22 Set2015
“Una grande lezione di musica per film” – Parte Quinta
“Una grande lezione di musica per film” – Parte Quinta
Colonne Sonore porta avanti le numerose richieste di giovani lettori che stanno studiando composizione e che vorrebbero in futuro intraprendere la carriera di compositori di musica applicata, facendo affidamento su coloro i quali vivono in prima persona l’Ottava Arte e la creazione di musica per immagini, chiedendo ai compositori stessi di rispondere a sei domande che la nostra redazione ha ritenuto interessanti ed esaurienti sul come divenire autori di musica per film.
Ecco a voi la quinta parte della Lezione-Intervista di musica applicata con le sei identiche domande a cui molti compositori italiani e stranieri hanno risposto per aiutare i futuri giovani colleghi che si confronteranno con la Settima Arte e la sua musica:
Domande:
1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?
2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?
3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?
4) Avete una vostra score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?
5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?
6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?
Pivio (compositore, insieme ad Aldo De Scalzi, di Song’e Napule, la fiction L’ispettore Coliandro, Le frise ignoranti, la serie Distretto di polizia)
1) Trovo alquanto complicato cercare di codificare in una vera e propria metodologia il nostro approccio alla creazione di una colonna sonora. Affermo questo perché da quando 18 anni fa abbiamo iniziato ad occuparci di tale ambito musicale si sono verificate condizioni di partenza sempre diverse; talvolta la scrittura è partita in parallelo con la stesura della sceneggiatura, molto più spesso ci si è ritrovati ad essere coinvolti a film finito e montato. In mezzo a queste due situazioni limite è possibile trovare una serie assai complessa di possibili variazioni.
In linea di massima comunque è fondamentale riuscire ad identificare l’eventuale idea del regista (con discussioni ed eventualmente ascolti di materiali sonori) per attivare la fase di confronto creativo, basato sull’identificazione di suoni, ritmi, ambienti musicali caratterizzanti, che porrà le basi per il successivo sviluppo della colonna sonora.
2) In realtà le nostre scelte stilistiche non sempre partono dal presupposto di realizzare la colonna sonora con il classico organico orchestrale. La nostra ricerca sul suono ci ha portato spesso a scegliere altri modi e altri mondi sonori, acustici ed elettronici, che poco o nulla hanno da condividere con il suono orchestrale (quanto meno secondo la corrente idea che si ha di questo).
Altro discorso è cercare, di solito per motivi di budget, di riprodurre l’organico orchestrale con la tecnologia. Credo ci siano in questo senso molti falsi miti, in particolare quello secondo il quale utilizzando plugin e librerie come Orchestral East West o similari (ormai ce ne sono moltissime, anche molto sofisticate) si risparmi sul budget. Questo può essere vero solo immaginando una programmazione dei singoli suoni abbastanza approssimativa ma, se l’intenzione è cercare di riprodurre totalmente l’enorme variabilità timbrica ed esecutiva che può dare un vero musicista, allora le cose cambiano perché la quantità di ore di lavoro richieste per ottenere tali risultati inizia a diventare enorme.
In questo senso, spesso i nostri sforzi sono rivolti ad una imbastitura del progetto soprattutto per dare al regista, al montatore ed al produttore la possibilità di comprendere meglio le nostre scelte melodico/armoniche. Parte di questo massiccio lavoro di pre-produzione comunque servirà poi ad ottenere un suono più ricco nel momento in cui entriamo in sala con musicisti veri e diventa fondamentale se come purtroppo sempre più spesso succede siamo costretti a confrontarci con organici limitati.
3) Come dicevo, il flusso produttivo che porta alla realizzazione di una colonna sonora può dipendere da condizioni iniziali molto differenti tra loro. L’utilizzo di Temp Tracks, cioè di musiche non originali utilizzate in fase di montaggio da parte di montatore e regista, è ormai una pratica molto diffusa. Personalmente credo che, pur cercando di non demonizzarla, spesso questa metodologia crei condizioni artistiche troppo limitanti nelle scelte creative che il compositore potrebbe perseguire, visto che in definitiva si vede costretto a inseguire stili, suoni e ritmi non sempre condivisibili o che comunque non lasciano spazio a soluzioni alternative.
Inoltre, problema affatto banale, molto spesso queste musiche temporanee provengono da produzioni la cui ricchezza non è confrontabile con i mezzi con cui ci si deve confrontare ed è indubbio che negli ultimi anni il mercato e gli investimenti per le colonne sonore, soprattutto in Italia, hanno subito una terribile contrazione cui è corrisposta una radicale diminuzione del budget disponibile. Molti editori storici sono scomparsi e quelli rimasti in attività, talvolta direttamente collegati alla società di produzione del film, ormai impongono “standard” di budget che posso definire, senza tema di smentita, totalmente “improbabili” sia per ciò che riguarda l’impegno del compositore (il cosiddetto premio partitura) sia per ciò che riguarda i mezzi a disposizione per la realizzazione e finalizzazione di una colonna sonora.
Questo gap tra l’atteso ed il possibile spesso (diciamo sempre) si traduce in inevitabili “mal di testa” (per usare un cortese eufemismo) e una forma molto diffusa di sconforto tra i compositori che si occupano di musica applicata.
4) Le difficoltà compositive devono essere sempre messe in conto. Sarebbe irreale pensare di riuscire ad affrontare qualsiasi progetto senza fasi di stop creativo. Quando succede, il trucco credo sia non accanirsi a cercare pervicacemente una possibile soluzione e prendersi una salutare pausa svuotando il cervello e dedicandosi ad altro ... La soluzione prima o poi arriva ...
