Giocare con le note: la vita di un musicista curioso e felice di esserlo

Giampiero BoneschiIntervista a Giampiero Boneschi
, pianista, direttore d’orchestra, compositore.

Giampiero Boneschi è nato a Milano 81 anni fa, ha studiato ingegneria al Politecnico di Milano non terminando gli studi perché l’amore per la musica gli rubava già parecchio tempo e, come lui ha ammesso, “non si possono tenere i piedi in due scarpe per molto tempo, e bisogna fare una scelta…”. 
Si è diplomato in Cultura generale musicale al Conservatorio di Milano, in Pianoforte al Conservatorio di Parma, ed ha studiato composizione con il Maestro Gianluigi Centemeri. L’attività del Maestro Boneschi, iniziata giovanissimo nel 1945, è stata prolifica di collaborazioni con diversi musicisti, da Gorni Kramer, della cui orchestra è stato arrangiatore per diversi anni, a Luciano Sangiorgi, con cui ha suonato in duo. È stato un collaboratore, orchestratore, realizzatore delle riviste musicali prodotte da Remigio Paone negli anni '50, e a Parigi ha collaborato alla realizzazione delle musiche originali per gli spettacoli del "Lido". Ha lavorato molto in televisione come direttore d’orchestra e compositore di musiche originali per programmi e telefilm sia per la RAI che per Mediaset (Lascia o raddoppia, Giro a segno, Canzoni della fortuna, Canzonissima, Campanile sera, Capitol, OK il prezzo e' giusto, Il gioco dei nove, Doppio slalom, Il gioco delle coppie, Studio cinque, Scherzi a parte, Stranamore, e molti altri).
 Si è occupato di musica applicata alle immagini anche in relazione agli spot, collaborando con molte case produttrici di film pubblicitari, sonorizzando pellicole e commercial di innumerevoli prodotti (il carosello in cui era protagonista il vigilie “Concilia”, "Non e' vero che tutto fa brodo" , realizzato per la Lombardi fu un lavoro studiato e analizzato per la grande efficacia pubblicitaria). A Parigi si è specializzato nel sistema di sincronismo per la realizzazione di disegni animati. Ha realizzato le musiche originali per alcune pellicole tra cui il bel film di Bruno Bozzetto del 1968 West and Soda. Ha lavorato anche per la casa discografica Ricordi in qualità di Condirettore artistico con il compito di seguire la crescita artistica di tanti giovani cantautori italiani da  Ornella Vanoni a Sergio Endrigo, da Paoli a Tenco, e ancora Gaber, Jannacci e molti altri. In Boneschi hanno convissuto per tutta la sua carriera, e la sua vita, due anime che hanno dialogato con la musica utilizzando linguaggi differenti: quello del tecnico, o meglio di chi sente l’esigenza di confrontarsi anche con aspetti oggettivi e tecnici legati al fenomeno musicale,  e quello del musicista tout court. Anche per questa ragione risulta interessante la sua esperienza ricca di sensibilità artistica e di curiosità intellettuale, che lo ha spinto ad approfondire temi e problemi legati alla acustica e alla musica elettronica.

ColonneSonore: Maestro Boneschi, anche se potrebbe sembrare scontato per un musicista, lei ha avuto un rapporto con la musica particolare, l’ha studiata, l’ha amata, l’ha raccontata (scrivendo, componendo, insegnando). Berio sosteneva che definire la musica è come dare una definizione della poesia… è cioè “un’operazione felicemente impossibile”… vorrei comunque chiederle cos’è per lei la musica?

Gianmpiero Boneschi: Che cos’è la musica!.... la musica è qualcosa che quando sei piccolo fa sì che invece di aver voglia di seguire i tuoi compagni fuori per giocare a pallone, o a qualche altro gioco, preferisci restare a casa, stare accanto ad uno strumento, indagarlo, conoscerlo. Ti avvicini alla tastiera del pianoforte e provi a schiacciare un tasto, ne ascolti il suono, e ti interessi, ti stupisci, ti meraviglia, giochi in modo diverso…. Mi ricordo che mia madre mi raccontava che quando ero piccolo e andavamo spesso in giro per Milano (che è la città dove son nato e dove, con piccole parentesi di fatto, ho sempre vissuto), e allora c’era molta musica per strada… oggi non è più così, forse qualcosa di simile accade ancora a Venezia. C’era musica per strada ed io quando sentivo questa musica spesso mi commuovevo e piangevo… ecco questo forse indicava una mia certa sensibilità nei confronti della musica che unita alle mie continue richieste di avere uno strumento hanno infine convinto mia madre ad acquistarlo tutto per me, così che io potessi strimpellare…. Ecco appunto come dicevo prima, l’idea, la dimensione del gioco, che per me è importante quando si parla di musica. Per me, come per molti miei colleghi musicisti probabilmente, il giocare con i suoni sostituiva tanti giochi tradizionali che di solito occupano i bimbi: la corsa, la bicicletta, il calcio….

