lo stesso delle scene al mare, senza il sostegno degli altri strumenti, assume un significato nostalgico perché ricorda, del momento sereno, quel tanto che cover_il_ladro_di_bambini.jpgbasta per creare un contrasto stridente con la situazione attuale: Antonio sta giustificando la sua condotta davanti al poliziotto e, nella seconda apparizione, i due bambini stanno forse ricordando quel momento sulla spiaggia perché si chiedono il motivo di un così brusco cambiamento di Antonio, ora distaccato e scostante come mai. Le percussioni sole che accompagnano le insistenze di Luciano per sapere che cosa è successo in questura hanno un tono più cupo della precedente apparizione, e hanno una relazione diretta con il primo piano di Antonio che guida: neanche noi sappiamo le conseguenze di questo 'sequestro di persona', ma sia il sonoro che l'immagine ci fanno capire che il carabiniere si sta intimamente confrontando con l'ottusità delle leggi e delle persone. Ora è lui che deve 'smaltire' questa situazione, e i bambini, che stanno per arrivare a destinazione, non possono avere nessun ruolo in questo. La musica torna un'ultima volta per collegare agilmente l'ultima scena del film con la comparsa dei titoli di coda.
Non si può non riconoscere che le situazioni del film richiedessero molta attenzione nel trattamento delle musiche: come comporle senza essere 'invadenti'? (3)
La soluzione è stata quella di non esagerare l'espressività della musica per lasciare che i sentimenti venissero fuori quasi esclusivamente dai personaggi. In questo film Il compito del compositore è arduo, perché occorre interpretare con molta misura, senza protagonismi, senza prevaricazioni, muovendosi nel piccolo spazio concesso e lasciando al regista il controllo espressivo del film, la cui musica non aggiunge quindi niente più di quanto fosse nelle sue intenzioni. L'intento è riuscito, sentiamo che la musica ci comunica qualcosa ma senza togliere nulla ai personaggi, rinuncia al suo «potenziale espressivo» per restituire allo spettatore un rapporto più diretto con le situazioni.
Identificare gli intenti con cui la musica viene inserita nel film non è un'impresa facile, gli interventi che sentiamo sono concepiti in modo molto lontano dal creare semplicemente 'l'atmosfera adatta' per la scena; lo spettatore sente in ogni momento la distanza tra la situazione, che è senza dubbio 'italiana' - anche se gli orrori e le reazioni dei personaggi sono universali - e questa musica vagamente mediorientale. La forzatura tiene desta la coscienza: siamo in presenza di un commento vero e proprio, che vuole dirci 'altro' oltre a quello che vediamo.
Quali sono allora i significati che si aprono alla nostra interpretazione? Come abbiamo già visto ci sono delle identificazioni precise: Antonio è accompagnato dalle percussioni nei momenti di riflessione e di grande preoccupazione, nello specifico in treno mentre esamina le carte dei due bambini, durante la crisi d'asma di Luciano e nel tragitto in macchina dalla questura di Noto al campo abbandonato; Rosetta all'hotel di Marina di Ragusa si apre con il carabiniere e poco prima la sua passeggiata sul terrazzo, e i suoi pensieri, sono accompagnati dal vibrafono e dalla chitarra. Questa musica si interrompe solo quando, sempre sul terrazzo, Rosetta parla della sua terribile esperienza. Possiamo attribuire a queste note un valore 'unificante' dovuto alla situazione: la bambina si sta confidando con Antonio, e questo è un momento nuovo ed importante, così come nuovo ed importante è il breve motivo che sentiamo; un'occasione di simile intimità tra di loro non ricapiterà più, così come non ricorrerà un'altra volta la musica di questo momento. Il brano che commenta il tempo 'sospeso' in cui Antonio Rosetta e Luciano non sono altri che loro stessi, senza preoccupazioni e sofferenze, inizia accompagnando Rosetta nella sua passeggiata sul bagnasciuga: oltre al piccolo motivo iniziale del flauto entrano gli altri strumenti per unire i tre protagonisti oltre che nello spazio nello spirito. Questa stessa musica ritornerà nella questura, sul primo piano di Antonio che motiva la sua disobbedienza agli ordini, e nella macchina che porta finalmente i due bambini verso l'istituto. Qui però la valenza è diversa: quella musica diventa una rievocazione del momento felice, ma passato, che con la sua citazione scarna e apparentemente fuori luogo rispetto al contesto, sia in questura che nella macchina, abbandona del tutto quel poco di enfatico che c'era nella sua prima apparizione.