5) Personalmente credo che ci sia un filo che collega tutte le nostre attività tra di loro, anche quelle che sembrano non avere una precisa logica di causa ed effetto. IO arrivo alla mia prima esperienza come compositore di colonne sonore con il film d’esordio di Ferzan Ozpetek Hamam - il bagno turco attraverso una incredibile serie di combinazioni: all’epoca lavoravo a Madrid come ingegnere elettronico presso il quotidiano El Pais e nel tempo libero avevo realizzato con il mio sodale Aldo De Scalzi un CD dal titolo Deposizione a nome di una fantomatica band chiamata Trancendental, in relatà formata da Aldo e me con l’ausilio di qualche incidentale collaborazione di qualche amico. Il progetto musicale che stavamo perseguendo era una sorta di originale mix di tradizione mediterranea (soprattutto turco/maghrebina) e tecnologia spinta. Tale CD arriverà attraverso una serie di passaggi più o meno casuali alle orecchie del produttore Marco Risi e dell’attrice Chicca D’Aloja ed infine al regista Ferzan Ozpetek, trovando in esso le sonorità (o parte di esse) che stava cercando per il suo film. Aldo ed io non avevamo la più pallida idea di come realizzare le musiche per un film ma la cosa ci è subito piaciuta ed in 12 giorni abbiamo scritto, suonato e mixato tutto quello che poi è finito nel film. Da allora sono passati 18 anni e ad oggi abbiamo al nostro attivo più di un centinaio di lavori tra cinema e tv.
6) Alla fine del 2004, Aldo ed io abbiamo fondato la nostra società di edizioni Creuza S.r.l. e la nostra etichetta discografica “I dischi dell’espleta”. Tra gli obiettivi che c’eravamo imposti c’era anche quello di concretizzare i nostri lavori anche su supporto fisico (oltre che su quello digitale). Il nostro non è mai stato un atteggiamento nostalgico, basato sul fatto che la nostra adolescenza musicale è stata in buona parte coltivata con l’acquisto di centinaia e centinaia di vinili; in realtà ancora oggi il supporto fisico mantiene una fortissima capacità evocativa e rimane per noi uno strumento fondamentale per la veicolazione della nostra produzione. Attraverso il nostro sito ufficiale www.pivioealdodescalzi.com continuiamo a vendere con una certa regolarità i nostri prodotti e, nonostante sia possibile anche l’acquisto degli stessi in formato digitale, la versione fisica incide ancora per circa il 70% delle nostre vendite.
Probabilmente il nostro mercato è legato a quel segmento d’utenza che ricerca ancora un ascolto attento e “responsabile”, come si può ottenere con il vinile ed il CD, mentre probabilmente il mercato digitale trova maggiore attinenza con chi ha un approccio più disinvolto e forse più distratto. Comunque entrambe le modalità sono disponibili e quindi, in definitiva, come direbbe una persona cui sono molto legato, va bene lo stesso.
Stefano Mainetti (compositore di Talos, l’ombra del faraone, la fiction Orgoglio, 100 metri dal paradiso, l’audio Bibbia su CD The Word of Promise: NKJV New Testament)
1) Non ho un sistema prestabilito. Molto dipende dal tipo di lavoro che sto per affrontare. Se è una pièce teatrale cerco di partecipare alle letture a tavolino con gli attori ed il regista. Su una serie televisiva preferisco prima leggere almeno il trattamento. Con il cinema spesso comincio a scrivere lavorando di concerto con gli sceneggiatori. In tutti i casi cerco un quid, un’idea, magari poche battute, non necessariamente tematiche, ma che rappresentino il dna, il cuore di quel soggetto, il logo di quel film. Quando sento che sto per avvicinarmi al risultato atteso non lo mollo più, ci giro intorno ancora e ancora finché la musica prende corpo lasciandomi suggestionare dal racconto e dalle immagini. Spesso sono al pianoforte, altre volte alla chitarra, altre volte ancora mi appunto semplicemente un’idea sul pentagramma o al computer. Una volta centrata l’idea di base, la fase più propriamente creativa, comincio ad orchestrare e a spalmare il materiale sonoro, sulle immagini, sulle scene. Un approccio particolare l’ho avuto con le musiche composte per il teatro d’avanguardia di Memè Perlini: provavamo tutti gli spettacoli alla Piramide a Roma, uno spazio dove si sperimentava in continuazione. Lì ho lavorato molto sul suono, registrando materiale sonoro durante le prove che poi utilizzavo, trattandolo opportunamente, per comporre lo score finale.
Ho continuato a sperimentare anche sulla musica da film: ricordo per esempio che per un horror americano, Talos the Mummy contattai un bravissimo jazzista, Enzo Favata, sassofonista e non solo. Lavorammo parecchio sugli aerofoni, molti di sua costruzione e campionammo ore di sperimentazione fatta insieme che poi utilizzai, missata, con un organico di 120 elementi.
2) Provengo da una generazione di compositori che scriveva tutto a matita in partitura, dopodiché si dava tutto al copista, quasi sempre a quella meravigliosa persona che era Donato Salone, un vero personaggio nel nostro ambiente. La computer music non esisteva. Ho cominciato ad utilizzare l’Atari, come sequencer, intorno al 1989, dopo aver composto una quindicina di score in maniera classica. Sono sempre stato affascinato dalla tecnologia e quindi mi sono subito adattato bene. Compatibilmente con le necessità del film ho sempre cercato di integrare suoni “elettronici” e suoni orchestrali, è stimolante, hai molte più possibilità di sperimentare ed allargare gli orizzonti. Ci sono impasti che puoi ottenere solo usando l’elettronica con l’orchestra. Spesso preparo tutti i suoni di sintesi nel mio studio e li faccio “girare” in cuffia insieme al clic, mentre dirigo l’orchestra. Bisognerebbe fare un uso del computer evitando la simulazione dell’orchestra nuda e cruda con le tecniche di campionamento. Questo spesso non è possibile per problemi di budget, con tutte le vie di mezzo e le conseguenze che questo atteggiamento comporta.
