Il divertimento in armatura di chiave: Intervista esclusiva a Bruno Zambrini

intervista_bruno_zambrini.jpg

Capita ad alcuni artisti che il passaggio generazionale si accompagni ad un cambio di visibilità tra le fila del pubblico, soprattutto se incentivato da un parallelo mutamento del settore d’interesse. Probabilmente, molti degli ascoltatori delle magnifiche stagioni “leggere” della musica italiana anni ’50 e ’60 avranno ancora buona familiarità con il nome di Bruno Zambrini, autore di alcune delle pietre miliari del genere per Gianni Morandi, Patty Pravo, Mina, Modugno e molti altri; diversamente, i loro figli e nipoti potrebbero avere difficoltà nell’identificarlo, pur avendo mandato a memoria le sue musiche per i film natalizi di Neri Parenti, così come quelle per il dittico di Notte prima degli esami diretto da Fausto Brizzi. Lui, romagnolo di nascita con all’attivo una filmografia ormai ingente dopo il transito dalla canzone al cinema, senza rivendicare la giusta posizione di compositore tra i più costanti e produttivi dell’attuale panorama nazionale (collaborazioni con Maurizio Ponzi, Luciano Salce, Castellano & Pipolo, almeno un lungometraggio all’anno con Parenti, esperienze nella fiction e un promettente nuovo sodalizio con Brizzi) evita l’esposizione mondana, schiva perlopiù le interviste, poco si concede alle kermesse di settore – se non quando direttamente chiamato in causa, come per la meritata e inaspettata nomination ai David di Donatello per le musiche di Notte prima degli esami. Professionalmente a metà strada tra i colleghi d’oltreoceano Robert Folk e Ira Newborn, con una recente, efficace sferzata nei linguaggi a là Marc Shaiman, coltiva la musica come lavoro e hobby inscindibili.“Mi diverto solo quando scrivo, quando faccio musica”, ammette il compositore che, non a caso, più di tutti oggi può dirsi alfiere musicale del divertimento per immagini.

 

CS: La scoperta della passione per la musica risale alla sua infanzia?

BZ: Sin da quando avevo circa 4 anni. La mia famiglia aveva il pianoforte in una stanza a 70 metri a picco sul mare e in casa tutti studiavano musica per cultura. Un giorno iniziarono ad urlare che ero caduto dal terrazzo: in realtà io ero seduto al pianoforte; quando mi trovarono mi voltai e, mentre suonavo, dissi: “Questo l’ho fatto io!”. Si vede che ero già affascinato dal suono. Dopodiché ho fatto gli studi tradizionali, il liceo a Ravenna. Mio padre mi regalò la fisarmonica e il giorno dopo già suonavo qualsiasi cosa; poi il pianoforte, continuando a studiare. Al secondo o terzo liceo dissi a mio padre: “Non farò mai il dottore né l’avvocato, farò il musicista”. E andarono in crisi. Per un genitore non era facile pensare ad un figlio non laureato. C’era un grande insegnante di musica impegnata (non classica, che è un termine sbagliato) a Ravenna, che era Balilla Pratella; consigliò ai miei genitori di mandarmi a Roma, o a Milano o a Bologna. Ero abbastanza giovane, avrò avuto 16-17 anni, e avevo dei parenti a Roma, e al conservatorio di Santa Cecilia c’era anche un internato. Mi fecero un ammissione e andò bene. Lì mi sono diplomato in composizione con il maestro Franco Margola.

locandina_natale_a_new_york.jpgCS: Come sono iniziate le stagioni della musica leggera?

BZ: Sin da piccolo, vivendo in un piccolo paese della Romagna, davanti casa avevo una pista da ballo, dove tutti i sabati sera suonavano i valzer romagnoli. Il primo contatto quindi l’ho avuto con questa musica estremamente popolare, le mazurche, i valzer, i ballabili. A Santa Cecilia continuavo a scrivere delle canzoni sotto questa influenza, ma per divertimento. Tutti i miei colleghi venivano a sentire queste cose che componevo nel giro di 10 minuti – mentre la musica impegnata aveva altri canoni. Mi venivano di getto. Così mi presentarono a Carlo Alberto Rossi, per me il più grande musicista di canzoni degli anni ’50 (l’autore di “Amore baciami”, “E se domani” e di tutti i pezzi del compianto Joe Sentieri), un grandissimo. Tutti noi della musica classica lo ammiravamo molto, perché era armonicamente interessante e poco facilone. Andai a Milano e dopo un’ora avevo un contratto con loro. Iniziai ad incidere ma non si vendeva un disco, perché ero complicatissimo vista la mia formazione. Era un lavoro a latere che mi divertiva mentre studiavo. A Roma entrai in contatto con il gruppo di Migliacci e Modugno: mi dissero che mi conoscevano ma che ero troppo complicato e che avrei dovuto semplificare. Sono stato un anno con loro e ho imparato come comporre in modo più popolare. La prima canzone di successo fu “Lettera di un soldato” cantata da Modugno. Subito dopo feci “In ginocchio da te” e poi gran parte dei successi di Morandi degli anni ‘60. Quindi, nel 1969, composi “La bambola” che fece esplodere Patty Pravo. Fu un periodo di grande goliardia, giovani com’eravamo.
Successivamente mi offrirono un film molto interessante, di Luciano Salce: Io e lui (1973), con Lando Buzzanca, prodotto da Dino De Laurentis.