Il Maestro Boneschi in una foto degli anni '60CS: Gli anni in cui, nell’immediato dopo guerra, lavorò per la Columbia, la casa discografica americana sbarcata in quel periodo in Italia, come erano vissuti da un giovane musicista, quali ricordi conserva di quel determinato momento?

GB: 
Per mia fortuna non sono dovuto partire per il fronte. È stato appunto un caso fortunato, infatti se la guerra fosse proseguita per qualche mese ancora con molta probabilità io, e con me molti altri giovani, sarei stato condotto in Germania e da lì arruolato. La mia passione per la musica in quegli anni si era accesa ancor di più, e in particolar modo per un “frutto proibito”, non a caso in ogni religione c’è un riferimento a qualcosa del genere che affascina tanto più è difficile da raggiungere o vietato, un “frutto proibito” che in quegli anni era la musica americana. Noi allora non avevamo la possibilità di avere dei dischi originali d’oltreoceano, non potevamo quindi studiare, ascoltare con attenzione e riascoltare questo tipo di musica. Bisognava in qualche modo “rubare” questo ascolto alla radio e tentare di carpirne i segreti, di imitarla, risuonarla…. E dovevamo fare attenzione perché se ci avessero scoperto, erano problemi seri (ride), davano delle botte!
Noi giovani invece cercavamo di ascoltare la radio inglese, che era disturbata, non era semplice, bisognava andare per tentativi, e tra le notizie… le note di una musica diversa, nuova, le canzoni di allora…che noi riportavamo sui nostri strumenti, risuonavamo, le si arrangiava….
Immediatamente dopo la guerra il nostro obiettivo era quello di inserirci nel mondo della musica, quello più semplice, diretto, immediato…. Anche per poter guadagnare dei soldi, avevamo anche noi questo problema!
Io allora prendevo lezioni di pianoforte da una insegnante privata, ma quelle lezioni erano quasi una formalità! Devo confessare di non essere mai stato un bravo studente, si, preparavo la lezione…. ma  molto di ciò che suonavo, e da allora è sempre stato così, derivava da una mia facilità con i suoni che ha poco di accademico. Non ho mai voluto essere il grande interprete, amavo suonare, e fare musica.

CS: Con la fine della guerra c’è stato un ritorno alla vita, allo stare insieme, al fare musica insieme nelle piazze, nelle sale da ballo…