Ad una prima visione si sente il contrasto quasi insanabile tra il linguaggio visivo e quello sonoro, ma l'analisi ci mette di fronte ad una pianificazione degli interventi musicali che, sebbene sporadici, manifestano una loro piena ragion d'essere nel tessuto narrativo del film: la parsimonia e l'attenzione con cui Amelio e Piersanti hanno scelto gli interventi li rende ancora più densi di significato nella loro isolatezza, e permettono un'interpretazione più immediata perché non c'è possibilità di fraintendimento; questo è dovuto anche al tipo di musica scelto dal compositore: la sua lontananza dagli schemi 'scontati' ha creato un linguaggio assolutamente originale, che si staglia con forza su tutta la musica presente all'interno del film impoverendola, se possibile, ancora di più.

foto_gianni_amelio.jpgLAMERICA
Invece di accompagnare i titoli di apertura de LAmerica con parte della musica che sentiremo nel film, Amelio ci fa vedere (e sentire) un vecchio filmato Luce in bianco e nero che parla dell'annessione dell'Albania alla corona italiana nel tono trionfalistico tanto caro ai cinegiornali del Regime: «Per Lamerica mi è sembrato importante far vedere [.] le immagini della prima invasione dell'Italia all'Albania - per seconda invasione intendo quella avvenuta nei primi anni Novanta con le nostre televisioni -. Queste immagini sono tratte da cinegiornali Luce che ho trovato nella Alba Film, la "Cinecittà" di Tirana; sono immagini agghiaccianti, di una violenza fortissima. Sento che c'è una cattiveria nell'atteggiamento di questo esercito che si pone come più forte, come quasi umanamente superiore a questi contadini che li salutano, che gli battono le mani. L'immagine del carro armato, dei soldati che scendono dalla nave è ancora più terribile vista oggi perché abbiamo visto un'altra nave, quella degli albanesi che arrivavano a Brindisi. Il film inizia su un porto e qui il porto è lo stesso, quello di Durazzo, ed è bizzarra questa "somiglianza al contrario" tra i due sbarchi, lo sbarco sulle nostre coste e lo sbarco degli italiani sulle coste albanesi». Questa scelta per i titoli di testa è un prologo che ci informa sui precedenti dei rapporti tra le due nazioni: il modo in cui il sonoro del cinegiornale sfuma sulle voci degli albanesi che gridano «Italia Italia, tu sei il mondo» ci lascerebbe intendere che nulla è cambiato del tempo del filmato, ma uno sguardo alla folla disordinata che agita la scena della prima inquadratura già ci fa intuire che si tratta di qualcosa di diverso.
La prima apparizione della musica nella narrazione riguarda il personaggio-chiave del film: l'inquadratura riprende i piedi di un carcerato e sale lentamente fino alle mani, vecchie e sporche. Poi ancora il vecchio è inquadrato di spalle, mentre viene interrogato, e in ultimo ci sarà il primo piano. Non appena l'interprete legge il nome «Spiro» entra la musica: un sottofondo in pianissimo di archi con un pizzicato di chitarra e poi un intervento di clarinetto appena accennato. Questo brevissimo motivo è la 'presentazione sonora' (Spiro) del vecchio, che ricorrerà anche nelle due scene successive. E' una musica che non rivela niente, essendo appena accennata non ha per noi se non una componente di mistero, presentandosi così indefinita, e termina il suo intervento, come la scena, sul primo piano di Spiro.
La seconda apparizione sonora e' nella scena successiva: Gino, Fiore, Selimi e Spiro, pulito e vestito, si presentano al ministero per la firma del contratto della nuova società. La musica entra sul primo piano del vecchio ed esce sul particolare della mano che inizia a firmare.
