Ladro di bellezza: Intervista a Gabriel Yared

 

Gabriel YaredGabriel Yared è un personaggio molto particolare. Colto, intelligente, simpatico e profondamente sensibile,  è tutto fuorché un musicista ordinario. Nato a Beirut, Libano, nel 1949, Yared si appassiona alla musica sin dalla giovanissima età, studiando e suonando da autodidatta pianoforte e organo presso il collegio gesuita dove frequenta la scuola, in cui ha anche la possibilità di studiare le partiture musicali conservate nella biblioteca. Tuttavia, non sarà prima del 1969 che comincerà a studiare musica professionalmente presso l'Ecole Normale du Musique di Parigi. Nel 1971 si trasferisce momentaneamente in Brasile, dove quasi per caso partecipa ad un concorso di musica leggera a Rio de Janeiro, qualificandosi al terzo posto. Il successo ottenuto lo porta a formare una band di sei persone che si esibisce per tutto il paese con grande seguito e notorietà, attività che lo porta poi a lavorare come arrangiatore per molti cantanti e musicisti brasiliani. Tornato a Parigi, Yared comincia una intensa attività di arrangiatore e orchestratore, collaborando con Johnny Hallyday, Sylvie Vartan, Charles Aznavour, Gilbert Bécaud, Michel Jonasz, Francoise Hardy. Nel 1976 collabora anche con Mina, per cui arrangia e orchestra l'album MinacantaLucio. Tutta questa esperienza lo porta quasi naturalmente al cinema e alla televisione. La sua carriera cinematografica è cominciata subito con una collaborazione molto importante: nel 1980 infatti Jean-Luc Godard lo scritturò per comporre la colonna sonora di Si salvi chi può (la vita) (Sauve qui peut la vie, 1980). Ma è la collaborazione con il regista francese Jean-Jacques Beineix a portare il suo nome alla ribalta del pubblico europeo, prima con la partitura de Lo specchio del desiderio (La lune dans le caniveau, 1984) e poi con quella, famosissima, di Betty Blue (Betty Blue 37°2 le matin, 1986).
Per tutto il corso degli anni '80, Yared collabora con molti registi importanti della cinematografia francese, tra cui Jean-Pierre Mocky, Olivier Assayas, Bruno Nuytten e Philippe De Broca, mentre negli Stati Uniti il grande Robert Altman lo chiama per scrivere la partitura di due suoi film, Beyond Therapy e Vincent & Theo.
Ma è la colonna sonora de L'amante (L'amant, 1992, di Jean-Jacques Annaud) che porta il nome di Yared all'attenzione di un pubblico ancora più vasto, tra cui spicca anche il regista britannico Anthony Minghella, che subito lo vuole a comporre la colonna sonora de Il paziente inglese (The English Patient, 1995). Il film è un grande successo e vince otto premi Oscar, tra cui quello per la Migliore Colonna Sonora. Nasce così un legame profondo tra il regista e il compositore, che continuerà nel corso degli anni successivi in film come Il talento di Mr Ripley (The Talented Mr Ripley, 1999), Ritorno a Cold Mountain (Cold Mountain, 2003) e Complicità e sospetti (Breaking and Entering, 2006), rinsaldando ulteriormente la proficua e vivace dialettica creativa tra i due artisti, i quali formano un binomio regista/compositore di altissimo livello e in grado di stare accanto a quelli più celebrati nella storia del cinema.
Il successo e l'Oscar de Il paziente inglese portano Yared all'attenzione di registi e produttori hollywoodiani, che cominciano a scritturarlo soprattutto per film sentimentali e strappalacrime come City of Angels (id., 1998), Le parole che non ti ho detto (Message in a Bottle, 1999), Autumn in New York (id., 2000), ma anche con talenti del cinema indipendente come Neil La Bute, per cui scrive la colonna sonora di Possession (2002).
La morte improvvisa di Anthony Minghella, scomparso lo scorso marzo all'età di 54 anni, priva brutalmente  il compositore della sua anima gemella cinemusicale, oltre che di un amico speciale. Lo shock per Yared è talmente forte che lo porta a decidere di prendersi un periodo di pausa indefinito da qualunque commissione.
Ospite speciale dell'edizione 2008 del Film Festival di Ghent, il compositore ha omaggiato la memoria del suo amico regista con uno speciale concerto: insieme ad una piccola orchestra da camera di soli 11 strumenti, Yared ha voluto creare un tributo intimo e raccolto che ripercorre i passi della sua relazione artistica con Anthony Minghella e al contempo celebrarne la memoria, sia dal punto di vista cinematografico che da quello umano e personale.
Lo abbiamo incontrato a Ghent e lo abbiamo intervistato in esclusiva per ColonneSonore.net, dove ci ha raccontato la sua esperienza umana ed artistica con Anthony Minghella e dove ha amabilmente condiviso con noi idee, riflessioni, pensieri e persino qualche spunto di sana provocazione riguardo il mestiere ed il ruolo del compositore cinematografico.