3) Personalmente preferisco non avere temp track per non farmi influenzare. Quando è possibile comincio a lavorare prima ancora che siano iniziate le riprese, così da poter proporre le mie musiche maturando il mio percorso insieme al regista, allo sceneggiatore e al montatore. Molto spesso però i registi durante il montaggio adottano musiche di repertorio preesistenti. Questo sistema è molto utile per svariati motivi: permette, in primis, di dare ritmo al montaggio della scena e di evidenziare immediatamente il carattere e le peculiarità delle tematiche affrontate. Permette inoltre, e questo è forse il principale motivo, di presentare le varie proiezioni di controllo al produttore, agli enti televisivi, alle banche, che danno i soldi a stadi d’avanzamento, già in fase evoluta, con una musica che, anche se provvisoria, riempirà pause e scene che verrebbero altrimenti fraintese dallo spettatore non esperto. Tutto ciò ha però un pesante rovescio della medaglia: Il regista difficilmente dimentica la temp track e rimane vincolato all’impressione di dover rinunciare alla sua colonna sonora ideale. Qui il compositore deve mostrare la propria personalità musicale evitando di scimmiottare la temp track e convincendo la postproduzione che il proprio lavoro ha, se non altro, una coerenza interna che una temp track, stile compilation, non può avere. Molto utilizzato nel film di genere americano, sopratutto nei film d’azione, il sistema è rifiutato in blocco da alcuni compositori che non vogliono ascoltare la temp per non esserne influenzati. Recentemente al Festival del Cinema di Venezia è stato presentato in anteprima mondiale un bellissimo docufilm dedicato a Brian De Palma dove il regista, presente in sala, ha ricordato un episodio legato alla temp track: aveva appena terminato il montaggio del suo film Obsession e pensò di affidare la colonna sonora al grande Bernard Herrmann. De Palma utilizzò come temp track dei brani tratti da Psyco che lo stesso Herrmann aveva composto per il film di Hitchcock. Appena il compositore riconobbe le sue musiche bloccò la proiezione e minacciò di andarsene qualora non gli avessero mostrato il film senza temp. È così fecero, la proiezione avvenne senza colonna sonora provvisoria, per la gioia dello scorbutico e geniale Maestro.
4) In generale la creatività mi ha sempre aiutato. Sono molto sensibile alle immagini e il processo compositivo normalmente cresce con la loro assimilazione. Certo non puoi pensare di essere sempre ispirato alzandoti alle 5 del mattino con i capelli dritti e un’idea geniale. In caso di necessità premere il bottone... C’è un cassetto pieno di spunti, di idee di appunti da cui attingo e a cui faccio riferimento quando proprio non viene fuori niente di buono. È un serbatoio di riserva, con idee musicali che nel tempo ho scritto e mai utilizzato. In fondo è un problema di sincrono; hai scritto prima una musica per un film che ancora non esisteva. Confesso...mi è successo un paio di volte.
5) Provengo da una famiglia di non musicisti. Da bambino mi regalarono una chitarra e cominciai a studiarla seriamente, privatamente. A proposito di questo vorrei aprire una piccola parentesi su quello che era ed è la situazione dell’insegnamento della musica nelle scuole italiane: l’insegnamento della musica in Italia è sotto il livello delle altre nazioni europee. Le istituzioni non aiutano e nelle scuole tradizionali l’ora di musica è relegata spesso e volentieri al ruolo di ricreazione, o poco più. Questo è un vero peccato perché un sano approccio con la musica sin da ragazzi sarebbe formativo al pari di materie come la filosofia o la matematica. Indipendentemente dal lavoro che svolgeranno nella società di domani, i ragazzi troverebbero grande giovamento nell’apprendere almeno i requisiti musicali di base. Avere una buona pratica musicale dona una grande elasticità mentale e dà una chiave di lettura in più della realtà. Come spesso avviene nel nostro Paese, l’iniziativa è lasciata ai singoli insegnanti che per quanto possano essere preparati si trovano di fronte ad una mancanza cronica di strutture di base: assenza di strumenti musicali, orari dedicati assai risicati, impossibilità di fare musica d’insieme o semplicemente di ascoltare musica diversa da quella commerciale. Alla fine l’insegnamento della musica nelle scuole italiane si riduce, quando va bene, all’ora settimanale di flauto; strumento rispettabilissimo, per carità, ma che non può certo dare una visione completa della musica essendo uno strumento monodico, senza nessuna possibilità di destreggiarsi nel meraviglioso mondo dell’armonia. Anche la mancanza di un repertorio minimo di musica classica a disposizione nelle scuole è deplorevole; non avere mai ascoltato le “Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi, così come tanti altri classici, è come non sapere chi sia Platone o Galileo Galilei. Per fare un parallelo in Italia è passato, purtroppo e soprattutto in certi ambienti, il falso messaggio che la vera “cultura” è solo quella umanistica e tutto ciò che viene dal mondo della scienza e della matematica viene considerato di secondo piano, come se fosse tecnicismo sterile, fine a se stesso, non cultura vera e propria. Temo che la musica stia subendo lo stesso trattamento. A differenza di altre forme d’arte che vengono giustamente approfondite nella dovuta maniera, la musica non segue questo iter e fa ancora più male se pensiamo che l’Italia è stata per secoli lo scrigno della cultura musicale Europea.
Tornando al mio percorso, col passare degli anni mi resi conto che preferivo scrivere piuttosto che esibirmi o partecipare ai concorsi. Al di là dell’emotività c’era un aspetto del mio carattere che poi prevalse: preferivo pensarle le cose, scriverle in maniera ponderata piuttosto che eseguire di getto classici di grandi autori del passato. L’esecuzione dal vivo non ti dà una seconda chance, devi avere il piacere di mostrarti al pubblico, io questo lo vivevo come un limite. Per di più sento di esprimermi meglio attraverso la mia musica. Vivo l’atto del comporre come necessità impellente, sento che la parte più intima di me arriva meglio alla gente attraverso le note piuttosto che con le parole. L’amore per il cinema ha fatto il resto, le prime esperienze consistevano nel sonorizzare i filmini 8mm di famiglia. Scrivevo la colonna sonora cercando di amplificare il messaggio visivo e provavo grande appagamento in questo, mi dava un effetto di realtà aumentata, catapultandomi in un mondo più ricco di quello che le immagini da sole riuscivano a restituirmi. I risultati erano ovviamente molto limitati ma la passione era la stessa che provo ora, la sostanza negli stimoli non è cambiata.