Al terzo intervento i due faccendieri hanno portato Spiro, dopo la firma, all'istituto di suore. Gli archi attaccano poco prima che Fiore dica: «casa tua» e continuano sulla mezza figura del vecchio che si aggira tra i bambini che giocano in una stanza. Come nei casi precedenti la musica finisce con la scena.
Nelle quattro scene successive l'unica musica che sentiamo è di livello interno: un'operaia canta in albanese nella fabbrica di scarpe e la cantante del locale in cui Selimi va a cercare Gino si esibisce in un misto di canzoni albanesi ed italiane. In questi casi l'intenzione è meramente segnaletica, si vuole avvertire per la prima volta lo spettatore che la cultura albanese è in qualche modo contaminata da quella italiana.
Ora la musica ha un ruolo importantissimo, è la sola protagonista sonora: Spiro si trova sul treno, è fuggito dall'orfanotrofio per tornare a casa sua. Mentre la prima apparizione riprende ancora una volta il Tema di Spiro - ma in modo più completo con l'inserimento del violino e una presenza più corposa degli archi, in coincidenza con i militari che salutano dal finestrino - un ponte in glissato su una sola nota introduce il Tema Tanti anni fa, contenuto anche all'interno di Spiro, che dopo una breve esposizione con la fisarmonica termina in una dissonanza che coincide con l'arrivo di Gino alla stazione di Baqel. L'intervento musicale viene interrotto dal clacson suonato dal ragazzo all'impazzata. Per questa scena non possiamo non rifarci alle parole di Piersanti: la musica «è quasi didascalica: quando Spiro vede i militari fuori dal finestrino, gli torna alla mente la canzonetta che lui conosce, cioè Rosamunda, un motivo molto semplice; è dentro la sua testa, siamo noi che gli leggiamo dentro ciò che pensa». (4)
Ma in questa scena la musica ha un'altra funzione fondamentale, quella di unire i due protagonisti nello stesso lasso di tempo: mentre Spiro 'canticchia' tra sé e sé il suo motivo, Gino lo rincorre affannosamente con la jeep, e noi possiamo dedurre ciò, oltre che dal montaggio in sequenze rapide, dalle caratteristiche della musica, che riesce a tenere 'uniti' i due protagonisti pur distinguendo nettamente i momenti in cui accompagna Spiro da quelli in cui segue la corsa in macchina di Gino.
Questo concetto di musica didascalica ritorna anche nella scena successiva: Spiro si trova in una città in cui è ancora più evidente il segno della guerra che il vecchio sente ancora addosso, ed il motivo, introdotto prima da un bicordo dissonante con il clarinetto e poi da una progressione ascendente di tromba, ci riporta dentro la sua testa con lo stesso motivo Tanti anni fa. La musica poi viene brevemente interrotta dalle urla dei bambini e riprende con il Tema di Spiro, in coincidenza con il tragico maltrattamento del vecchio; qui la valenza è di commento ad una realtà triste, senza valori, come abbiamo già visto con le condizioni dei carcerati, o con la corruzione del ministro, o con la caparbietà di Gino che vuole raggiungere i suoi scopi comunque, volente o nolente il prestanome. Possiamo riconoscere questa musica ogni volta che il vecchio subisce le conseguenze della desolante realtà che lo circonda.
Ci troviamo all'ospedale: Spiro è stato ricoverato e viene finalmente raggiunto dal suo dipendente-carceriere, che si sente dire che il vecchio è italiano. Segue una spiegazione, da parte della dottoressa, sulle condizioni che spinsero gli italiani, durante il regime comunista, a cambiare identità con documenti albanesi. Per la prima volta forse, Gino viene a contatto con la storia. Questo momento è accompagnato dal clarinetto solo e da qualche accordo pizzicato di chitarra, strumenti che discretamente sottolineano questa prima presa di coscienza da parte sua.
Un nuovo motivo accompagna il primo tentativo di Gino di parlare con Spiro: lo aiuta a rivestirsi e scopre che il vecchio parla italiano. Il clarinetto intona Soliloqui fino alla fine del dialogo.