Gabriel YaredColonneSonore: Mr Yared, prima di tutto grazie per la Sua disponibilità e per essere presente al Film Festival di Ghent. Come prima cosa Le vorremmo chiedere di parlarci un po' del concerto che eseguirà qui nei prossimi giorni. Che cosa ci può dire a riguardo?

Gabriel Yared: Sono molto affezionato a questo Festival e alle persone che lo organizzano. E' un posto meraviglioso perchè si possono incontrare compositori emergenti e autori affermati, come il mio amico e fratello Maurice Jarre e altri come Alberto Iglesias, che è un mio caro amico. Non conosco tutti gli invitati, ma queste sono le persone che amo incontrare qui a Ghent. La ragione per cui ho scelto questo posto per eseguire il mio primo tributo a Anthony Minghella è nata da un suggerimento di Marian Ponnet e Jacques Dubrulle [gli organizzatori del Festival, ndr], i quali erano molto interessati a farmi suonare un concerto con un piccolo ensemble da camera. In passato ho eseguito due concerti con una grande orchestra in questo posto. Questo fu deciso prima della scomparsa di Anthony. Quando lui morì lo scorso 18 Marzo, decisi allora di trasformare questo concerto in un omaggio.
Ho scelto di omaggiare la sua memoria perché dal momento in cui è scomparso ho smesso di fare qualsiasi cosa. Stavo lavorando ad un progetto in Inghilterra e lo abbandonai, spiegando che non potevo davvero andare avanti. Anthony era una persona molto cara per me, non era solamente un amico e un collaboratore, ma la mia vera anima gemella. Quando è morto improvvisamente rimasi talmente scioccato che decisi di fermare tutto quello che stavo facendo. Poi mi venne in mente che avrei potuto trasformare l'opportunità del concerto a Ghent in un tributo a quest'uomo e di poterlo far rivivere attraverso la musica dei suoi film. Il programma è molto speciale. Nel 1995 Anthony mi chiese di collaborare con lui sulla base di tre mie colonne sonore che amava molto: Betty Blue, L'amante e Lo specchio del desiderio. Ho diviso il concerto in due parti, ma senza intervallo. Ho deciso di parlare dei “semi” e dei “frutti” della nostra collaborazione: nella prima parte eseguirò infatti brani da Betty Blue, Lo specchio del desiderio e L'amante, mentre nella seconda i “frutti” della nostra collaborazione, ovvero Il paziente inglese, Il talento di Mr Ripley, Ritorno a Cold Mountain e Complicità e sospetti, quest'ultima una partitura che ho realizzato in collaborazione con il gruppo Underworld. Come chiusura del concerto suonerò un brano inedito dedicato ad Anthony che ho composto per l'occasione e che eseguirò al pianoforte solo.

CS: Come descriverebbe la Sua personale esperienza con Anthony Minghella, sia dal punto di vista artistico che da quello umano?


GY: E' il mio migliore amico. Nessuno ha avuto la stessa capacità di comprensione nei miei riguardi quanto lui, non solo come amico ma anche come regista. Dopo che vinsi l'Oscar per Il Paziente Inglese sono stato ingaggiato in molti film dallo spirito analogo, nel senso che mi si chiedeva sempre di essere romantico, tutti quanti volevano belle melodie suonate dall'oboe e via dicendo. Mi sono sentito un po' rinchiuso in quel ruolo. E' una faccenda noiosa, nessuno sembrava capire quali erano le mie origini. Se avete presente le mie prime colonne sonore, troverete qualcosa di molto strano ed eccentrico. Anthony era l'unico che capiva questo mio lato, che poteva portarmi dove voleva ma sempre potendo mantenere la mia personalità, servendo i suoi film ma sempre rimanendo un compositore. Subito dopo Il Paziente Inglese, ho lavorato con lui su un thrilller, Il talento di Mr Ripley, in cui la musica è molto diversa dal nostro film precedente. Due anni dopo ebbi l'occasione di diventare il compositore della Guerra Civile Americana con Ritorno a Cold Mountain, mentre Complicità e sospetti mi ha fatto tornare alle mie radici eccentriche e ad un tipo di musica vicino allo stile di Betty Blue. La nostra ultima collaborazione, della quale probabilmente non siete a conoscenza, era un progetto in dieci episodi prodotto dalla BBC che Anthony stava realizzando insieme a Richard Curtis, lo sceneggiatore di Notting Hill. Era tratto da un libro che ha avuto molto successo in Inghilterra intitolato The N° 1 Ladies' Detective Agency e la vicenda è ambientata in Botswana. Io e Anthony andammo in Sudafrica, dove ho registrato le ultime cose per lui. Il mio ultimo ricordo di Anthony infatti è questo: noi due a Johannesburg a incidere musica africana. E' un uomo che ha portato divertimento, ma anche serietà e consapevolezza nella mia vita, nel senso che le nostre coscienze sono molto simili. Amiamo il nostro lavoro e siamo molto affezionati al nostro legame. Per questa ragione ho voluto dedicargli questo tributo, che eseguirò probabilmente anche a Cardiff a Novembre.