GB: Nelle piazze si suonava, si facevano feste, ma tutti i musicisti professionisti che per anni non avevano lavorato, avevano in qualche modo perso il contatto con le novità, ecco ancora il nostro frutto proibito, che invece noi giovani avevamo nutrito, alimentato…. Sulla piazza di Milano, protagonista della scena musicale era Gorni Kramer, un “padr’eterno”, e così noi giovani iniziammo ad affacciarci a questo mondo, timidamente, ma tutto fu molto naturale… Anche Milano si risvegliò, ripresero ad essere realizzate delle registrazioni, arrivò la Columbia e volle realizzare in Italia, con musicisti italiani, delle incisioni di brani nel nuovo stile. Un giorno un amico mi disse “perché non vieni domani sera… in quel posto lì… c’è anche Kramer…”
. E così andai, Kramer mi conobbe, suonammo insieme e via… bisogna essere anche fortunati ed io lo sono stato molto. Ho incontrato tante persone che hanno creduto in me, che mi sono state amiche e mi hanno dimostrato affetto e dato delle opportunità. Certo bisogna essere preparati per coglierle, le opportunità. Non è semplice. Una delle persone che mi ha dato molto è stato Sangiorgi, con cui, così quasi per gioco, iniziammo a suonare in duo, un duo pianistico. 
Fu lui che mi aiutò in momenti difficili durante la guerra. Non c’era da mangiare allora e lui, come me, lavorava per una radio milanese, Radio Tevere, una radio italiana camuffata da radio americana… per fare controinformazione…. Una cosa complicatissima! Di cui noi ci occupavamo poco, si andava lì per suonare, perché ci divertivamo e perché… chi lavorava con i Tedeschi aveva la tessera per mangiare! Conobbi Sangiorgi a casa del direttore di Radio Tevere, lì suonammo insieme la prima volta e decidemmo che poteva funzionare…!  
Per questo dico, bisogna essere preparati, ma serve anche la fortuna. E continuammo ad essere fortunati quando, con lo sbarco degli alleati, arrivò a Milano un agente infiltrato, un uomo eccezionale… per certi versi un genio… Un oriundo - italiano, che sembrava conoscere tutte le lingue del mondo, una persona straordinaria, perché se non lo fosse stato non avrebbe potuto avere quel compito. Gli ho voluto bene e lui, con me e gli altri, è stato eccezionale, intanto perché ci ha scagionato dalla probabile accusa di collaborazionismo di cui saremmo rimasti vittima se lui non avesse chiarito con le autorità americane che noi non eravamo altro che dei giovani che amavano la musica e cercavano di mangiare qualcosa.

CS: Ancora l’amore per la musica, sembra essere un tema che torna spesso nel racconto della sua vita di uomo e di musicista….

GB: Beh si, è stato per me un salvacondotto nei confronti delle brutture della vita, ed un ponte per la costruzione di amicizie. Il nostro amico americano infatti amava anche lui la musica, ed era un dilettante eccezionale capace di suonare tanti strumenti diversi, eccezionale davvero.
Fu sempre grazie a lui che riuscimmo a lavorare anche per gli americani, suonando alle loro feste, proprio qui a Monte Merlo per far divertire le truppe… e mangiavamo… (ride). Ricordo ancora il pane bianco a cassetta, quanto ne ho mangiato!
 Come dicevo prima anche Milano, la sua industria discografica, si rimise in moto con lo spegnersi del conflitto, e si realizzavano delle incisioni in Italia di musiche che venivano d’oltreoceano e non solo. Bisogna dire, anche se credo si sappia, che la musica impegnata, le incisioni della Deutsche Grammophon per esempio, non sono fatte per guadagnare. Sono incisioni costosissime, meravigliose, che vendono però la decima parte dei dischi di canzoni…. E la Columbia, il direttore era Dino Olivieri, sapeva quali generi potevano attrarre il pubblico di allora. Io suonavo di tutto, ho sempre avuto molta facilità nelle improvvisazioni, nella lettura a prima vista, se c’erano degli errori li correggevo e si andava avanti…! Ecco non servivano gli interpreti nel senso tradizionale del termine, i Pianisti, ma chi, come me, sapeva risolvere i piccoli problemi, adattarsi alle esigenze produttive, in termini di tempi e di mezzi. E così di giorno in giorno si costruivano legami professionali e anche di amicizia, ci chiamavano al mattino e ci dicevano “oggi ho bisogno di tre facciate di canzoni del momento, le orchestri come vuoi tu… e mi fai altre tre facciate di “fantasie di pianoforte” dei refrain…., mi fai qualcosa di Jazz…” (c’era Alberto Semprini prima della guerra che suonava un jazz  “alla inglese” a cui noi in qualche modo ci rifacevamo…) e questo è il modo, un po’ caotico se vogliamo, in cui iniziò la mia attività legata alle case discografiche, nel 46’, anni che ricordo con amore.

CS: Lei Maestro si  è occupato di musica non soltanto come pianista, come orchestratore, compositore o direttore d’orchestra, ma i suoi studi di ingegneria l’hanno spinta ad interessarsi anche ad aspetti teorici e tecnici legati al suono e al fatto musicale. Può raccontarci qualcosa delle  esperienze applicative per i nuovi sistemi di registrazione, dei suoi viaggi, delle visite e dei contatti con ingegneri in Germania, Inghilterra e in Olanda, che hanno segnato, credo, parte della sua storia personale e di musicista?