Durante il rabbioso sfogo di Gino per il furto delle ruote della macchina arriva un pullman: delle percussioni (Il pane) accompagnano il movimento furtivo di Spiro verso il mezzo e continuano anche nella scena successiva sul pullman. La musica introduce e unisce l'avventura dei due a quella degli albanesi che stanno dirigendosi verso il mare per fuggire dal paese.
Il pullman si ferma sul ponte di Koplic per il sequestro della polizia, e la musica ritorna dopo che Gino scopre l'impossibilità di recuperare la sua macchina. Allora cerca di convincere Spiro, che ha paura della «milizia», a scendere dal pullman con lui. Questo è il primo momento in cui il giovane 'sta al gioco' per continuare il viaggio. Gli archi introducono e sostengono il momento drammatico in cui i due passano attraverso il blocco; poi il violino si sovrappone, con il suo portamento lento, fortemente espressivo, per sottolineare con un melisma, interrotto da un breve inserimento del clarino (Soliloqui), lo sbando a cui la situazione dà luogo. L'intervento termina con la scena.
Gino e Spiro sono seduti tra le macerie. Il vecchio si chiede se hanno bombardato la Sicilia; sul suo monologo entra un tappeto d'archi su cui si sovrappone un breve e lento motivo di chitarra; la tromba conclude l'intervento con un altro frammento melodico. Spiro sta ricordando quando ha lasciato la Sicilia, con sua moglie che stava per partorire, e poi si chiede come starà il bambino. I suoi pensieri vengono interrotti dalle urla di Gino che cerca, invano, di riportarlo alla realtà, che non vuole stare al gioco della sua mente distorta. La musica qui assume il valore di un ricordo, è legata alle preoccupazioni che attanagliano il vecchio, sempre volto con la mente alla famiglia (e al suo tempo).
La sera, dopo che il giovane riesce a rimediare qualcosa da mangiare, ed è più evidente la dipendenza della popolazione albanese dalla ricchezza che promana dalla televisione italiana - davanti alla quale tutti stanno immobili quasi in adorazione -, l'intervento musicale entra sul monologo con cui Gino cerca di convincere Spiro a nutrirsi, questa volta assecondando la visione del vecchio: è solo interrogandolo su suo figlio che riesce a fare in modo che mangi. Il clarinetto solo accenna appena Soliloqui, poi accompagnato dagli archi e sostituito dalla tromba con una progressione ascendente. Appena Gino dice «Anch'io sono siciliano», viene introdotto dal clarinetto, e poi dalla fisarmonica con un breve accompagnamento di chitarra, il Tema Tanti anni fa, man mano che aumentano le ripetizioni sempre più riconoscibile.
L'arrivo del camion è contemporaneo all'entrata delle percussioni, che anticipano il clarinetto con un bicordo dissonante accompagnato ora dalla chitarra. L'intervento, Dal ponte di Milot a Koplic, termina con la scena.
Il camion è pieno, anzi sovraccarico, e Gino si trova ancora una volta 'mischiato' per forza con quella gente che disprezza e che lo riempie di domande importune. Si confronta, suo malgrado, con le speranze di un popolo che non sa assolutamente nulla di ciò che lo aspetta e vive il momento del viaggio con allegra incoscienza. Il Tema (Dal ponte di Milot a Koplic) - inizialmente archi che diventano sottofondo ad un breve melisma del violino solista e poi si ingrandiscono fino a riprendere le fila del discorso melodico - 'scorre' proprio come il paesaggio percorso dal camion, e accoglie in un unico intervento tutte le persone accomunate dal viaggio della disperazione.
