La sensibilità al servizio del cinema: Intervista a Ludovico Einaudi

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Ludovico Einaudi, torinese di nascita ma oramai adottato dal pubblico di tutto il mondo, è probabilmente l’unico compositore italiano che sia riuscito a conquistare un meritato successo sulla scena internazionale seguendo un proprio percorso, senza cedere al compromesso di una musica facilmente commerciale né chiudersi nel ghetto dorato di una musica sterilmente “colta” incomprensibile ai non iniziati. I suoi concerti ottengono immancabilmente il “tutto esaurito” in ogni città d’Europa e del mondo, ed è un piacere scoprire che anche una platea di giovani è capace di restare, assorta, in silenzio, ad ascoltare per due ore un artista che racconta le sue emozioni al pianoforte, da solo o accompagnato da un discreto violoncello. Ma forse non tutti i suoi ammiratori sanno che già da una quindicina d’anni Einaudi compone anche per il cinema: sue sono le colonne sonore di film come Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni, Le parole di mio padre di Francesca Comencini e Sotto falso nome di Roberto Andò, tre partiture per le quali ha ottenuto premi prestigiosi; e di fiction televisive come la miniserie de Il Dottor Zivago prodotta in Gran Bretagna da Granada ma diretta dall’italiano Giacomo Campiotti. Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di questa sua attività, e chiedergli di commentare le sue esperienze in questo settore.

Colonne Sonore: Dal 1988 a oggi Lei ha composto la musica per una dozzina di pellicole. Com’è potuto riuscire il matrimonio tra un musicista di formazione classica, colto e raffinato, e la forma d’arte in fondo più commerciale e industriale?
Ludovico Einaudi: Forse perché ho avuto una certa libertà di scelta, nelle opere che ho realizzato per il cinema sono riuscito quasi sempre a collaborare con registi che sentivo avrebbero potuto lasciarmi uno spazio. Certo, m’è capitato anche di trovarmi in situazioni che avrei preferito evitare, ma fondamentalmente ho sempre trovato il modo di fare quello che volevo. Non mi è mai interessato tanto imporre la mia presenza musicale, quanto avere la possibilità di creare un qualcosa che seguisse il film con una funzione drammaturgica, e che allo stesso tempo avesse una propria voce, autonoma anche rispetto all’immagine: ho voluto creare una specie di polifonia che facesse da contrappunto a quanto appariva sullo schermo. Anche come spettatore sono sempre rimasto affascinato dai momenti in cui la musica e l’immagine raccontano contemporaneamente ma ciascuna a suo modo, e insieme trovano un ritmo, non necessariamente coincidente, ma efficace e capace di trascendere l’una e l’altra e di creare un nuovo linguaggio.

CS: La funzione creativa della musica nel cinema è riconosciuta anche dalla legislazione italiana, secondo la quale il compositore è uno degli autori del film, insieme con il regista e con gli autori di soggetto e sceneggiatura. Eppure molto spesso il compositore è considerato poco più di un tecnico, e di norma non è neanche invitato alle conferenze stampa.
LE: Sì, infatti anche a me è capitato di vedere inserita la musica nel cast tecnico, il che mi sorprende: lo trovo un modo riduttivo di affrontare la questione. Sono convinto che se inquadrata nel modo gusto la musica possa essere un elemento di rilievo e addirittura determinare il film, darne la chiave di volta, perché arriva a toccare delle corde più profonde che non riescono ad essere raggiunte dall’immagine e dalla parola.

intervista_ludovico_einaudi2.jpgCS: I registi con cui ha lavorato probabilmente erano consapevoli della sua cifra stilistica, ma sono comunque altri artisti con una forte personalità, e che in ultima analisi firmano l’opera. Vi siete mai trovati in contrasto? In questi casi è il film che si è adattato alla musica o viceversa?
LE: Nelle collaborazioni io generalmente non ho un atteggiamento da primadonna, mi sforzo di integrarmi nell’équipe e spesso divento molto amico delle persone con cui lavoro; con registi come Giuseppe Piccioni e Giacomo Campiotti restano delle amicizie che vanno al di là dei film, ma ovviamente perché questo succeda devo sentire che c’e altrettanta disponibilità anche da parte loro. In altri casi invece mi è capitato di trovarmi di fronte un muro, di rendermi conto che l’altro andava avanti per la propria strada senza pensare che eravamo insieme su una stessa nave; e in effetti mi sono un po’ risentito.