Il regista Anthony MinghellaCS: Dalle Sue parole appare evidente quanto Lei e Anthony foste vicini. Quanto è importante per un compositore trovare una collaborazione speciale con il regista?


GY: Non è solamente importante, è vitale, almeno per me. Non sono un tipo molto estroverso, ho bisogno di amare ed essere amato. Ho bisogno di capire ed essere capito. Ho avuto un legame artistico molto profondo con il regista Jean-Jacques Beineix nel corso dei tre film che abbiamo fatto insieme, ma poi ci siamo allontanati per ragioni personali. Ho avuto una buona collaborazione anche con Jean-Jacques Annaud e con Robert Altman, ma quella con Anthony è qualcosa di miracoloso, non solo perché amavamo la stessa musica ed io potevo sentirmi libero di essere audace, di correre rischi e così via, ma soprattutto perché era sempre pronto ad accogliere una nuova idea, era qualcuno che capiva e che mi dava la possibilità di far fiorire le mie idee.

CS: Insomma, una relazione in cui il regista e il compositore continuano a scambiarsi idee a vicenda.

GY: Esattamente. E' capitato che avessimo discussioni, ma alla base c'era sempre un affetto reciproco. Quando Anthony ti abbraccia sembra proprio un piccolo Buddha... (sorride) Lui ha sempre compreso il mio metodo molto anticonvenzionale. A me piace cominciare a scrivere già in fase di sceneggiatura. Io ero probabilmente una delle prime persone a cui Anthony spediva i suoi script, anche quando si trattava solo di una prima stesura. A partire da quel momento cominciavamo a parlare, ad avere idee e a scambiarci pareri. Dopodiché io cominciavo a comporre mentre lui faceva le riprese, poi spedivamo a Walter Murch i miei demo — non abbiamo mai usato “temp tracks” o musica provvisoria, mai — e lui li montava, a volte anche in modo molto selvaggio, sebbene sia uno che sa benissimo quel che sta facendo, e poi me li rispediva per chiedere il mio parere e così via. Dunque, quando il film comincia a prendere forma, anche la musica può crescere insieme ad esso. Non è come quando qualcuno mi chiama tre mesi prima dell'uscita del film e dice 'Voglio che la musica cominci qua e qua e che sia come questo o quest'altro'. Io non riesco ad accettare questo metodo, è troppo cinico. Sin dal mio primo film, insieme a Jean-Luc Godard, ho sempre lavorato nel modo che dicevo prima e Anthony lo ha fatto diventare qualcosa di molto utile e fecondo. Ma più di qualsiasi altra cosa, ciò che conta è sentire che il regista ha fiducia in te—quante volte Anthony ha dovuto difendermi e prendere le mie parti nei riguardi di qualche produttore? E' uno che sta sempre dalla tua parte, anche quando deve rispondere ai suoi superiori. Dunque, è sempre un grande dono per un compositore avere una collaborazione di questo genere. Se guardiamo la storia del cinema, non troveremo così spesso legami artistici di questo tipo. Si parla sempre di Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann, ma quest'ultimo fu spesso mortificato dall'atteggiamento di Hitchcock, il quale poteva essere molto duro nei suoi riguardi. Una collaborazione molto feconda fu quella tra Fellini e Rota, che ritengo una delle più belle. O anche quella tra Leone e Morricone. Ne possiamo trovare altre probabilmente, ma io parlo di collaborazioni che non si fermano all'aspetto del puro lavoro, ma che entrano nella vita personale.

CS: Insomma, qualcosa che va al di là del rispetto reciproco.

GY: Certamente. Ecco perchè ci riferivamo l'un l'altro, ed io dico tuttora, come ad un'anima gemella. E' tutto quello che posso dire a proposito di Anthony Minghella.

CS: Lei è uno dei pochi compositori di musica da film che mantengono una carriera di successo sia nell'industria cinematografica europea che in quella americana. Quali sono secondo Lei le differenze principale tra le due industrie, in particolar modo riguardo l'approccio musicale?