Il camion fa una pausa, ci si ferma per discutere del tragitto. L'albanese con cui Spiro aveva parlato è morto. Il vecchio nella sua follia si rende conto, più o meno, di cosa è successo e cerca di rianimare il defunto con un pezzo di pane. Su questo struggente momento entra la musica, che - con gli archi e poi le percussioni - intona un motivo (Il camion il porto la nave) il quale, ingrandendosi fino a comprendere un breve intervento di tromba e poi di fisarmonica, estende il dramma vissuto in prima persona da Spiro a tutti i presenti. Anche Gino, che era rimasto indietro e ora corre verso il mezzo che si sta allontanando, è pienamente inserito nel contesto corale che la musica contribuisce a creare. Questo intervento, che unisce coralmente il dolore di tutti i presenti, termina con la scena.
cover_lamerica.jpgL'inquadratura del camion nella nebbia viene accompagnata da una scala discendente ripetuta dei violini, poi con inserimento della fisarmonica e della tromba a ripetere ancora il Tema con sottofondo di percussioni (Il camion il porto la nave). La musica termina sul rumore della pioggia e del camion fermo mentre Gino e Spiro scendono, finalmente a destinazione.
La musica torna quando Gino, scoperto di essere stato licenziato dal suo compare, si siede per strada su un marciapiede e Spiro, sempre al suo fianco, gli chiede «Che avete?»: un tappeto d'archi, con alcune semifrasi di tromba, fa da sottofondo al dialogo tra i due, Gino che informa Spiro del licenziamento, e il vecchio che cerca di consolare il giovane con la prospettiva di lavorare a giornata nel suo paese non appena saranno arrivati.
Le percussioni (Il pane) sostengono tutto il dialogo tra Gino e il direttore della pensione. Ancora una volta Spiro subisce le conseguenze della situazione: il giovane cerca di assicurargli una sistemazione, perché a causa dei suoi documenti falsi non può uscire dall'Albania. Finalmente vinte le reticenze del gestore con la prospettiva di un considerevole compenso, il giovane indica Spiro (fuori campo) all'uomo; musica e scena terminano insieme.
Dopo questa conquista Gino deve convincere Spiro a restare di sua volontà, e non si tratta di un'impresa facile: infatti il vecchio la sua casa ce l'ha. E proprio su questa sua affermazione entra la musica: un clarinetto solo accompagna con una frase ripetuta la spiegazione di Gino che, dicendo sia verità che bugie, cerca di convincere il vecchio a restare «per un po'»; quando però Spiro fa riferimento al bisogno in cui si trova il giovane, Gino, ferito nell'orgoglio, rivendica la sua autonomia e si allontana.
La musica entra ancora nella penultima scena con un tappeto di archi che parte pianissimo sulla voce della bambina che insegna l'italiano e sfocia nella scena successiva, ormai forte, in coincidenza dell'inquadratura intera della nave di profughi che ha iniziato il suo viaggio verso l'Italia. Il Tema, introdotto dagli archi, è Il camion il porto la nave; poi però si assottiglia fino a lasciare una frase del clarinetto e la chitarra in primo piano con un bordone in pianissimo sempre di archi. Gino si aggira sulla nave affollata durante questo intervento, che finisce sulle voci della gente e appena prima che il giovane riconosca Spiro seduto tra i bambini.
In quest'ultima scena i due protagonisti sono seduti insieme, e Spiro esordisce con «Siamo stati sfortunati tutti e due»: subito dopo entra la fisarmonica con il Tema Tanti anni fa poi accompagnato dagli archi e ripetuto dal clarinetto e dalla chitarra; dopo qualche momento di pausa durante il monologo di Spiro, che ormai ha preso il sopravvento con la sua 'follia' sullo stanco e sfiduciato Gino, la musica riprende con lo stesso tema suonato dalla fisarmonica sola e poi ripetuto dagli archi; le riprese ci fanno vedere intanto una sequela di volti, il primo piano di Gino con la testa di Spiro sulla spalla e alcune inquadrature della nave. La musica finisce sulla dissolvenza dell'ultimo volto nel titolo Lamerica e poi riprende uguale per i titoli di coda. Per quest'ultimo intervento possiamo beneficiare delle stesse parole di Piersanti: «arriva la storia di Spiro che è morto, del suo destino che si è incrociato con quello di Gino, che è diventato a sua volta un albanese il quale sta tornando in Italia senza passaporto con tutti loro che sono uguali agli immigranti degli anni passati nostri, con la stessa speranza. E' questo che la musica cerca di comunicare. E poi c'è il tipo di montaggio per cui la ripetizione del tema è affidato soltanto alla crescita e all'enfasi (anche se enfasi non è il termine adatto); per quel tipo di emozione pensavo che fosse sufficiente il 'finto crescendo', quindi non un bisogno di aggiunta strumentale o di contrappunto, tanto è vero che rimane sempre una melodia accompagnata».