CS: C’è qualcosa che accomuna i registi con i quali ha lavorato, oppure ogni volta è stata un’esperienza completamente diversa?
LE: Direi che ogni volta è un’esperienza diversa, ma le differenze maggiori sono tra i diversi registi piuttosto che tra le singole pellicole, perché in fondo di film in film ogni regista ripropone la propria visione del mondo. Invece ognuno di essi si pone in una prospettiva diversa, sia come persona che come artista, ci si trova a dialogare in modo diverso, e questo rapporto mette in moto un processo che può presentare anche differenze sostanziali.

CS: Di solito Lei è stato coinvolto quando il film era ancora in lavorazione, magari ancora allo stadio di progetto, o addirittura a film quasi finito?
LE: M’è capitato un po’ di tutto. Mi è successo di essere coinvolto dall’inizio, con un anno d’anticipo, fin dalle prime stesure della sceneggiatura; ma ho anche avuto occasione di lavorare a riprese iniziate o quando il film era completamente finito. Ultimamente ho lavorato spesso a film ultimato, e devo dire che nonostante ci sia meno tempo perché si è già in fase finale di postproduzione, i ritmi sono serrati e c’è l’ansia di completare il lavoro nei termini concessi, nel complesso io mi sono trovato bene perché questa situazione aiuta a concentrarsi, a non divagare troppo, spinge tutti a mettere a fuoco l’obiettivo. Anche di fronte a un’immagine io mi sento comunque libero, di una libertà più facile da dosare e calibrare al punto giusto, perché mi rendo immediatamente conto se quello che sto scrivendo può avere un senso rispetto alla fotografia e al clima generale del film. Quando sono convinto di un’idea musicale e posso verificarla con le immagini, capisco subito se funziona ed è quella giusta; mentre invece su una sceneggiatura potrei scrivere il tema più bello del mondo, per poi magari accorgermi che il film è stato realizzato in modo diverso da come lo immaginavo.

CS: Quando scrive per il cinema si rivolge allo stesso pubblico dei suoi concerti e dei suoi dischi, o invece pensa a un pubblico diverso, e quindi è differente il modo in cui scrive?
LE: No, anche quando scrivo per me non penso tanto al pubblico quanto alla sensazione che penso di voler esprimere – un’ispirazione, la ricerca di un clima, di un mondo che coltivo dentro di me attraverso la musica e che poi prende forma in tutte le sfumature del mio lavoro. È una fonte di poetica non sempre facile da raggiungere, alla quale cerco di arrivare in qualunque campo io lavori, per un disco o in qualunque altra opera, e che credo renda riconoscibile la mia musica, toccando determinate corde emotive ed espressive.

intervista_ludovico_einaudi3.jpgCS: È capitato in più di un’occasione che Sue composizioni preesistenti fossero utilizzate per commentare le immagini di un film. In questi casi si sente lusingato per la scelta, o avrebbe piuttosto preferito collaborare al processo creativo?
LE: Mi fa comunque piacere. La prima cosa che mi viene in mente è che se il regista ha scelto quel brano, probabilmente è stato colpito dalla sensibilità poetica che ha riconosciuto in esso, e questo è già da solo un fatto comunque interessante; inoltre ha evidentemente un’opinione positiva della qualità del mio lavoro, e ritiene che possa aggiungere qualcosa di importante al suo film. Anche se non ho visto la sequenza, mi immagino sempre che sarà qualcosa di riuscito e positivo, e se poi qualcuno mi dice che ha visto il film, che c’è la mia musica e sta bene, ne sono contento.