GY: Ho provato a lungo ad imporre la mia visione ed il mio metodo quando ho lavorato in film americani, ovviamente non parlo dei film di Anthony Minghella, che erano produzioni americane ma comunque totalmente sotto il suo controllo. Quando sono stato avvicinato da diversi registi americani, ho sempre chiesto di essere coinvolto sin dalle primissime fasi di realizzazione, ma difficilmente trovavo qualcuno che capiva quello che intendevo. Mi chiedevano che cosa intendessi e come avrei fatto a scrivere la musica senza immagini di riferimento. Io ho sempre risposto che le immagini per me sono l'ultima fase del lavoro, quando ormai non c'è più spazio per l'immaginazione. Che cos'è l'immaginazione? Non è qualcosa che deriva dalle immagini, ma da ciò che è dentro di te, quando leggi e la tua mente comincia ad usare la fantasia e a creare un'immagine.  Ho fatto discorsi di questo genere con più di un regista e quasi sempre nessuno di loro era in grado di capire. Questa, per quanto mi riguarda, è la prima differenza, anche se ovviamente non posso parlare a nome di tutto il sistema.
La seconda differenza è la quantità dei mezzi. Nell'industria americana si ha un budget enorme e dunque risorse molto più grandi a disposizione. Dal mio punto di vista, a volte è uno spreco di denaro. Si può realizzare una colonna sonora meravigliosa anche con mezzi più modesti. E poi c'è il problema delle proiezioni test di anteprima, che io considero una malattia, un virus che purtroppo si sta diffondendo anche qui in Europa. Da una proiezione test all'altra, il film viene continuamente modificato e cambiato in base ai questionari che vengono fatti compilare al pubblico. Questa è una cosa che non riesco a comprendere. Dopo aver scritto la musica, ti ritrovi a passare un sacco di tempo a dover aggiustare le cose, una versione dopo l'altra. Per questo motivo, in alcuni casi, ho dovuto ingaggiare un orchestratore, anche se generalmente sono io stesso ad orchestrare la mia musica. E' spossante riuscire a star dietro a tutte queste modifiche. Infatti, se diamo un'occhiata alla mia filmografia non troveremo molti film americani. Ce ne sono alcuni molto speciali, come i due che ho fatto con Bob Altman; in City of Angels mi sono trovato molto bene con Brad Silberling, anche se non abbiamo più avuto occasione di lavorare insieme; con Luis Mandoki [il regista di Le parole che non ti ho detto, ndr], è andata bene. E poi, vediamo, con chi altri ho lavorato? 1408 era diretto da un regista europeo e prodotto dalla Weinstein Company. Dunque non ci sono molti tipici film americani nella mia carriera. Dopo l'Oscar per Il paziente inglese e anche dopo la nomination per Il talento di Mr Ripley mi è stato proposto di andare a vivere a Los Angeles, ma ho sempre rifiutato. Ho bisogno di vivere qui in Europa, sia per ragioni familiari che per mia comodità personale. Non voglio lavorare in un sistema industriale. Non voglio fare cinque colonne sonore all'anno, anche perché ho bisogno di molto tempo per ogni film che faccio.

CS: Quindi Lei ha bisogno di essere completamente immerso in quello che sta facendo?


GY: Sì. Inoltre ho la mia vita di musicista a tutto campo. Non sono solo un compositore cinematografico. Ho bisogno di studiare, di nutrirmi di musica a tutti i livelli: durante la giornata può capitare che mi metta a studiare i preludi di Debussy o una cantata di Bach. Non sento mai il bisogno di studiare musica da film, ma piuttosto quella dei grandi maestri come Bach, Bartòk, Stravinsky, Mahler... ma anche Bobby McFerrin, Marvin Gaye, Stevie Wonder, Billie Holiday, tutti i grandi, insomma. Trovo piuttosto restrittivo passare il tempo solamente sulla musica da film. Ogni tanto sento il bisogno di prendere una pausa e studiare, anche per riuscire a dare un contributo maggiore alla mia musica per il cinema. Non voglio diventare un mero realizzatore.

CS: Infatti Lei è un compositore nel senso più ampio del termine. Oltre alla musica per il cinema, Lei scrive anche musica per la sala da concerto, per il balletto e diversi altri medium. Ho sempre notato un'eleganza e uno spessore particolare nella Sua musica.