GB: 
In generale mi sono sempre interessato a tutto ciò che riguarda la musica, non soltanto all’aspetto compositivo o esecutivo ma a tutto il mondo musicale. Come tu anticipavi nella domanda i miei studi di ingegneria mi hanno portato a sviluppare un interesse anche per questioni tecniche legate alla acustica, al suono, alle modalità di registrazione.
Per questa ragione, per questi miei interessi, ho collaborato per un certo periodo con l’Ing. Persichetti della Fono Roma: ci occupavamo delle nuove tecniche di registrazione dei film, e siamo andati a documentarci in Olanda e in Germania, per studiare le nuove possibilità offerte dalla tecnologia in quegli anni. Il mio ruolo non era ovviamente quello di un tecnico ma piuttosto il mio apporto poteva essere prezioso in qualità di “interprete”, di punto di congiunzione di due mondi e linguaggi differenti: quello musicale e quello matematico/fisico.
Fummo tra i primi a studiare nelle registrazioni cinematografiche le testine rotanti, per esempio, il sistema poi sviluppato ed utilizzato nelle “cassette” usate successivamente in televisione. È chiaro come la possibilità di rivedere le immagini e risentire i suoni immediatamente, senza aspettare lo sviluppo e la stampa della pellicola, fosse molto importante per poter velocizzare e migliorare gli standard lavorativi. Le problematiche che affrontammo in quegli anni in relazione agli aspetti tecnici, erano poi importanti anche per altri aspetti del mio lavoro legati ad esempio allo studio dei sincronismi sia applicati al linguaggio pubblicitario che ai film di animazione. In questo i musicisti che lavoravano oltreoceano erano eccezionali e nel periodo in cui lavorai alla Gamma Film ebbi modo di incontrare diversi musicisti che avevano lavorato in America, o meglio ebbi l’opportunità di vivere in Francia e lì collaborare con dei  musicisti che avevano fatto degli stage negli Stati Uniti e questo ci consentì di iniziare a capire come si potessero ottenere certi risultati nella perfezione dei sincronismi tra immagini e suoni e musica contenendo i costi.

CS: Sono innumerevoli le realizzazioni di materiale musicale elettronico, nate anche  grazie alla competenza degli studi in ingegneria. Quale è stato il suo rapporto con questo tipo di musica? Come intende la musica elettronica all’interno del più vasto panorama musicale contemporaneo: può essere soltanto un luogo di sperimentazione o è destinata ad integrarsi con un linguaggio espressivo unico e ricco di tecniche compositive diverse e convergenti?

GB: Ricordo che intorno la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60 le riviste specializzate pubblicate negli Stati Uniti iniziarono a parlare di un sistema innovativo, il voltage controlled, che consentiva di arrivare a certi sincronismi che attraverso altri sistemi era impossibile raggiungere. Si trattava appunto di sistemi fondati su un principio di generazione dei suoni comandato dall’intensità dell’impulso elettrico. In questo modo si riusciva ad avere dei suoni non convenzionali, nuovi, che potevano essere plasmati dal compositore. Il Moog, ad esempio, un apparecchio che prende il nome dall’ingegnere che lo progettò, era uno strumento elettronico che aveva la particolarità di produrre dei suoni che potevano in qualche modo essere articolati, cambiati, sviluppati, e si poteva andare a fare l’esame dei suoni reali degli strumenti, analizzandoli, ricostruendone la forma d’onda per poi riprodurli.
Io riuscii ad avere delle informazioni su questo strumento e scoprii che già nel 1928 a Parigi un certo Martenot aveva inventato un sistema valvolare che si basava su un principio simile, le Onde Martenot appunto, che sebbene non emettesse altro che fischi, era capace di modulare e modificare questi suoni secondo l’esigenze di chi la controllava. Ed era questo che contava, che aveva significato.
Poi lo sviluppo delle tecnologie e dell’elettronica hanno determinato una progressiva miniaturizzazione dei componenti elettronici, e un sempre minor costo di produzione che hanno consentito un progressivo sviluppo e diffusione di questi strumenti che a mio avviso porteranno presto alla sostituzione degli strumenti tradizionali con quelli elettronici. Nella pratica quotidiana – si pensi ad esempio quanto più comodo sia per chi vive in un appartamento approcciare allo studio del pianoforte utilizzando un pianoforte elettrico, piuttosto che quello tradizionale, in termini di costi, di spazi e di disturbo ai vicini - così come nel lavoro dei compositori che spesso utilizzano suoni elettronici, strumenti elettronici, accanto a strumenti tradizionali. 
Oggi anche le tastiere dei pianoforti elettrici hanno una sensibilità eccezionale capace di rendere la dinamica di un pianoforte tradizionale, per rispondere alla tua domanda quindi sono certo che si andrà sempre più verso l’integrazione dei due mondi quello elettronico / digitale e quello acustico.