6) Da un pò di tempo il CD fisico della colonna sonora non viene quasi più realizzato a favore dei download digitali. Io ho visto pubblicare una trentina di miei lavori fra 33 giri e CD e da qualche anno, seguendo le leggi del mercato, vedo i miei score solo su iTunes o similari. La cosa non mi preoccupa più di tanto a livello di comunicazione e di penetrazione mediatica, anzi, in questa maniera riesci ad avere un audience maggiore, sparsa in tutto il mondo. Il problema da regolamentare è quello sul diritto d’autore. Le piattaforme digitali, dai satelliti a youtube, non ti garantiscono quello che ti dava il CD fisico, i download illegali e le duplicazioni si sprecano. Spesso faccio fatica a spiegare l’entità del problema ai non addetti ai lavori; c’è la strana, diffusa e sottesa convinzione che la fruizione della musica debba essere gratuita, dimenticando che per un compositore il diritto d’autore è spesso l’unica fonte di guadagno. C’è poi l’aspetto romantico da non sottovalutare. Un CD è sempre un CD, ha una copertina, una storia, lo puoi vedere, lo puoi toccare. I collezionisti di colonne sonore sono disperati!
Daniele Furlati (compositore di Il vento fa il suo giro, L’uomo che verrà, Un giorno devi andare)
1) Penso ai film per Giorgio Diritti, collaborazioni a quattro mani con Marco Biscarini, nei quali la metodologia ha avuto delle costanti a partire dal luogo creativo: nello studio Modulab è stato possibile stendere le prime idee partendo dal pianoforte e da provini in digitale, ai quali sono stati poi aggiunti degli strumenti reali fino ad arrivare alla realizzazione finale. Posso dire quindi che questi lavori sono nati in progress, con una metodologia vicina a quella del pop.
In questi giorni sto lavorando a due progetti che necessitano di metodologie diversissime. In un caso, si tratta di un’opera prima che racconta la storia generazionale di due ventenni. Ho studiato il film e mi è venuto in mente un tema per due chitarre elettriche pensando alle quinte vuote di Copland. Su questo film è stato necessario adottare un approccio pop lavorando direttamente in studio alla composizione di quasi tutti i pezzi. Trattandosi principalmente di musica elettronica, ho suonato direttamente sotto alle sequenze per le quali era previsto l’intervento musicale.
L’altro progetto è un documentario nel quale sono inserite una serie di animazioni che raccontano paure e ricordi legati alla vicenda del protagonista. Ho pensato di raccontarle musicalmente con la voce di un importante cantante specializzato in musica contemporanea. Per lui ho composto dei moduli aleatori e l’ho guidato nell’improvvisazione di effetti vocali che abbiamo registrato in studio. Da questa registrazione ho ricavato una library di “lego” sonori che ho poi ricomposto sulle immagini.
2) Il problema del budget è sempre più frequente e incombente, soprattutto su cortometraggi e documentari, e può limitare fortemente la qualità del prodotto finito.
Per fare di un danno virtù, quando mi sono trovato a servire musicalmente con pochissimi mezzi storie che meritavano di essere raccontate, ho cercato una sintesi di suono accettando la sfida di fare tanto con poco. Ovviamente non so se ci sono riuscito, però per il documentario L'equilibrio del cucchiaino di Adriano Sforzi, che ha vinto il premio del pubblico e il secondo premio della giuria nel giugno scorso al Biografilm festival di Bologna, ho utilizzato un piccolissimo organico: tromba, pianoforte e violoncello. Il documentario racconta del più grande giocoliere del mondo, il contesto è quindi quello del circo e, non avendo a disposizione una banda o una grande orchestra, ho pensato di usare lo strumento che per eccellenza ricorda il circo, che è la tromba, non però nel modo convenzionale circense, bensì associato al pianoforte e al violoncello formando un trio da camera classico. Ho cercato per la tromba uno stile vicino a quello della scuola Bolognese pensando a Giuseppe Torelli. Il violoncello mi fa sia da basso continuo che da solista romantico in duo con il pianoforte che a sua volta è anch’esso solista con uno stile più mozartiano. La musica cameristica è formata da solisti virtuosi e questo aspetto mi ha rimandato comunque al circo permettendomi di seguire un binario musicale parallelo alla storia.
3) Per ogni film su cui ho lavorato, la musica ha una storia a sé. Il primo film che ho musicato è stato nel 1995 Viva San Isidro di Alessandro Cappelletti, meticolosissimo regista che prima delle riprese mi fece leggere la sceneggiatura e lo storyboard. Lui aveva in testa dei riferimenti musicali molto precisi che mi diede come modello. Composi i pezzi con delle stesure musicali prima, poi una volta montato il film le adattai alle varie scene con le rispettive orchestrazioni. Questa è stata un’esperienza. Completamente diversa è stata quella per Il vento fa il suo giro di Diritti, dieci anni dopo. Quando lo vidi per la prima volta, il film era già stato girato e montato e sotto erano già state appoggiate delle musiche che misero molto in difficoltà il lavoro di composizione originale. Era necessario dimenticare quei riferimenti e, cosa ancora più difficile, farli dimenticare al regista che li aveva in testa da molto più tempo. Alla fine, fatta eccezione per un piccolo pezzo secondario in cui è un pò più evidente il riferimento che ha fatto da ispirazione, il resto delle nostre musiche non ha avuto nulla a che vedere con quelle provvisorie ed è nata una colonna musica che ha fatto dimenticare tutti i riferimenti precedenti. Per L’uomo che verrà le prime bozze musicali sono nate dopo aver letto la sceneggiatura. Per quel che mi riguarda, però, dopo aver visto un premontaggio l’emozione suscitata dalla lettura non corrispondeva con quella delle riprese, e delle prime musiche buttate giù è rimasto ben poco... Anche l’iter lavorativo di Un giorno devi andare è partito dalla lettura della sceneggiatura, però qui a differenza degli altri film c’era bisogno di un brano da utilizzare durante le riprese. Si trattava di una scena di ballo girata sull’arrangiamento provvisorio per clarinetto e fisarmonica di una canzone brasiliana registrato a un click preciso che poi è stato sostituito dalla versione definitiva per banda e voce registrata con lo stesso metronomo. Questo metodo ci ha permesso di sincronizzare perfettamente la musica alle immagini, sostituendo semplicemente la vecchia versione con la nuova. Per altri film di registi diversi ho avuto modo di collaborare con lo stesso montatore, Paolo Marzoni, e la conoscenza pregressa ha agevolato il mio lavoro: la fiducia reciproca che non è per nulla un aspetto da sottovalutare.