GY: Eleganza? Beh, non saprei, non è qualcosa che posso affermare io stesso. Non mi metto mai a riascoltare quello che faccio, a parte quando eseguo la mia musica in concerto. In questi casi può capitare che ascolto la sezione degli archi e dica 'E' bello', ma questo è tutto ciò che posso dire sulla mia musica. Tutto quello che c'è in ciò che scrivo arriva... (pausa) dall'alto, immagino. Se leggete la corrispondenza di Mozart con sua sorella, noterete come lui a un certo punto dica “Non ho idea di come accada. A volte, dopo un buon pranzo, vado a fare una camminata nei boschi di Vienna e all'improvviso l'intera sinfonia mi cade sulla testa. La parte più noiosa per me diventa scriverla”. E così, se si presta attenzione all'origine della propria ispirazione, ci si accorgerà che non arriva mai da sé stessi. Noi siamo solo un buono strumento. E per ricevere dall'alto, bisogna lavorare moltissimo sul proprio strumento. E lavorare su di esso significa che, nel momento in cui ci si accorge di avere questa capacità, bisogna subito mettersi al lavoro e svilupparla. In questo senso per me non c'è alcuna differenza tra lo scrivere musica per film o musica classica. A volte è solo una questione di qualità, poiché spesso i compositori non hanno il tempo necessario per esprimersi al meglio. Se si vuole aspirare alla perfezione del proprio strumento, allora non si potranno scrivere troppe colonne sonore in un solo anno.

CS: E' sempre un piccolo miracolo quando una colonna sonora riesce ad avere una propria autonomia e si può ascoltare come musica assoluta.

GY: Dovrebbe essere sempre così. Molti mi chiedono: su quale scena ti stai basando per questa musica? E io rispondo sempre: lascia perdere questa o quella sequenza, chiudi gli occhi e realizza il tuo film. Quando ascoltiamo una sinfonia di Brahms o di Mahler, possiamo chiudere gli occhi e vedere il nostro film. Sono d'accordo che la musica debba aiutare il film, caratterizzarlo, personalizzarlo e così via, ma credo anche che debba essere musica capace di vivere di vita propria, che si possa ascoltare in concerto e che dia all'ascoltatore la possibilità non solo di far rivivere le sensazioni del film per cui è stata scritta, ma anche di aprire nuovi orizzonti e nuove visioni.

CS: In questo senso, ho sempre notato come la Sua musica non accompagni letteralmente l'azione, ma che invece preferisca interpretare la drammaturgia
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GY: Se guardate 1408 noterete come la musica sia molto legata all'azione. Non è che non voglia seguire l'azione, ma ritengo che non sia il ruolo della musica quello di essere sempre sincronizzata. Molti giovani compositori di musica da film mi dicono: devo sincronizzarmi su questa azione o questo movimento, e così via. Io dico che la sincronizzazione è la cosa più facile da capire per un compositore.

CS: E' solo un calcolo matematico...

GY: Sì, bisogna solamente fare un calcolo numerico da un punto all'altro. Ma passare il tempo guardando la sequenza dall'inizio ed improvvisare su di essa non è il modo corretto di scrivere musica per film. Se si riesce ad interpretare lo spirito del film, allora ovunque metterai la musica, essa funzionerà, dovrai solamente perfezionarla e sistemarla per riuscire ad incollarla bene alla sequenza. Non ho avuto molte esperienze in film d'azione, ma se guardiamo 1408 ci accorgeremo che ho rispettato tutti i canoni del genere. In realtà ho scritto un'altra colonna sonora piena di azione, ma purtroppo fui licenziato da quell'incarico. Se ascoltate la musica che ho scritto per Troy e la sentite sul film, vi accorgerete come essa sia una tipica partitura d'azione.

CS: Su YouTube sono presenti alcune clip di Troy (id., 2003) sincronizzate con la Sua musica. E' un'esperienza molto interessante poiché non somiglia per niente ad una tipica moderna partitura hollywoodiana per questo genere di film


GY: Non sono uno che va spesso al cinema, lo ammetto, quindi non sono molto aggiornato su quali siano le mode e le tendenze attuali. Mi piacciono i classici, amo il cinema di Billy Wilder, George Cukor, John Ford, Howard Hawks, Bergman, Fellini. Mi piace questo genere di film. Ma quando ascolto la musica in un film, non penso mai 'Questo dovrebbe essere un film d'azione' e così via. Ritengo che ci sia bisogno di reinventare il linguaggio, perché ciò di cui stiamo parlando è solo un vocabolario. Dobbiamo sempre seguire questo vocabolario? Non possiamo essere più audaci? Se una musica che non rientra nello standard delle musiche dei film d'azione, può comunque funzionare lo stesso sulle immagini? E' di creazioni artistiche che stiamo parlando. Non dobbiamo essere conformisti a tutti i costi. Sono un ribelle, lo so...