West & Soda, musiche di Giampiero BoneschiCS: Nella sua lunga carriera si è anche occupato di musica da film, di musica applicata alle immagini per i film d’animazione e per i film pubblicitari; so che è un argomento complesso, ma mi piacerebbe capire con lei quali siano le differenze fondamentali che passano tra un lavoro di scrittura per il cinema, per un film d’animazione, e per uno spot pubblicitario.

GB: Per certi versi le differenze sono molto semplici e intuitive, per altri aspetti si tratta di distinzioni tra un tipo di lavoro e l’altro che possono essere anche molto complesse da descrivere. In breve si può dire che quando si scrive musica per la pubblicità ciò che comanda è il prodotto. Chi si occupa della musica deve necessariamente partire dalla tipologia di prodotto, dal destinatario del messaggio per poter contribuire in modo efficace alla sua realizzazione. Se si lavora allo spot per un prodotto per bambini, bisogna trovare la chiave per interessare i bambini, una canzoncina buffa, una filastrocca o per catturare l’interesse delle madri. Se si sceglie la prima strada, ad esempio, chi scrive la musica deve adattarsi al testo, al suo significato, alla sua musicalità interna per rafforzarne la funzione mnemonica. Prima il prodotto quindi e, se in presenza di un testo, prima il testo e poi la musica. Se si lavora, ad esempio, alle musiche di uno spot per una merendina l’autore del testo (il copy) ti fornisce delle parole chiave: “friabile”, “dolce”, “nutriente”, “divertente”. E la tua musica deve in qualche modo accompagnare, richiamare queste idee, questi concetti.
Ovviamente non basterà mai preparare una sola versione delle musiche, bisogna sempre avere almeno cinque proposte diverse! Il cliente va preso nel modo giusto per cui devi prepararti e dire “queste sono le due versioni che ho pensato…” ma sai già che le butti via, “poi ce ne sarebbe un’altra ma questa non ve la faccio sentire perché ho capito che in realtà dobbiamo prendere una strada diversa…” (ma tu questa terza proposta non l’hai neanche scritta!), “poi c’è questa che è il mio mondo pensato, tradotto per voi” (e questo è il lavoro che ti rappresenta, che hai fatto per te, che sai essere la migliore proposta, ma sai anche che verrà scartata perché forse troppo complessa…), e infine proponi l’ultima versione quella cucita addosso al cliente e alle sue aspettative!
Quando si tratta un film invece ciò che guida chi scrive la musica è l’immagine, la storia, l’intreccio. La colonna sonora può svilupparsi seguendo direttrici diverse e differenti livelli di significato ma tutto è sempre riconducibile alla storia, all’immagine, al racconto nella sua interezza. 
Quando si lavora per un film di animazione, un cartone animato, la musica deve invece legarsi alla immagine al di là del suo valore informativo ma intesa in sé.

CS: Questa differenza è in qualche modo riconducibile alla distinzione che fa la musicologa polacca Zofia Lissa tra le semplici immagini (Ansichten), ovvero sagome semoventi che non rimandano ad altro, gli oggetti rappresentati e l’azione filmica? Per cui quando si lavora ad un film tradizionale ciò che ha maggior importanza sono gli ultimi due elementi, mentre nel caso della musica per i cartoni animati l’elemento di riferimento è la semplice immagine?