4) Ogni lavoro presenta difficoltà che talvolta risultano insormontabili. Mi stupisco sempre quando al primo colpo si centra il pezzo giusto, quello che seppure con qualche modifica resta dall’inizio alla fine. Pensando alle difficoltà mi viene in mente L’uomo che verrà, e in particolare la scena in cui Martina, la bambina che non parla, viene rincorsa da altri bambini che la deridono e si rifugia nella stalla. Qui la musica giusta è riuscita dopo numerosi tentativi fallimentari ed è stata l’ultima di tutto il film a essere chiusa. La soluzione è stata trovata con poche note di viola eseguite in modo molto rustico. Erano prove, quasi “errori” che stavamo per scartare, eppure sulle immagini creavano un calore particolare che si confondeva con il verso del bue. Il risultato finale non fa sicuramente pensare alla difficoltà dell’inizio. Del resto è anche questo, il bello del nostro lavoro: dover cercare una soluzione comunque, con o senza limiti.
5) La passione per il cinema me l’ha trasmessa mio zio, quand’ero bambino. La musica è stata inizialmente per me un mondo a parte: tornavo da scuola e la prima cosa che facevo era mettere su i dischi e ascoltarli in rigoroso silenzio. Quando ho iniziato il Conservatorio volevo sentir parlare solo di Mozart, e un bel giorno al cinema uscì Amadeus. Mi chiedo se sia stato proprio quel film a unire le mie due passioni. In seguito, da studente, il mio maestro di composizione mi presentò un regista per il quale mi chiese di registrare col pianoforte un estratto da un brano di Debussy per una pubblicità, alla quale seguì la composizione delle musiche per un suo filmato industriale. Poi venne fuori il primo film e con non poche difficoltà, perché ero molto giovane e non avevo esperienza, quello stesso regista decise di affidarmi la composizione delle musiche.
6) Per i miei primi lavori, ritenevo molto importante la pubblicazione in CD e mi emozionavo alla sua uscita nei negozi. Oggi non lo ritengo così importante, anzi m’interessa di più l’edizione in DVD del film. Poi, se l’editore è d’accordo, si può fare una piccola tiratura in CD oltre all’ordinario digital download.
Marco Biscarini (compositore di Il vento fa il suo giro, L’uomo che verrà, Un giorno devi andare)
1) Non esiste un unico modo di approccio almeno per la mia esperienza.
Ho Fatto film che mi hanno consegnato già montati e finiti come ho seguito un film dalla sceneggiatura alle riprese fino al montaggio.
Direi che questa modalità seppur richiede maggior impegno è quella che prediligo perché nel percorso ti permette di sperimentare soluzioni diverse ed anche tornare indietro da certe scelte e rivederle.
Mi piace vivere il film proprio per entrare dentro il concetto di opera collettiva, vedere come lavora lo scenografo, il fotografo, sono tutti spunti per l’ispirazione.
Ricordo che il tema principale de L’uomo che verrà è nato subito dopo la visita del set dove si iniziavano le riprese.
L’umidità di quella vecchia casa di contadini mi ha ispirato subito l’uso della goccia d’acqua che galleggia per tutto il film e che acquista un valore simbolico diventando l’umido dell’Inverno fino alla goccia di sangue della strage.
2) Fino ad ora ho prediletto il lavoro di studio che mi permette di lavorare ed incidere sezioni orchestrali separate e di progettare così il mix e la loro spazializzazione indipendentemente e separatamente.
Nella separazione posso sperimentare diverse microfonature, crearmi ambienti separati e finalizzare tutto al mix 5.1.
E’ stato così nell’ultimo film del regista albanese Gjergj Xhuvani Distant Angels dove ho optato per ambienti e reverberi naturali e che mi ha portato a registrare tutte le sezioni separatamente.
3) Lavorare sulla sceneggiatura mi piace molto perché lo trovo quasi un approccio da libretto d’opera.
So anche che molto spesso la resa filmica sarà diversissima e non prevedibile e che molto di quel materiale sarà inutilizzato ma credo che per me è una fase importante per arrivare al nocciolo della questione: la giusta colonna sonora!!!
Idem lavorare parallelamente al montaggio è importante quando anche tu compositore riesci ad influenzare il montatore che si adatta al ritmo e all’andamento delle tue musiche.
Più difficile quando non c’è interscambio tra il montatore e il compositore.
Alla Temp Track bisogna abituarsi e non demonizzarla né temerla.
Riassume spesso un’atmosfera ma non impone niente, bisogna saper cogliere l’essenza di quel riferimento.
Cosa diversa quando ti dicono voglio esattamente un pezzo così!!!
Li son problemi!!!
4) Si soprattutto con Giorgio Diritti. Ricordo che ne L’uomo che verrà chiedeva sempre il suono dei bambini! Come vedono e vivono la guerra i bambini.
Quando entri nel mondo dei bambini il rischio della banalità è sempre alto!
Pinocchio di Carpi è sempre dietro l’angolo.
Insomma non se ne veniva fuori finché un giorno casualmente ho assistito a due bambini che giocavano alla guerra facendo tutti i versi possibili: “eh oh ah bum”.
Insomma fui fulminato e da li costruì i Bambini urlanti che spiazzò veramente il regista!!!
5) Io ho seguito un percorso Accademico di studi in Conservatorio dove però ho esplorato tutte le discipline compositive, da Composizione Elettronica alla Musica Jazz, all’Arrangiamento.