Yared con l'Oscar vinto per la colonna sonora de Il Paziente Inglese (1996)CS: A parte le differenze tecniche e logistiche, Lei ritiene che esistano profonde ed inevitabili diversità estetiche tra l'industria cinematografica Europea e quella hollywoodiana?

GY: Assolutamente sì. Il termine “sottolineatura” [“underscore” in inglese, ndr] è stato inventato da Hollywood. Si aspettano sempre che la musica sottolinei ciò che accade sullo schermo. In questo modo si tratta il pubblico come qualcuno che non è in grado di capire ed ecco che allora si sottolinea e si evidenzia musicalmente ogni cosa. Io chiamo questo approccio “riflesso Pavloviano”. Gli spettatori sono stati sempre educati con questa filosofia: la musica deve farti capire in modo chiaro cosa sta succedendo. Questo è tipicamente hollywoodiano. Tuttavia, le cose stanno un po' cambiando. Se ascoltate le colonne sonore di Gustavo Santaolalla per Babel o 21 grammi, vi accorgerete che si tratta di musica molto semplice, che si mescola con ciò che accade nel film ma senza dover sottolineare nulla. Dunque, le cose stanno lentamente muovendosi anche a Hollywood e questo impulso sta arrivando da compositori europei o sudamericani. Il tipico autore che lavora a Hollywood è, in qualche modo, ingabbiato in questo sistema ed è molto difficile riuscire a liberarsi. Può capitare talvolta che arrivi una specie di “giullare” come Alberto Iglesias, ad esempio, la cui musica è molto diversa da ciò che viene generalmente prodotto nell'industria hollywoodiana. Sia chiaro, non ho nulla contro i compositori di Hollywood – che siano benedetti, tutti quanti – ma ritengo che la nostra disciplina abbia bisogno non solo di cambiare, ma soprattutto di evolvere.

CS: La musica da film è un'arte ancora molto giovane.

GY: E' l'arte più giovane.

CS: Lei ritiene che ci possa ancora essere spazio per nuovi approcci e nuovi metodi?

GY: Assolutamente sì. In primo luogo, dipende dai registi. Coloro che studiano nelle scuole di cinema, sia in Europa che negli Stati Uniti, imparano ogni singolo aspetto e dettaglio sul mestiere di regista: l'uso degli obiettivi e delle luci, la fotografia, gli effetti speciali, come mettere in scena un dialogo, come comportarsi sul set... Insomma, tutto quanto eccetto la musica. E molto spesso l'unico genere musicale che conoscono è la musica da film. Questo è ciò che forse impedisce a molti compositori di andare avanti. Dunque, per quanto riguarda i registi, ciò che suggerisco è di aprire la mente e le orecchie ad ogni genere possibile di musica: classica, etnica, pop, tutta quanta. La cosa importante è tenere le orecchie ben aperte.
In secondo luogo, ci sono i compositori che rinunciano a seguire un percorso creativo più stimolante, quasi come se fossero paralizzati ed intimoriti dalla tradizione, quelli che si dicono 'Devo essere come questo compositore' o qualcosa del genere. Lo so che è difficile, molto difficile. Vado in giro spesso a fare seminari e tenere lezioni per giovani compositori, al Royal College of Music di Londra, al Conservatorio di Parigi e qui a Ghent. Ciò che dico ai giovani studenti che aspirano a lavorare nella musica da film è sempre questo: avete il dono della musica ed essa è qualcosa di essenziale per il cinema. Fatevi venire in mente tutte le idee che potete. Non siate cinici, non state tutto il tempo a guardare le immagini o ad ascoltare altra musica da film. Costruitevi la vostra originalità, usate la vostra anima. E per essere convincenti, dovete lavorare a fondo sulla vostra musica. Dovete dire ai registi 'Ho scritto questo pezzo, ascoltalo'. Dovete prenderli per mano e farli entrare nel vostro mondo. Il consiglio che do a questi ragazzi è sempre lo stesso: andate nelle scuole di cinema, lì troverete i giovani registi di domani. Tutti loro dovranno realizzare un cortometraggio, giusto? Bene, presentatevi e proponetevi dicendo: ti offro la mia musica gratis, proviamo a lavorare insieme, ascoltiamo questo pezzo e quest'altro, proviamo a mettere su questa scena una musica di questo tipo e vediamo che succede, poi proviamo a usare Bach, poi Bartok, e dopo proviamo con Stevie Wonder, e così via. In questo modo capiranno qual è il potere della musica sulle immagini e li renderete più consapevoli. Dopodiché scrivete la vostra musica e proponete tutte le idee che avete. Forse state già lavorando con qualcuno che un giorno sarà un grande regista.
Molti giovani musicisti mi chiedono cosa devono fare per diventare compositori di colonne sonore e io gli rispondo sempre: da dove vengono i registi? Dalle scuole. Bene, andate nelle scuole, scrivete musica per cortometraggi più che potete, fatelo senza chiedere soldi, con i mezzi che avete. Al giorno d'oggi è facile avere un proprio home studio con campionatori, bei riverberi e cose simili senza dover spendere tanti soldi. E dunque, andate alla sorgente, nelle scuole di cinema e mettetevi al loro servizio. In questo modo probabilmente farete crescere una nuova generazione di registi che amano e conoscono la musica.