GB: Si per molti versi è così. L’elemento principale resta l’immagine e i movimenti legati alla azione rappresentata dall’immagine, e in modo particolare il sincrono tra la musica e i movimenti che deve assicurare anche il senso di realtà del cartone animato. Il sincronismo tra musica, suono e immagine è molto complicato da rendere e lo era soprattutto negli anni in cui ci occupavamo di queste problematiche senza che ci fosse un aiuto così grande come quello fornito dai sistemi digitali d’oggi. La lezione degli Stati Uniti, dei cartoni animati di Tom & Jerry fu davvero importante per noi allora.
Il lavoro del musicista nella realizzazione di un cartone animato arriva alla fine. Inizia dove finisce il lavoro degli sceneggiatori e dei disegnatori. Definiti tutti i movimenti dei personaggi protagonisti della storia infatti il compositore può analizzare alla  moviola il film e fare una scansione delle azioni fotogramma per fotogramma. Queste indicazioni, estremamente precise, vanno poi inserite in partitura in modo che lo sviluppo del materiale tematico, le indicazioni dinamiche ricalchino perfettamente l’azione, il movimento delle immagini. 
Dopo aver composto la musica e redatto la partitura, si andava in sala di registrazione, una sala attrezzata per la proiezione del  film, e si registrava direttamente in sincrono con le immagini. 
Per un film “normale” invece non è sempre necessario seguire l’azione fotogramma per fotogramma (eccezion fatta per le scene d’azione), spesso si lavora su intere scene o “blocchi” di 2 o 3 minuti, in cui si individuano due o tre momenti in cui l’azione è caratterizzata da un crescendo o da un aumento della tensione drammatica, e in fase di registrazione con l’orchestra è il direttore insieme al compositore che definiscono con una certa libertà i tempi della musica e dell’azione.

CS: Per tornare a quello che dicevamo prima in relazione alle possibilità offerte dall’elettronica e dal digitale, oggi affrontare certi problemi legati alla composizione, sia in relazione alle musiche per i film tradizionali che per i film d’animazione, è per certi versi più semplice, il compositore può sviluppare un buon prodotto, quasi del tutto in autonomia nel proprio studio….

GB: Si, è verissimo. Oggi esistono diversi programmi che offrono la  possibilità di comporre musica utilizzando il computer capaci di performance straordinarie, e anche i costi sono decisamente ridotti, per cui con un investimento impegnativo ma non impossibile, si riesce a costruirsi in casa uno studio di registrazione che già con programmi come Cubase ti consentono di avere un controllo assoluto, numerico, sul valore, la durata, le caratteristiche timbriche e dinamiche di ogni singola nota… eccezionale!

CS: Un mondo che confina con quello delle colonne sonore è quello della background music. Lei è stato tra i primi produttori in Italia a realizzare musica da sottofondo per i maggiori editori sparsi nel mondo. Quali erano le caratteristiche distintive di questo tipo di musica, e quali i processi produttivi negli anni in cui se n’è occupato?

GB: 
L’avventura della background music è stata davvero divertente. Io sono una persona che ha sempre fatto molta attenzione all’aspetto “imprenditoriale” del lavoro del musicista… Fui forse tra i primi a scoprire in Italia, quanto potesse essere ampio il mercato per questo genere di musica, nelle radio, ma soprattutto in televisione. In quegli anni la televisione si stava sviluppando con dei ritmi incredibili, e tutti i programmi avevano in un modo o nell’altro bisogno di musiche di sottofondo…
Iniziai come spesso accade quasi per caso e nell’arco di poco tempo mi specializzai nella realizzazione di musiche che coprissero esigenze narrative e drammatiche differenti e che avessero anche una forma aperta, caratteristiche imprescindibili per la "background music" che potesse consentire a chiunque utilizzava il brano di tagliarlo o di sfumarlo in sede di post produzione audio senza alcun problema. Dovevano essere musiche originali, poco costose che potessero coprire tutto il ventaglio di emozioni… Musica elettronica, musica di fantasia, che richiamasse l’idea di felicità, ironia, divertimento, drammaticità, tristezza, allegria.
Furono gli anni in cui iniziai a conoscere e studiare quello strumento meraviglioso che era il Moog. Si sparse la voce che fossi in Italia uno tra i pochi a saper usare questo strumento, tanto che divenni un punto di riferimento importante per tutti gli importatori. Ogni novità che usciva sul mercato mi arrivava direttamente a casa, io la testavo, contribuivo alla realizzazione dei libretti che illustravano il funzionamento dello strumento…e li utilizzavo! Li usavo per la realizzazione di materiale che poi veniva inserito in musiche per la televisione ad esempio, e questo consentiva ai miei lavori di avere sempre un sapore fresco, innovativo.
Forme circolari, temi semplici e riconoscibili erano quindi gli elementi fondamentali di questo tipo di musica che per diversi anni ho composto anche con l’aiuto di alcuni collaboratori tante erano le richieste cui dovevo far fronte! Una sorta di bottega o di industria delle musiche da sottofondo!
Il prodotto finito della durata media di 3 minuti doveva consentire al sonorizzatore del programma di utilizzarlo anche solo per 30’’. Non esiste dunque uno sviluppo all’interno della background music, ma l’inizio e la conclusione dovevano avere lo stesso “sound”, lo stesso sapore, la stessa intenzione. Una musica davvero al servizio della narrazione o dell’immagine, di riempimento ecco, che se per il musicista che l’ha composta non ha certo un alto valore artistico, ha comunque un buon valore in termini economici… e la cosa non guasta mai! Poi noi allora eravamo veramente in pochi a fare questo mestiere, e tutti con alle spalle un percorso importante e pieno di esperienze.

