Dirigere per il cinema: intervista al direttore d'orchestra Pete Anthony

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Il suo nome è tra gli ultimi a scorrere nei titoli di coda, ma è presente in quelli della maggior parte dei blockbuster hollywoodiani dell’ultimo decennio; e se è quasi sconosciuto al di fuori della cerchia ristretta dei professionisti e degli appassionati di colonne sonore, queste comunità gli devono moltissimo. Ha lavorato con James Newton Howard, Danny Elfman, Marc Shaiman, Christopher Young, John Debney, John Powell, Marco Beltrami, Teddy Shapiro e moltissimi altri. In una pausa di una trasferta londinese, tra il pranzo al Wolseley e un giro alla National Gallery con la sua simpatica consorte, abbiamo incontrato Pete Anthony, sicuramente il più attivo e più affermato tra i direttori d’orchestra che lavorano esclusivamente per il cinema; e ci siamo fatti raccontare le particolarità e le difficoltà della sua professione.

Colonne Sonore: Pete, quali studi ed esperienze ti hanno portato alla musica per il cinema?
Pete Anthony: Dapprima ho studiato composizione al college e alla graduate school, e poi ho approfondito composizione e orchestrazione. Dai sette ai ventidue anni ho suonato la tromba, e poi il pianoforte, che ho anche suonato professionalmente subito dopo aver finito la scuola. Ho esperienza di insegnamento ai bambini in età scolare dagli undici ai tredici anni, e ho dato lezioni private di piano, improvvisazione e composizione a bambini e adulti.
Arrivai al cinema partecipando a un programma per diplomati della University of Southern California di Los Angeles, che si chiamava “Scoring for Motion Pictures”. Quello che mi attirava è che nel cinema il compito del musicista è sempre diverso: ogni film e progetto sono diversi, in una vasta gamma di stili musicali. Io ho studiato musica classica, ma anche le avanguardie, il jazz, musica d’ogni tipo e periodo, anche contemporanea; e mi piaceva che il cinema offrisse stili musicali così varii.

CS: E come ti sei ritrovato nel doppio ruolo di orchestratore e direttore d’orchestra?
PA: Ho iniziato a orchestrare fin dai tempi della scuola – e in un certo senso ero anche già un direttore, perché da quando avevo dieci anni ho creato gruppi e ensembles d’ogni tipo, e sono sempre stato quello che organizzava i turni e le prove per i concerti.
Ho ottenuto il mio primo lavoro come collaboratore di Dan Foliart, un compositore televisivo che non aveva familiarità con il computer; era molto richiesto e ho orchestrato per lui, poi ho orchestrato le colonne sonore per film a basso budget, piccole pellicole di cui nessuno ha mai sentito parlare.
Ho cominciato a dirigere con i cori. Di solito l’orchestra è registrata da sola, il coro si aggiunge dopo, quando gli orchestrali se ne sono andati. Spesso va via anche il direttore, e in molti progetti in cui c’era un coro mi sono trovato ad essere l’unico che conosceva la partitura e che poteva restare nello studio a dirigere. Dopo molte sessioni di questo tipo, si è creata un’occasione con il film Species: il solito direttore di Christopher Young non era disponibile, così mi sono occupato anche dell’orchestra. Da allora ho diretto centinaia di colonne sonore.

CS: Quali sono le caratteristiche necessarie per dirigere la musica di un film?
PA: Ogni tanto mi chiamano direttori classici che vogliono lavorare per il cinema, ma dirigere una colonna sonora è molto diverso da un concerto o dalla registrazione di un brano di repertorio. La musica è stata composta apposta per il film, le parti orchestrali sono nuove di zecca perché l’orchestrazione è stata appena completata, e bisogna risolvere problemi grandi e piccoli, apportare modifiche e alterazioni: dobbiamo creare la prima performance di una composizione mai ascoltata in precedenza, non è un brano che è già stato eseguito centinaia di volte. Ci vuole un direttore che abbia la capacità di individuare i problemi, correggere le note, risolvere i dubbi di orchestrazione.
Dirigere un’orchestra è sempre come guidare una macchina da corsa; solo che in questo caso ci vuole un meccanico che sappia anche guidare, perché dovrà aggiustarne il motore durante la gara.

CS: Ma non capita mai che la musica vada già bene com’è scritta?
PA: Qualcosa da cambiare o da correggere c’è sempre. Gli errori di trascrizione, inevitabili perché tutto è stato approntato in fretta; e poi bisogna mettere a punto l’equilibrio degli strumenti nell’orchestra. Possono essere necessari cambiamenti radicali, come la riscrittura di un brano o la ristrutturazione completa di una composizione, magari direttamente sul podio o durante una pausa. Spesso dobbiamo riscrivere le parti e ricominciare da capo, ci capita di scrivere durante il pranzo per riprendere nel pomeriggio, o durante la notte per il giorno dopo. A volte siamo costretti a buttar via tutto e ripartire da zero.

intervista_pete_anthony2.jpgCS: Ma questo non allunga i tempi, che sono già stretti?
PA: I tempi serrati fanno parte della nostra vita – non solo al momento delle registrazioni, ma anche prima di arrivare in studio, quando il compositore deve scrivere e l’orchestratore fare il suo lavoro… è sempre difficile. Molto è cambiato negli ultimi dieci anni, con l’introduzione delle tecnologie digitali nel cinema: oggi il regista può modificare il montaggio in modo veloce e poco costoso, tanto che il film non è mai finito. Ormai ci scherziamo sopra; se dicono che il film è finito, noi chiediamo di quale versione del film finito si sta parlando – non di rado quando arriviamo a registrare la musica è cambiato ancora, e dobbiamo risistemare gli spartiti sul posto. A volte non si può, e bisogna lasciare al music editor il compito di rimontare la musica già registrata. Correre dietro alle modifiche nel film è sempre una sfida.