Questo secondo me mi ha dato questa visione a 360 gradi della musica che nel cinema di oggi è un requisito fondamentale.
Infatti ora che insegno Composizione per la musica Applicata alle Immagini al Conservatorio di Rovigo ai miei studenti insisto molto sul saper lavorare ad ogni linguaggio e gestire dalla partitura all’elettronica ed essere completamente trasversali.
6) E’ importante per capire se il Lavoro sa essere anche indipendente dal film e dalle immagini.
Può essere questa colonna sonora un bel CD di musica anche senza il film?
Questo è sempre il mio obbiettivo, lavorare per il fin ma ricavare anche un’autonomia della musica dal contesto filmico.
Penso sempre alla musica di Bach perfetta sulle immagini ma non certo nata per un film, indipendente, assoluta, perfetta, funziona sull’Antartide come nella Savana, anche sul nero fisso!
Fino ad ora è andata bene, tendiamo verso Bach restando umili!!!
Francesco Di Fiore (compositore di Empty Home, Ore diciotto in punto)
1) La mia esperienza in ambito cinematografico è limitata a una colonna sonora originale sebbene altre mie musiche siano state utilizzate nei film. Tuttavia per anni ho scritto un altro genere di colonne sonore, musiche di scena per il teatro. Questa è stata anche una gavetta che mi ha consentito di giungere preparato al momento di scrivere la mia prima autentica colonna sonora.
Essendo la colonna sonora uno dei pilastri portanti di ogni film è un elemento che, più o meno coscientemente, giunge allo spettatore col suo proprio colore e nutre ogni scena di significati nuovi. Ogni regista sa che la musica è elemento cardine e il compositore dunque ha un’enorme responsabilità. Per questo credo sia indispensabile avere numerosi confronti con il regista dopo la lettura della sceneggiatura ancora prima di avventurarsi nel processo creativo.
2) Sostanzialmente tendo all’utilizzo di un vero organico orchestrale, eventualmente ridotto all’osso per motivi di budget ma che sia comunque equilibrato. Personalmente trovo molto fastidio nell’ascoltare al cinema orchestre palesemente virtuali, talvolta addirittura con organici eccessivi e sovradimensionati. Per questo motivo cercherò sempre di evitare l’utilizzo degli strumenti virtuali. Credo che sia possibile commentare qualsiasi immagine in movimento restituendo emozioni precise con qualunque organico. Ovviamente bisogna convincere il regista il quale potrebbe trovarsi disorientato di fronte a un ensemble ridotto quando invece si aspettava un suono alla John Williams. Tuttavia è proprio il tipo di suono che distingue ogni compositore, sia che utilizzi un organico essenziale o che disponga di una grande orchestra, reale o virtuale che sia.
3) Il primo approccio avviene con la lettura della sceneggiatura. Il secondo con la rilettura della sceneggiatura. Successivamente arriva il confronto con il regista che svela molto dell’impianto generale del film. A questo punto ci troviamo all’interno della fase creativa. Si delineano le linee guida musicali che costituiranno la struttura portante. A me piace creare dei ritratti dei personaggi principali e di quelli che eventualmente attirano la mia attenzione. Anche associare uno strumento particolare (o un certo tipo di suono) a un personaggio o a un ambiente, sebbene non debba necessariamente essere dichiarato. Poi far evolvere questi elementi in modo naturale, spontaneo, come succede solitamente con tutta la mia musica. Le temporary track possono sì aiutare il montatore ma possono anche pericolosamente influenzare il regista deviando la creatività del compositore. Preferisco che il montatore utilizzi la mia musica, registrazioni provvisorie e simulazioni orchestrali che verranno poi sostituite con le versioni definitive se non addirittura con musiche completamente riscritte. Devo dire che amo molto essere ispirato dalle immagini e quel tipo di lavoro mi stimola molto.
4) Nella mia esperienza di compositore di musiche per il teatro ho avuto molte più opportunità rispetto alla mia esperienza cinematografica con Giuseppe Gigliorosso per Ore diciotto in punto che definirei esemplare. Ho lavorato con diversi registi, con molti ho avuto un rapporto idilliaco. Le difficoltà maggiori sono sempre scaturite da una difficile comunicazione con il regista. Quei registi non aperti al confronto hanno avuto alla fine un prodotto forse per loro soddisfacente ma che sento totalmente distante dal mio universo musicale.
5) La mia carriera di compositore attualmente non è incentrata sulla produzione cinematografica, diciamo che quest’ultima insegue il resto della mia produzione. Amo molto il cinema, seguo il lavoro dei miei colleghi più illustri, la loro evoluzione negli anni e da loro imparo: sono i miei maestri anche a loro insaputa. Non ho difficoltà ad affermare che uno dei miei più grandi desideri è sempre stato scrivere per il cinema. Il teatro in verità è stato un’alternativa ma voglio precisare che sebbene cinema e teatro possano sembrare due cose molto simili in realtà presentano differenze sostanziali. Da sempre la mia musica è legata alle immagini, qualsiasi mia composizione è legata a immagini, ad ambienti, ad azioni. Ma è un aspetto che non necessariamente va dichiarato, fa parte del mio procedimento creativo, è un’ispirazione. Sottolineo questo per confidarvi quanto il mio universo sonoro sia legato a quello visivo. È per questo forse che mi muovo perfettamente a mio agio tra i fotogrammi.
6) A questa domanda pochi anni fa avrei forse risposto diversamente da quello che mi accingo ad affermare oggi.
Premetto che la mia attività artistica non gravita esclusivamente in ambito cinematografico, sono compositore ma anche pianista per cui la mia considerazione andrebbe contestualizzata in un ambito leggermente più vasto rispetto ai soli CD di colonne sonore.
È assolutamente vero che il digitale ha ferito gravemente il mercato discografico. È vero anche che ha permesso alla musica di viaggiare molto più lontano, di diffondersi e arrivare ovunque. Quanta musica ho avuto l’opportunità di conoscere, ascoltare ed amare proprio grazie al digitale!