CS: Parlando della radio e della televisione, due potenti mezzi che hanno caratterizzato la cultura del novecento in diversi modi, due mezzi in cui la musica ha svolto un ruolo importante, nella costruzione dei messaggi e dei contenuti, si può dire che si tratti di due suoi amori, alla luce di quanto ha prodotto? Come definirebbe il suo rapporto con questi due media, e come si è modificato nel corso degli anni, con il mutarsi dei linguaggi, delle tecniche e delle logiche produttive, e con il passaggio da un regime di monopolio all’affermarsi delle tv commerciali?

GB: 
Non parlerei di “miei amori”, riferendomi alla radio o alla televisione. Si tratta di due mondi, soprattutto quello televisivo, in cui ho avuto modo di realizzare diversi lavori che avevano una loro dignità ma che non sento mi rappresentino come musicista in senso pieno. Mi spiego meglio. Quando si lavora per la televisione, ad esempio, nel realizzare una sigla per un programma o i momenti musicali all’interno del programma stesso, si lavora in stretta collaborazione con il regista, con il produttore del programma, e se si fa bene il proprio mestiere bisogna riuscire a tradurre quelle che sono le esigenze produttive e “narrative” senza essere troppo “invadenti”. Ciò non significa trascurare questo tipo di attività ma essere consapevoli che lo spazio che l’autore delle musiche può trovare all’interno di questo tipo di prodotto è limitato, e deve concentrarsi soprattutto sugli aspetti di qualità e pulizia del suono, sulla scrittura, che deve essere essenziale, diretta, priva di inutili fronzoli, e sulla scelta delle sonorità e degli strumenti. Dunque non mi sono innamorato della televisione, ma piuttosto dei miei dischi, che hanno sempre venduto molto poco…! Non certo come la Pausini, o Vasco Rossi.

CS: Possiamo dire allora che è innamorato del suo ultimo lavoro Per chi suona il pianoforte (Musicisti Associati Produzioni di Milano, 2007).
 Devo dire tra l’altro che l’ho trovato molto bello, ed interessante come idea…

GB: Si! Mi sono divertito a trascrivere diversi brani che in qualche modo rappresentano il mio mondo sonoro, una sorta di  viaggio nella memoria e nei suoni che passano per Chopin, per Duke Ellington, Morricone, Bach, Mozart, Ravel, Zani, Debussy. E quello che mi da gioia è quando un mio amico magari mi chiede “ma come mai hai trattato così quel passaggio… o quella misura…” E sono perfettamente consapevole che questi restano lavori fatti per me e per i miei amici, non certo per far guadagnare un discografico!
Tornando quindi ai miei lavori per la televisione, sono tutti impegni di cui vado fiero perché sono sempre riuscito ad evitare la “banalità” perché la cosa peggiore che possa accadere ad un musicista è scrivere e produrre qualcosa di banale! La mia fortuna è stata quella di avere una certa facilità di scrittura, per cui pensare temi e formule musicali è stato per me molto semplice.

Boneschi durante una sessione di registrazioneCS: Per diversi anni lei ha fatto parte della equipe di produzione discografica dell’amico Nanni Ricordi, editore e produttore discografico, insieme a Franco Crepax. Quali ricordi conserva di quella esperienza, e come descriverebbe il lavoro che avete svolto in quegli anni?