Nei titoli di coda la musica comincia con lo stesso Tema della nave, Tanti anni fa, ma poi continua con Kabà, che è una variazione di Soliloqui.
Per quanto riguarda le scelte musicali possiamo apprezzare la profonda concordanza con le intenzioni di Amelio: come il film ha un certo tipo di andamento epico, così le musiche, molto presenti all'interno del lungometraggio, enfatizzano e sottolineano i momenti cui sono affiancate. Uno degli elementi ricorrenti è il tessuto d'archi su cui si affermano poi i brevi temi con lo strumento solo: questi accordi tenuti conferiscono all'intervento musicale una profondità particolare, oltre a consentire un ingresso quasi impercettibile sui rumori in presa diretta. La scelta di Piersanti di fare riferimento ad una musica di tradizione balcanica per la maggior parte degli interventi contribuisce a creare una certa distanza tra lo spettatore e le scene: ci sentiamo proiettati in una cultura e in un mondo completamente diversi dai nostri, e questo è dovuto anche all'uso 'insolito' di strumenti come il violino ed il clarinetto e alla disposizione degli intervalli. Può essere questa una scelta solo di 'costume', per ambientare completamente lo spettatore in Albania? In realtà chi guarda questo film non si sente immedesimato nella storia, proprio perché le situazioni e le musiche creano un'atmosfera in cui un italiano non si può ritrovare. Questo ha molta importanza: il Tema Tanti anni fa, contenendo al suo interno una citazione di Rosamunda, una canzonetta popolare degli anni Quaranta, stride con le altre musiche, che oltre ad essere lontane dalla nostra cultura sono tematicamente più brevi e frammentate; il Tema in questione costituisce una 'strada conosciuta' per l'ascoltatore, ed è fondamentale che si senta nei momenti più 'italiani' di Spiro a partire dalla prima scena in cui compare, in cui è per noi ancora un'incognita, fino all'ultima, in cui ormai è chiaro il parallelo tra l'Italia della guerra e l'Albania contemporanea, ed è ancora più evidente per la presenza di questo Tema, che accompagna tutte le persone presenti sulla nave: niente ci dice se sono profughi di oggi o di ieri, italiani o albanesi, ma la disperazione, le attese, i sentimenti sono gli stessi e la stessa musica li accomuna.
La complessità del film ha richiesto anche una certa varietà di 'intenti musicali'. La prima apparizione della musica è sul protagonista Spiro, e lo stesso motivo lo identifica anche nelle scene successive. Questi interventi, data la frammentazione dei motivi, e di conseguenza anche la scarsa riconoscibilità da parte dell'ascoltatore hanno una funzione di accompagnamento. La stessa cosa si può dire degli interventi relativi a scene come il dialogo tra Gino e la dottoressa, la salita di Spiro sul pullman, l'arrivo del primo camion di notte nel paese dove si trovano i due protagonisti, la ripresa in campo lungo dell'altro camion, il dialogo tra i due protagonisti dopo il licenziamento del giovane, la discussione di Gino con il direttore della pensione dove vorrebbe lasciare il vecchio; sebbene possiamo riconoscere il forte valore di questa musica nel sottolineare la tremenda situazione che Gino e Spiro si trovano a fronteggiare, notiamo che non viene aggiunto nessun significato alla scena.