Ciò non toglie però la necessità di continuare a produrre il CD fisico. Tralasciando l’aspetto della qualità di ascolto, la fisicità è un grosso incentivo ad acquistare un CD. Il CD da collezionare, con il libretto interno delle note all’ascolto, restituisce un’esperienza totalmente diversa alla quale un vero amatore non è in grado di rinunciare. È recentemente uscito un mio album che ho presentato con un tour in Olanda. Questa recente esperienza mi ha permesso di ripensare al gesto rituale dell’autografo e di rivalutarlo in un momento in cui la diffusa pratica dei selfie lo ha praticamente rimpiazzato. È un momento, un incontro veloce immortalato e in qualche modo umanizza anche il disco: è ancora impossibile firmare un mp3. Anche per questo auspico che il CD rimanga costantemente presente nell’universo musicale.
Gianluca Sibaldi (compositore di Il paradiso all’improvviso, Ti amo in tutte le lingue del mondo, Io e Marilyn, Un fantastico via vai)
1) Forse dico una banalità, ma dipende molto da che tipo di produzione è, e da cosa mi viene richiesto.
Il primo passo è sempre lo stesso, ovvero leggere attentamente la sceneggiatura o il soggetto, fare una bella chiacchierata col regista, cercare di capire l’apporto creativo che potrei dare al film e cosa il regista si aspetta da me.
Poi subentrano tutta una serie di varianti a seconda che si tratti di un film “mainstream”, di una produzione indipendente, di una fiction televisiva, di multimedia promozionali per aziende, di web series ecc.
In ognuno di questi casi ci sono da fare considerazioni diverse, ed è proprio la diversità dei linguaggi, delle scelte artistiche del regista, e non ultimo del tipo di budget che spesso mi porta a prendere una strada piuttosto che un’altra.
Per dirne una: in una produzione che ti permette di avere un certo margine di libertà creativa puoi anche permetterti di pensare varie soluzioni, fare diversi abbozzi di musica e vedere quale si adatta meglio al film. In altre situazioni dove c’è meno elasticità o meno tempo o meno disponibilità economica, è necessario individuare fin dalle prime fasi della lavorazione delle soluzioni musicali sicure e funzionanti al primo colpo.
2) Purtroppo anche nelle grandi produzioni i budget per la musica si stanno facendo sempre più risicati, e bene o male noi “one man music” che stiamo dietro le quinte abbiamo dovuto per forza di cosa mettere le mani avanti con i virtual instruments... Le tecnologie sono relativamente semplici: un computer sufficientemente potente, librerie di suoni orchestrali aggiornatissime, molta pazienza per riuscire a programmare parti orchestrali virtuali efficaci e che nonostante tutto possano convogliare emozioni musicali genuine. Il rischio che si corre maggiormente utilizzando la tecnologia digitale infatti è quello di fabbricare dei brani tecnicamente perfetti ma con una certa patina di freddezza e di meccanicità. Il fatto poi che tutti utilizziamo più o meno le stesse librerie di suoni non giova allo sviluppo di una sonorità orchestrale personale e riconoscibile. Ma il bello secondo me è anche cercare di superare questi limiti propri del mezzo, un pò forse l’eterno ripresentarsi della sfida uomo-macchina? Certo, inserire strumenti acustici aiuta: tutte le chitarre e i pianoforti di cui si necessita nelle mie colonne sonore sono in genere suonati da me e sono strumenti di legno e metallo, molto poco virtuali...
3) In parte ho già risposto nella prima domanda. Dopo la lettura della sceneggiatura e la chiacchierata col regista, mi metto subito all’opera con un lavoro forse più da psicologo che da musicista. Spesso i registi hanno un modo tutto loro di parlare della musica, può essere che abbiano idee molto precise ma spesso non te le sanno spiegare bene, probabilmente manca loro il linguaggio adatto a parlare di musica nel gergo tecnico specifico. Per arrivare a stabilire un contatto forte con la creatività del regista ed evitare problemi di comunicazione verbale, inizio a buttare giù dei demo, anche di genere apparentemente fuori strada rispetto a quanto stabilito, e aspetto le reazioni. Da quelle poi capisco VERAMENTE cosa vuole il regista, perché trasformare in parole una sensazione che non è fatta di parole spesso è fuorviante. In questo modo invece bypasso lo stadio verbale e suscito direttamente con la mia musica degli istinti, delle emozioni, positive o negative che siano ma che mi permettono di stabilire un contatto diretto e stabile con l’immaginario del regista.
A quel punto si può iniziare a fare sul serio: metto in moto il creativo, cerco di immaginarmi il film e la musica che vorrei sentirci insieme. Faccio qualche demo, mi confronto col regista, correggo il tiro se necessario.
Poi più avanti arrivano dei primi spezzoni di montaggio e inizio ad appoggiare le musiche. A volte è una bella sorpresa, a volte è una confortante conferma, a volte è uno shock totale perché quella scena te la immaginavi completamente diversa da come è stata poi effettivamente girata e montata. Quindi, bisogna avere la pazienza e la tenacia di rimettersi in gioco e ammettere serenamente che qualcosa non ha funzionato.
Ma la cosa peggiore è la temp track. I montatori giustamente hanno bisogno velocemente di un supporto musicale di base per costruire lo sviluppo del film e per seguire il mood della loro creazione senza perdere tempo prendono al volo quel che serve dagli archivi di repertorio. Ma è un virus insidioso contro il quale devi combattere come se fosse un brutto raffreddore: se lo curi con forza e ai primi sintomi puoi sconfiggerlo e anzi sentirti meglio di prima. Le medicine adatte sono:
A) un canale diretto e confidenziale col montatore, in modo che appena ha pronta una scena o una serie di scene me le manda, e subito provo a scrivere qualcosa di decisamente migliore per sostituire al più presto la temp track. Così evito che durante le varie proiezioni test la temp track venga ascoltata dal regista e dagli addetti ai lavori per troppe volte, correndo il rischio di farla diventare con l’abitudine l’unica musica immaginabile per quella scena.