GB: Nanni è stato un amico! Che mi ha dato fiducia, e che purtroppo oggi sta molto male.
Lo incontrai per caso perché spesso io andavo a registrare, quando lavoravo con un ristretto numero di esecutori, nella piccola sala di registrazione che si trovava  all’interno della sede della Ricordi in via Berchet a Milano. Un giorno mi venne a trovare e mi propose di seguire per suo conto tutta la produzione discografica della Ricordi, che proprio allora si stava affacciando su quel mercato, per quello che riguardava la musica commerciale. Lui direttamente invece avrebbe seguito la sezione classica e operistica. 
Anche in questa avventura io ebbi molta fortuna. Innanzitutto perché riuscimmo a soddisfare un’esigenza: quella di dire qualcosa di nuovo con la musica. A Genova il direttore del negozio Ricordi era un mio amico, molto appassionato di musica che iniziò a mandarci tanti giovani cantautori da ascoltare…. E poi c’era il 45 giri, che segnò una rivoluzione rispetto al 78 giri, anche se restava un prodotto da elite, segnò comunque un momento importante nel mercato dei supporti musicali, e preparò in qualche modo quello che davvero rivoluzionò il mercato discografico, ovvero  la nascita e l’avvento del “mangiadischi”. 
Il fatto che i giovani potessero portare in giro, in macchina, al mare, nei parchi, la propria musica preferita consentì un aumento delle vendite inimmaginabile fino a qualche anno prima. 
In questo panorama noi riuscimmo ad inserirci proponendo un modo nuovo di fare musica, che per lo più era quello della canzone d’autore che si nutriva del mare e della poesia di Genova e della Liguria in quegli anni. 
La mia esperienza nel settore discografico è qualcosa che ricordo con molto piacere e molto affetto, e che tra l’altro ho avuto modo di vivere indossando abiti diversi da quello di direttore artistico a quello di direttore di produzione sia in Ricordi che in altre realtà. Ho dovuto imparare quindi sia a spendere o tentar di spendere il più possibile, per garantire il miglior prodotto, e più alti standard di qualità, in veste di direttore artistico, e ho saputo trovare il modo di risparmiare quando lavoravo come direttore di produzione….!

CS: Il mestiere del musicista è forse tra i più ricchi di fascino, e ci sono molte professioni legate alla musica: strumentista, compositore, orchestratore, direttore d’orchestra. Quali consigli darebbe ad un giovane che voglia affacciarsi al mondo della musica e che non sa bene come orientarsi?

GB: Per due anni ho insegnato al Conservatorio. Poi ho deciso di smettere perché non mi riconosco nella logica che ancora oggi sta dietro il modello didattico dei conservatori in Italia. Non ha senso oggi un approccio in cui si alimenti ancora quella “puzza sotto il naso” di ceri musicisti che si occupano di musica classica nei confronti della musica commerciale. Non puoi immaginare quante volte ho utilizzato strumentisti di prestigiose realtà concertistiche di Milano, per la realizzazione di miei lavori….
Bene oggi il modello didattico dei conservatori non si è adeguato alle esigenze e alle possibilità offerte dal mercato. Un musicista adesso dovrebbe studiare già all’interno del conservatorio utilizzando l’orchestra, come avviene negli Stati Uniti, così si potrebbe commissionare ad uno studente la realizzazione di una musica originale per accompagnare la scena di un film, e poi suonarla insieme… si potrebbe realizzare uno studio di registrazione e scoprire insieme quali problematiche si affrontano  nel momento in cui si entra in sala di registrazione, e ancora si dovrebbero affrontare le questioni legate ad esempio al mestiere di editore musicale… per non parlare di tutti quei mestieri che confinano con la musica e che sono valorizzati dalle competenze musicali: ingegnere del suono, sonorizzatore, consulente musicale…..
Un augurio quindi a tutti i giovani che vogliono intraprendere un viaggio nel mondo meraviglioso della musica, ed un invito: non lasciate che la musica esca dalla vostra vita soltanto perché non riuscite a vivere il sogno di una carriera da solista… oggi sono davvero tante le strade che portano alla musica

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