CS: Quali sono i compositori con i quali lavori più volentieri, con più soddisfazione?
PA: È difficile fare una lista, mi dispiacerebbe lasciar fuori qualcuno che potrebbe aversene a male… conosco Marco Beltrami da quando era uno studente: parliamo lo stesso linguaggio, ci comprendiamo al volo, e abbiamo un buon rapporto durante la registrazione. Posso dire lo stesso di James Newton Howard, anche se la nostra collaborazione è iniziata abbastanza tardi, quand’era già famoso. Mi piace la sua musica, credo di capire cosa vuole ottenere, e lavorare con lui è una sfida che accetto volentieri. Quello con cui ho lavorato di più è Christopher Young: con lui dopo Species ho fatto più di trenta film, e mi trovo molto bene. Ultimamente ho cominciato a lavorare con John Powell: ritengo che abbia una tecnica complessa e che al tempo stesso la sua musica sia nuova e originale; è molto stimolante partecipare ai suoi progetti.
Di solito i miei rapporti con i compositori sono buoni, perché sono un musicista anch’io. La relazione diventa difficile solo quando è la produzione stessa ad avere dei problemi, se il regista o il produttore non sono soddisfatti – o della musica, o del film stesso, anche se ne danno la colpa alla musica. A volte ci sono attriti fra persone, e questo diventa frustrante; altre volte quello che accade durante le sessioni è il risultato della mancanza di tempo, o dello stress, o di carenza di fiducia, e questo può diventare un po’ sgradevole.

CS: C’è un compositore con il quale non hai mai collaborato, ma ti piacerebbe farlo?
PA: Ho la fortuna di conoscere bene la famiglia Newman, che conta parecchi musicisti di talento: apprezzo molto quello che scrivono Tommy (Thomas) Newman e anche Randy Newman, mi piacerebbe lavorare con uno di loro.

CS: Ti capita di riascoltare una registrazione, e di dirti che avresti dovuto fare qualcosa diversamente?
PA: A me interessa soprattutto quello che succede il giorno della registrazione. Ascolto la musica dal podio, a volte dalla cabina di registrazione, o i primi missaggi; ma non riascolto spesso le mie esecuzioni in CD. Se vedo un film finito faccio attenzione al mix con gli effetti sonori e i dialoghi, e cerco di capire se funziona. Come orchestratore voglio capire se quello che ho fatto si sente, come viene percepito dagli spettatori, e come questo può aiutarmi a operare scelte più efficaci in futuro.
Ho composto per qualche film anch’io, e quando nel mix finale la mia musica è stata coperta dai suoni o dai rumori sono rimasto sconvolto e non ci ho dormito la notte; ma come direttore di musica scritta da altri, la leggo e la dirigo, se suona bene mentre la dirigo sono contento, e rientro a casa soddisfatto.

CS: Ma non ti viene mai voglia di comporre tu stesso la colonna sonora di un film?
PA: Mi capita di aiutare altri compositori se hanno difficoltà o tempi ristretti, magari compongo qualche brano, ma non ho un gran desiderio di scrivere musica per il cinema. Comporre mi piace, ma non credo che vorrei farlo nei parametri di una colonna sonora; preferirei qualcosa di più moderno, probabilmente se avessi più disciplina e più tempo scriverei musica da camera, che sarebbe anche più facile far eseguire. Nel mio lavoro dedico molto tempo a orchestrare per gruppi più ampi e per grandi orchestre, ma sono sempre stato attratto da formazioni più raccolte, in una vena moderna: amo il jazz, la notazione estesa, alcuni aspetti del minimalismo – soprattutto le tessiture musicali con percussioni e suoni elettronici, anche se come orchestratore lavoro poco con l’elettronica. È difficile a dirsi.

CS: Nel finale di L’era glaciale 2 è inserita una composizione di Khachaturian – hai mai pensato di dirigere musica classica?
PA: Effettivamente in questi anni di tanto in tanto ho diretto brani di musica classica – Wagner, Brahms, Beethoven, Khachaturian, Holst, e composizioni poco conosciute di musica da camera. Nel caso di L’era glaciale 2, il brano era eseguito sui tempi di un click track, e su una base preregistrata con strumenti elettronici; l’orchestrazione era stata ridotta, e abbiamo apportato delle modifiche agli ottoni per farlo sembrare più simile a una colonna sonora.
Se me lo chiedessero mi piacerebbe provare a dare la mia interpretazione di un brano famoso, anche se è più facile che mi chiedano di dirigere suites da colonne sonore a cui ho lavorato o che ho arrangiato, e questo mi piacerebbe; ma condurre il repertorio classico per ora non mi interessa davvero. Rispetto chi fa questo, non pretendo di essere bravo come loro, ma preferisco prendere un brano di musica inedito e dargli vita con un’orchestra.

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Fotografie di Cesare Cioni

 

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