CS: In Ovunque sei di Michele Placido ci sono alcuni brani tratti dal Suo CD “Una mattina”. Come è nata questa contaminazione? Sono stati scritti per il film o sono stati scelti dopo che erano stati registrati?
LE: Già un anno prima Placido mi aveva chiesto se volevo comporre la musica per il film, ma io avevo già altri impegni, stavo lavorando sul disco in Inghilterra, e gli ho dovuto rispondere che non avevo tempo di scrivere delle musiche originali: Su questo ci siamo salutati, e io ho proseguito nel mio lavoro. Poi in fase di postproduzione del film sono tornati a dirmi che avrebbero comunque voluto usare un mio brano preesistente, e chiedendo nuovamente se avevo la possibilità di scrivere qualcosa. Io ho dovuto ripetere che non mi era possibile, ma che potevo far ascoltare loro la musica che avevo appena registrato per il CD e altri inediti che avevo nel cassetto. Dopo una seduta di ascolti hanno scelto tre brani da “Una mattina” e una composizione per pianoforte e orchestra d’archi, che avevo realizzato per il festival “I suoni delle Dolomiti” e non ancora pubblicata – tant’è vero che adesso mi viene chiesto spesso dove si trova quel brano.

CS: Tra le composzioni che ha realizzato per il cinema, ce n’è qualcuna di cui è particolarmente soddisfatto, e qualcun’altra che invece oggi farebbe completamente diversa?
LE: Sono molto legato ad alcune, non solo per il risultato musicale ma anche per il modo in cui si è lavorato, o per l’équipe di cui ho fatto parte. Penso a Il dottor Zivago, realizzato per la televisione inglese, che è stato un’esperienza molto interessante – e anche molto difficile, perché avevo quattro mesi di tempo per realizzare la musica di un film di tre ore e mezza piuttosto impegnativo: anche se non si trattava di un remake, tutti avrebbero pensato al film di David Lean e alla colonna sonora di questo, e naturalmente al romanzo. In questi quattro mesi dovevo scrivere la musica, registrarla, montarla, e mixarla; io ero a Milano, la produzione era a Londra e c’erano mille persone coinvolte, oltre al regista, Giacomo Campiotti. Con lui ho avuto un rapporto molto intenso e creativo, nonostante sia una persona che cambia idea spesso, per cui prima di prendere ogni decisione passavamo in rassegna tutte le possibilità: ma proprio per questo il lavoro è risultato molto approfondito. Abbiamo studiato anche composizioni di altri per questo tipo di cinema, e musica tradizionale, che abbiamo scelto di includere nel film per radicare anche la musica nel folklore e nella tradizione russa. Nonostante tutti i problemi della produzione, il montaggio, i mille ostacoli che ho dovuto in qualche modo superare, alla fine quando guardo il film o ascolto il disco resto quasi sorpreso del risultato e ne sono molto contento. Penso di essere riuscito a trovare una chiave personale che allo stesso tempo svolge la funzione che deve svolgere. È stato interessante anche fare Sotto falso nome con Andò; è un “noir”, quindi un film “di genere”, e per me la scommessa e anche la cosa intrigante era trovare il modo di coniugare la mia vena musicale anche in questo contesto. È peraltro un genere che mi piace e che musicalmente mi ha sempre intrigato, dalle partiture dei film di Hitchcock alle composizioni di Badalamenti; in qualche modo è un mondo musicale che in parte mi appartiene, e mi sembra di essere riuscito a trovare una bella chiave. È stata un’occasione per confrontarsi, per imparare e verificare anche con me stesso un aspetto diverso dal solito. Queste sono esperienze che arricchiscono, se no si resta sempre nello stesso seminato; invece tutte le mie collaborazioni – sia musicali, sia artistiche, con i registi e con altri – sono momenti di crescita.
Ci sono sicuramente alcuni film che considero minori, magari solo perché sono stati fatti in fretta o con un budget limitato, o perché durante la lavorazione mi sono reso conto che il film non era all’altezza delle mie aspettative. Ho comunque fatto con impegno quello che mi veniva richiesto, ma oggi mi rendo conto che il film non mi piace, e anche se la mia musica svolge la sua funzione nel contesto, non mi interessa in modo particolare.
Adesso cerco di scegliere – anche perché la mia attività di concerti e incisioni occupa i due terzi del mio tempo – e di limitare l’impegno con il cinema a un progetto all’anno, sempre che non mi capitino proposte sbalorditive; e penso che questo sia l’equilibrio giusto per continuare a lavorare con passione per il cinema.

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