Musiche, invece, come le tante vesti sonore di Tanti anni fa, che ricorrono in momenti particolari del film, hanno una valenza narrativa, ci danno delle informazioni importanti. Non possiamo non citare il triste momento durante il viaggio in camion in cui, sebbene le reazioni dei presenti siano molto diverse, l'elemento che unisce spiritualmente tutti è proprio il commento musicale. Importante, in questo senso, è anche il momento in cui Spiro si trova sul treno e vede i militari dal finestrino: tutta la scena fa un 'balzo' indietro nel tempo, ci troviamo catapultati in un'altra realtà che è quella della guerra vissuta da Spiro; (5) questa non è tuttavia l'unica chiave di lettura della musica in una scena così complessa. Contemporaneamente infatti al 'ritorno indietro nel tempo' assistiamo alla messa in parallelo di due vicende: al vecchio 'disperso' nei meandri della storia si oppone un giovane, che rincorre affannosamente il treno, completamente e irrimediabilmente 'orientato' al presente. Questo flashback musicale, che ci permette di 'leggere' nella mente del vecchio, compare ogni volta che la situazione presente mostra dei paralleli evidenti con il tempo vissuto dal personaggio, ma al tempo stesso riesce a creare un'interazione con gli eventi reali della narrazione. Infatti in questo caso i numerosi inserimenti di motivi estranei all'interno del Tema principale costituiscono una sorta di 'collante' che unisce i luoghi diversi della scena e, di conseguenza, i tanti cambi di inquadratura. Le altre apparizioni di questo Tema sono relative all'arrivo del vecchio da solo in città - chissà, secondo la sua mente, in quale città italiana colpita dalla guerra -, e anche qui la soluzione dissonante anticipa la tortura che il vecchio subirà da parte dei bambini, quando Gino cerca di consolare Spiro, dopo averlo trattato male, chiedendogli di suo figlio, ancora sulla nave quando i due si ritrovano e Spiro parla di emigrare con la speranza di chi cerca fortuna all'estero. I momenti appena ricordati riguardano anche le ripetizioni del Tema Tanti anni fa con gli archi nell'ultima scena del film: lo spettatore, ormai avvezzo a sentire questo motivo sui pensieri di Spiro, nella conclusione 'sente' anche fisicamente il parallelo tra le storie delle popolazioni in guerra, e questo significato è affidato alla musica, per la prima ed unica volta indiscussa protagonista della scena sonora; la presa diretta scompare per lasciare 'la parola' alla forte espressività dell'intervento musicale.

NOTE
(1) Io trovo i suoi film sempre molto difficili da ‘abbordare’ musicalmente, sono quelli che mi pongono più scrupoli, più problemi; considero Amelio veramente un grandissimo maestro. Negli anni ha agito su di me provocandomi e dandomi un grande insegnamento su quello che è il senso della drammaturgia cinematografica, dal tipo d’inquadratura alle scelte musicali... Quello che è diventato rigore con lui si esprime nella maniera più chiara e più decisa.
(2) Una soluzione povera, ‘non ufficiale’; c’era anche l’idea di renderla un po’ ‘spiazzante’ per quello.
(3) Io sento che con i suoi film c’è sempre stato da parte mia un passo in avanti, assecondandoli sempre, quindi c’è una cifra costante che è cercare di ridurre il potenziale espressivo, ma non impoverendo il materiale, proprio per un’esigenza ed una visione comune, di rispetto verso i personaggi, verso le situazioni… C’è molto pudore in questo, facciamo una ‘gimcana’ in mezzo a tutto quello che è luogo comune, spiazzando spesso anche l’ascolto, cercando di rendere il più imprevedibile possibile anche l’appuntamento musicale.
(4) Sì, è poeticamente didascalica, perché parte da un punto di vista oggettivo e poi diventa soggettivo, è lui che guarda oltre il vetro; questa era l’idea.
(5) Per un film del genere si dice «potevo essere più generoso, poteva venirmi meglio e non l’ho fatto», dubbi del genere. LAmerica, e tutti i film di Amelio io li sento molto, quindi chissà se una partecipazione così forte, così attiva emotivamente non giochi addirittura contro, perché sarebbe forse meglio riuscire ad essere distaccati pur mantenendo quella ‘temperatura’ che si pensa sia necessaria; in questo gioca molto il rapporto con il regista: alla fine si è sempre in due a ragionare, a far passare o a cambiare le cose.

 

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