CS: Quanto è importante avere una solida preparazione classica per un giovane compositore?

GY: E' molto importante. Io sono un autodidatta, ma quando dico questo intendo che ho comunque studiato, anche se per conto mio. Ho studiato tantissime partiture e testi di musica classica. C'è qualcosa che è assolutamente necessario imparare. Non si può essere un romanziere se non si conosce la grammatica. E quindi non si può essere un compositore se non si conoscono le note musicali. Bisogna saper leggere e scrivere musica come se fosse la nostra lingua madre. Penso di poter affermare questa cosa anche se sono un autodidatta. A questo proposito, nel mio caso mi ritrovai all'età di 30 anni a dirmi che, se volevo andare avanti, dovevo colmare questa lacuna. Tutti i compositori che ammiravo, da Bach a Herrmann, avevano una formazione classica e così decisi di prendermi due anni di pausa e mi misi a studiare fuga e contrappunto, perché sentivo che non sarei più andato da nessuna parte senza una vera formazione.
L'orecchio può essere il nostro più grande alleato ma anche il nostro miglior nemico. Scrivere musica ad orecchio e metter giù una serie di accordi su una tastiera non è abbastanza. Un vero compositore ha bisogno di confrontarsi con lo spartito, perché la sua immaginazione è molto più potente quando è sulla carta di quanto non lo sia solo all'orecchio. Non è possibile essere un vero compositore senza questa formazione. Guardate John Williams, lui è un vero compositore, quando ascoltate la sua musica potete immediatamente sentire la conoscenza, l'architettura in tutto ciò che scrive. Se ascoltate la musica di Max Steiner vi renderete conto della conoscenza dei grandi come Mahler e Strauss. Non sto dicendo che questo è il genere di musica che dobbiamo scrivere, ma solo di tenerlo in considerazione e forse un domani qualcuno potrà diventare il Bartòk o lo Stravinsky della musica da film. Oggi ci sono compositori molto famosi che non sanno leggere musica e sono diventati molto ricchi grazie al loro lavoro. L'unica cosa che mi verrebbe da dirgli è: siate riconoscenti nei riguardi della musica e datele qualcosa in cambio tornando a studiare.

CS: Ho l'impressione che ci siano forse sin troppi dilettanti in giro...


GY: Ma se questi dilettanti fanno la fortuna con la loro musica, allora devono darle qualcosa in cambio. Devono restituirle il favore e dire 'Mi metto a studiare'. E' una questione di umiltà, non sto dicendo di tornare sui banchi di scuola, ma di farlo per conto proprio. Si può anche solo cominciare a leggere tanto. E più si legge, più la propria immaginazione si arricchisce. Dopodiché, se si vuole copiare o rubare musica, bene, non c'è nessun problema. Chi non ha mai rubato da chi? Voglio dire, in Haydn c'è metà di Mozart, in Beethoven c'è metà di Haydn... Siamo tutti ladri! Ma dobbiamo essere ladri di bellezza, di cose divine. E' molto meglio conoscere a fondo questa tradizione ed attingere a pieni mani da essa piuttosto che ascoltare solamente musica da film e continuare a perpetuare sempre lo stesso genere di cose.

CS: Il talento di Mr Ripley è una delle Sue colonne sonore più interessanti. La musica svolge un ruolo molto importante nella narrazione del film: il personaggio di Ripley (Matt Damon) è caratterizzato dalla musica classica, mentre quello interpretato da Jude Law è appassionato di jazz. In quale modo Lei e Anthony Minghella avete trattato questo aspetto?

