Il Flauto Magico: chiacchierando con Kenneth Branagh

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Presentato nel corso della 63ª Mostra del Cinema di Venezia, nella maestosa cornice del Teatro La Fenice, l’opera classica Il Flauto Magico di Mozart è stata trasformata in una spettacolare versione cinematografica, ideata e diretta da Kenneth Branagh. Il maestro James Colon ha diretto la Chamber Orchestra of Europe, mentre il cast è formato da giovani star dell’opera fra cui Joseph Kaiser, Ben Davis e l’esordiente Amy Carson, insieme ai più noti René Pape, Tom Rande, Lyubov Petrova e Silvia Moi.

 

Il desiderio del produttore Sir Peter Moores di “portare l’opera fuori dai teatri” per raggiungere un pubblico sempre più ampio, si è ora concretizzato in questo film, rigorosamente cantato in inglese, corredato da un nuovo adattamento del libretto di Stephen Fry. L’energia e la passione di Branagh (da sempre abile nel trasporre le opere di Shakespeare in film) hanno assicurato, a questa versione dell’opera, il potenziale per un’esperienza cinematografica. Il segreto? Miscelare con nonochalance dramma e commedia in un coinvolgente intreccio, popolato da straordinari personaggi. Ma vediamo ora nel dettaglio la genesi di questo esperimento. Una volta entrato nel progetto, Branagh ha iniziato a scrivere la sceneggiatura de Il Flauto Magico, e per adattare e creare un nuovo libretto in inglese, si è affidato all’amico e collaboratore Stephen Fry (il cui talento spazia dalla recitazione alla scrittura, passando per la regia). Ecco cosa racconta Kenneth Branagh: “Quando Mozart ha composto Il flauto magico, nel XVIII secolo, intendeva creare un’opera veramente popolare, dedicata a un pubblico molto vasto. Tant’è vero che questo capolavoro ha riscosso un enorme successo popolare sin dalla sua prima rappresentazione nel 1791!  Per questo il libretto è stato scritto in tedesco e non in italiano, come accadeva per tutti i libretti dell’epoca. Tradurlo in inglese ha quindi significato seguire la strada intrapresa da Mozart e Schikaneder all’epoca, ossia renderlo fruibile a tutti. D’altra parte, oggi è innegabile che l’inglese sia la lingua del cinema per eccellenza”.
Branagh continua raccontando come ha svolto il lavoro con Stephen Fry: “Ho dato a Stephen le 120 pagine della sceneggiatura, con tutti i dettagli possibili per ogni scena, la descrizione dei personaggi, ed i diversi modi in cui intendevo rispondere ad alcune questioni poste nel plot da Mozart e Schikaneder. Stephen ha poi studiato la traduzione letterale del libretto. In seguito, abbiamo cercato di  ‘arrangiare’ la lingua al periodo che avevamo scelto per il nostro adattamento, vale a dire il 1916 ”. Giunti a questo punto per Fry iniziava la sfida: modernizzare il libretto mostrando al contempo humour e comicità, trovando, quindi, un modo di parlare che si adattasse al ritmo di un testo originariamente scritto in tedesco. Detto fatto. Fry ha sviluppato un linguaggio che coinvolge e trascina nella vita dei personaggi. Un lavoro straordinario, di facile comprensione, che in più ha conservato la somiglianza tra il cantato originale.
intervista_kenneth_branagh2.jpgUna volta tradotto e adattato il libretto, il testimone è nuovamente passato a Kenneth Branagh che ha vissuto la vicenda come una vera e propria sfida. “ Sì, è stata una vera sfida, molto simile a quella dei film tratti dai lavori di Shakespeare. Trasporre un’opera d’arte senza perdere la magnificenza che vuoi celebrare è sempre rischioso, perché corri il rischio di alterane il contenuto e il valore… Ma c’è un punto fondamentale da ricordare: Mozart è robusto come Shakespeare! E le somiglianze non si esauriscono qui; Il flauto magico ha vissuto varie ambientazioni, come “Amleto”...è stato sulla luna, al circo, a Stonehenge, in spiaggia e Mozart è sempre sopravissuto. Un dato fondamentale, per me, è la fedeltà della performance. Basta procedere a piccoli passi, avendo sempre ben presente l’opera originaria”.

Scegliendo di confondere i tradizionalisti (che, in effetti, si sono un pizzico indignati), Branagh ha ambientato la sua versione dell’opera nei primi anni del XX secolo, durante il primo conflitto mondiale. Chiarendo la sua visione, Branagh racconta: “Al centro de Il flauto magico c’è l’analisi di un conflitto incarnato dalla musica, e lo sviluppo dell’opera riguarda la determinazione degli antagonisti. La luce opposta alle tenebre, l’amore all’odio, e nel nostro caso, la pace opposta alla guerra. Lo scontro più aperto è tra Sastro e la Regina della Notte. Ambientando la pellicola durante la Prima Guerra mondiale e assegnando ad ognuno un esercito, abbiamo dato senso alla dimensione delle azioni dei personaggi. La Grande Guerra fornisce un territorio sia letterario sia metaforico, emotivo e complesso come l’opera stessa. E’ anche vero che in questo momento della nostra storia la musica, le canzoni, la poesia, sono parte del meccanismo di sopravvivenza. L’ambientazione permette poi parentesi di romanticismo e di  umorismo, e questo fa emergere  con forza ‘l’opera comica ’. Anche il set che abbiamo creato è risultato adatto ad un’avventura epica, coerente con l’opera”.
Tutto è magia e sogno. Musica magica, storia magica, flauto magico. Alla fine del lavoro Branagh conclude: “Il nostro è stato un tentativo di far uscire l’opera, di non confinarla. E’ la musica a regnare e a reggere tutto il film. La musica invita all’immaginazione, perciò la gente prenderà ‘da questo flauto’ ciò che preferisce. Occorre anche ricordare che le reazioni ad un’opera d’arte sono necessariamente soggettive! Nel nostro adattamento abbiamo cercato di usare tutte le risonanze creative del cinema, con lo scopo, però, di lasciare che la gente rimanga affascinata da Mozart. Noi abbiamo solo cercato di aprire la porta… ma non spingiamo la gente dentro!”.

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