B) ascoltare senza pregiudizi i suggerimenti del regista e del montatore, se ne hanno: qualche volta mi sono serviti per uscire da dei loop creativi in cui sono rimasto imbrigliato
C) non far prendere il sopravvento alla sensazione “questa musica ci sta benissimo... chissà se riesco a farne una che funziona ancora meglio?”.
Una musica scritta appositamente per il film si integrerà comunque meglio di una musica già edita, perché viene dalla stessa testa che sta lavorando su tutto il concept della colonna sonora e non si avvertirà il tipico effetto di “frammentazione dell’atmosfera”. Spesso quando ascolto le temp track sono infastidito tantissimo dall’effetto patchwork derivante dall’aver preso una musica qua e una là: questo toglie completamente il senso di unità e di continuità della narrazione che invece si ha con una musica originale concepita e strutturata sul film.
4) Ho avuto qualche difficoltà con Un fantastico via vai.
C’era la necessità sia da parte di Leonardo Pieraccioni che da parte mia di dare una rinfrescata allo stile, dall’altra di proseguire su una formula ampiamente sperimentata. In più si era stabilita una comunicazione non troppo efficace con la montatrice. Tutto questo mi ha portato a ricominciare da capo più volte alla ricerca dello stile musicale giusto per il film. Ho dovuto farmi venire delle idee, provarle, spesso provarne altre ancora. Poi ho avuto l’osso duro della scena finale. Una scena in cui succede di tutto in 4 minuti scarsi e in cui la musica era veramente l’attore di spalla senza parole. Mi ci sono volute un paio di settimane per farla, e sono tuttora molto soddisfatto del risultato. Ma a quel punto mi ero già “fumato” una buona parte del tempo a disposizione che mi rimaneva per completare la colonna sonora prima del mix. Mettiamoci anche le difficoltà di cui sopra e il quadrettino è completo. Non ci sono state ricette magiche per uscirne ma c’è una frase famosa (non ricordo chi l’abbia detta, forse Morricone?) che sintetizza bene il metodo risolutivo: “La musica è per il 10% ispirazione, per il resto ci vuole molta, ma molta traspirazione”...
5) Fin da adolescente ho capito che mi interessava più il lato creativo della musica piuttosto che fare il pianista o il chitarrista o quant’altro.
Ho iniziato presto a studiare armonia e contrappunto, a cercare di capire cosa suonavano i Genesis e i Pink Floyd nei loro dischi, ad avvicinarmi a quella che allora si chiamava “musica contemporanea”, per esempio Berio, Stockhausen, Maderna. In più facevo tentativi di sonorizzare i miei filmini Super 8 con la musica che producevo suonando le molle del tavolo di cucina. Poi la mia fidanzata di allora tentava di fare l’attrice in una compagnia teatrale amatoriale e avevano bisogno di musica originale per il loro spettacolo. Mi proposi come compositore, e quella fu la mia prima esperienza di musica per il teatro, mi pare fosse il 1981. In quel periodo capii che il rapporto tra musica e gesto e tra musica ed immagini mi interessava parecchio. Continuai e poi abbandonai gli studi musicali perché già facevo il turnista negli studi di registrazione come arrangiatore, e mi sembrava di imparare molte più cose interessanti in quel modo piuttosto che dedicarmi ad un piano di studi fermo al secolo precedente. Successivamente ho aperto uno studio di registrazione con due miei amici musicisti, ho lavorato in teatro con Giancarlo Cauteruccio su performance multimediali di teatro-multivision-musica, ho iniziato a lavorare come pianista-spalla con Leonardo Pieraccioni nei suoi spettacoli di cabaret, ho lavorato con Giorgio Panariello per la colonna sonora di molti suoi show televisivi e teatrali, ho musicato molti video promozionali per aziende di produzione audiovisiva locali e cortometraggi di aspiranti videomakers. Poi nel 1998 Panariello mi fece fare la colonna sonora del suo Bagnomaria e Pieraccioni nel 2003 la colonna sonora de Il paradiso all’improvviso...
6) Avere un oggetto fisico dotato di libretto cartaceo in cui è memorizzata la musica sicuramente aiuta ad essere coscienti di aver fatto qualcosa di concreto. Noi siamo muovitori di aria, generatori di vibrazione delle molecole di ossigeno e azoto, è difficile pensare al compositore come qualcuno che produce un qualcosa di tangibile. In questo il CD svolgeva un ruolo importante, dava una dimensione fisica alla musica, che di suo rimane impalpabile, sfuggente, anche quando si parla di proprietà della musica, di diritti di autore. Se stampavi 1000 CD era un fatto incontrovertibile, li potevi toccare e dire “questo l’ho fatto io”, regalarlo, venderlo, distribuirlo, assegnargli comunque un valore positivo o negativo. Ora che la musica è il più delle volte solo un flusso di bit nella rete e nei lettori portatili, vallo a spiegare a qualcuno l’impegno artistico, tecnico e umano che ci vuole per produrre un brano musicale. Basta premere un pulsante “play” virtuale su un touchscreeen e iniziare ad ascoltare qualunque cosa, ad un costo prossimo allo zero, ad una qualità ridicola. Come il colore dell’imbiancatura delle pareti, se si vuole bianco o giallo o rosa basta dirlo all’imbianchino, il costo rimane lo stesso e il risultato è garantito. Dare un valore alle cose è importante, così invece la musica diventa un dettaglio senza valore ed importanza, non più un contenuto, diventa il sottofondo da ascoltare mentre fai qualcos’altro, non più un messaggio emozionale che ti arricchisce e ti migliora la qualità dell’anima. Vogliamo poi parlare di come viene ascoltata la musica nei lettori digitali portatili? Un gracchiamento improponibile, le colonne sonore hanno bisogno di profondità, di dinamica, di estensione nei suoni bassi, tutte cose che il digital download non assicura. Un pò meglio con gli auricolari, ancora meglio se colleghi delle casse buone al lettorino mp3. Comunque, che dire? Il CD è il passato, il digital download è il presente, vediamo se il futuro ci riserva qualche sorpresa positiva...
FINE QUINTA PARTE
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