GY: Per quanto riguarda il jazz, abbiamo passato un sacco di tempo ad ascoltare tantissimi dischi. Paul Zaentz, il produttore del film, è il nipote di Saul Zaentz [produttore di Amadeus, Qualcuno volo sul nido del cuculo, Il paziente inglese, ndr], il quale aveva appena acquistato la Fantasy Records, una storica etichetta jazz che ha in catalogo le migliori registrazioni di John Coltrane, Charlie Mingus, Miles Davis, tutti i grandi del jazz insomma. Avevamo quindi a disposizione una fantastica discoteca da cui poter scegliere tutto quello che ci piaceva. Poi chiamammo un bravissimo trombettista londinese di nome Guy Barker, che è un mio caro amico ed un eccezionale jazzista. Guy ci ha aiutato ad affinare e rendere più scorrevoli i passaggi dalle musiche di repertorio alle mie composizioni. Dunque, per quanto riguarda il lato jazz, questo è stato il percorso. Ma più di ogni altra cosa, questa partitura è caratterizzata quasi esclusivamente da una forma musicale fondamentale, ovvero la sincope. Quando Anthony mi descrisse il personaggio di Ripley, mi disse che era la prima volta che prendeva il punto di vista di un criminale, anche se in questo caso si trattava del buono del film. E poi mi disse come Ripley fosse per lui un personaggio in conflitto con le proprie azioni: “La sua mano fa qualcosa che l'altra invece non vuole fare”. Dunque, un movimento goffo, come andare avanti e indietro allo stesso tempo. Nella musica, la forma della sincope è un po' una cosa del genere. Tutto il fondamento della mia composizione si è quindi basato su questo.
C'è poi la canzone che sentiamo all'inizio del film. In genere le canzoni sono presenti sui titoli di coda e non hanno niente a che fare con il film, ma in questo caso la ninna nanna “Lullaby for Cain” apre il film e contiene in sé tutto il senso della storia, sia nella musica che nel testo: “Don't worry my good child, I know you have killed your brother, come and sleep” [trad.: 'Non preoccuparti, mio piccolo bambino. Lo so che hai ucciso tuo fratello. Ora vieni qui e dormi']. Da' al tutto un senso vizioso, quasi brutale. Tutta la partitura è costruita su questa idea, ma anche su una scala molto semplice [canta uno dei temi]. Se ascoltate attentamente la mia musica, troverete quasi sempre delle scale.
Ero così impaziente di liberarmi dallo stile sentimentale di colonne sonore come Il paziente inglese, City of Angels o Le parole che non ti ho detto che quando ebbi l'opportunità di scrivere musica per un thriller fui veramente felice. Ritengo che ci sia stata solamente una persona capace di comporre grande musica per thriller. Ovviamente mi riferisco a Bernard Herrmann, il quale a sua volta fu molto ispirato da Bartòk e Franz Lizst. Io ho voluto seguire la stessa linea stilistica, sebbene non si tratti necessariamente dello stesso stile di Herrmann. Ho sentito così tante volte la sua musica che ormai era una parte di me e dunque, quando scrissi uno dei temi principali, l'influenza di questo autore su di me era inevitabile. Lo feci sentire ad Anthony, che immediatamente ne fu entusiasta. E' successo molte altre volte con lui. Abbiamo sempre lavorato anche prima e durante le riprese di ogni film e lui ha sempre avuto il naso e le orecchie per capire se una musica fosse quella giusta, anche se non avevamo ancora nessuna inquadratura.

Gabriel YaredCS: Nella colonna sonora di Ritorno a Cold Mountain c'è un brano molto commovente chiamato “Rebirth”. Ho immaginato che fosse un bel tributo alla memoria di questo regista. Lo eseguirà nel concerto?

GY: Non posso eseguirlo perché si tratta di un brano scritto per orchestra e qui suonerò con un ensemble di soli undici musicisti. Suonerò un altro brano tratto da Cold Mountain chiamato “Ada Plays”, un piccolo pezzo per pianoforte solo, seguito poi da “I Hardly Know Her”, ovvero lo stesso tema ma in chiave minore.
Certo, “Rebirth” sarebbe un brano... Beh, in un certo senso, lui per me è ancora... (si ferma a riflettere) Sapete, quando ebbi la notizia della sua morte rimasi molto scioccato, non volevo vedere nessuno, ero in lutto molto profondo. Quando mi recai a Londra per il suo funerale non ce la feci a rimanere lì a lungo. Arrivai nella mattinata e poi ripresi subito l'aereo nel pomeriggio. A casa ho la sua fotografia davanti a me e quando la guardo mi accorgo che anche se non è qui fisicamente, lui è dentro di me. Anthony mi ha insegnato una cosa molto importante: tutti quanti possiamo andarcene improvvisamente e quindi dobbiamo rimanere sempre molto fedeli alle cose in cui crediamo. Questo è ciò io che sto cercando di fare ed è la ragione per cui mi sono voluto prendere una pausa dalla musica da film e provare a godermi la vita. Ora che mi sento rinforzato posso tornare al mio mestiere, aiutato anche dallo spirito di Anthony.

CS: Mr Yared, grazie per aver condiviso con noi questi pensieri. E' stata una bella conversazione.

GY: E' stato un piacere. Grazie a voi!

 

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