CS: Lei non è l’unico musicista cinematografico proveniente dalla fucina delle canzoni: Morricone, Donaggio, Trovajoli, Ferrio, Mariano, Bacalov, Fidenco – per citarne solo alcuni – si sono mossi dallo stesso ambiente e da simili esperienze. Pensa che la condivisa aspirazione ad un servizio narrativo della musica leggera e di quella da film sia in qualche modo alla base di questa naturale trasmigrazione?

BZ: Diciamo che la musica da film si avvale maggiormente di un substrato armonico piuttosto che melodico. Il musicista da film deve pensare molto a quello che c’è sotto oltre a quello che c’è sopra. La musica leggera forse è servita a tutti per capire che la melodia è una cosa molto importante: perché se oltre al lavoro armonico c’è anche una componente melodica importante la cosa acquista un maggior valore. E’ come avere una freccia in più al proprio arco. Cito Morricone che è il grandissimo della musica da film e anche un grosso strumentatore: è capace di valorizzare al massimo ogni sua melodia. Sicuramente tutte le esperienze servono. Poi c’è chi ha innato il senso melodico e non ha bisogno di passare per la canzone, come John Williams…

CS: Quali difficoltà, se ce ne sono state, ha dovuto affrontare nel passaggio dalla canzone alla colonna sonora?

BZ: Difficoltà più che altro tecniche, perché c’erano dei canoni da stabilire – i synch, ad esempio – e io la moviola non sapevo neanche cosa fosse. In realtà il primo vero film a cui ho preso parte era una commedia musicale, Per amore, per magia (1967), di Duccio Tessari. Cristaldi offrì a me, Bacalov e Migliacci la colonna sonora: io e Bacalov alle musiche, Migliacci alle parole. Ci prese una villa al mare in stile Hollywood, per lavorare. Questa prima esperienza fu fondamentale per capire proprio dal punto di vista tecnico come comporre per il cinema.
Poi, nel 1981, arrivò Innamorato pazzo, scritto e diretto da Castellano e Pipolo, con Adriano Celentano e Ornella Muti, che fu un grandissimo successo. In seguito cercavano un musicista per un film diretto da Neri Parenti, Sogni mostruosamente proibiti. Lo trovai delizioso e accettai. Iniziò così la mia collaborazione con Parenti, il regista che amo più di tutti.

CS: Il genere centrale alla sua filmografia è sicuramente la commedia. Pensa ci fosse già una predisposizione o si è trattato molto più di una casualità, di un ritrovarsi suo malgrado trascinato in una corrente?

BZ: Anche se in passato ho fatto canzoni molto allegre, come “Vuoi uscire una domenica con me” di Morandi e “Bada bambina” di Little Tony, la mia natura è sempre stata molto più romantica – mi è forse più congeniale. In verità penso di essere molto portato per il genere fantastico, alla Harry Potter, meno che per i film di azione. Anche se avendo fatto gli studi giusti credo di poter affrontare ogni genere…

intervista_bruno_zambrini_2.jpgCS: Nel filone comico pensa di aver maturato un proprio stile? Uno “Zambrini’s touch”?

BZ: Non avendo fatto ancora un film come C’era una volta il West non posso averlo, no? (ride) Penso comunque di aver maturato un mio stile e credo si percepisca soprattutto negli ultimi film di Parenti, in particolare nell’episodio De Sica-Ghini di Natale a New York, che infatti sento più mio.
C’è anche da dire della presenza di musica nei vari film, che può rendere difficile l’evidenza di uno stile personale. Se si vede un tramonto senza musica, potrebbe essere meglio tagliarlo. Se invece c’è la musica sotto, in quel momento, viene fuori il musicista - almeno in un film di narrazione. Dove c’è la torta in faccia viene fuori il rumore, la gag. Molte volte non ci si accorge che quello che il compositore ha messo nella musica comica è molto importante, e anche difficilissimo da ottenere: perché non deve disturbare l’azione.

CS: A suo parere esistono delle regole inviolabili nel musicare la comicità?

BZ: Sono pellicole difficilissime da musicare. Fare un film comico è più difficile che farne uno drammatico.
Dipende molto dal regista. Da loro ho avuto le più grandi esperienze. Il regista non ti dice mai che genere di musica devi scrivere, ma ti dice quello che non devi fare.  Faccio sempre un esempio: ho fatto due episodi per un prodotto televisivo europeo, Safari, con Roger Vadim – una serie estremamente drammatica. Si è stabilito anche un bellissimo rapporto con il regista. Vedevamo il film e io dissi che per una determinata scena avrei voluto spingere sul tasto drammatico… Mi rispose che proprio perché la scena era molto tesa, non voleva esagerare ulteriormente con la musica, ma che voleva alleggerirla: la musica sarebbe dovuta uscire da una radio accesa da uno dei protagonisti, e sarebbe venuta fuori una canzone romantica.
I registi ti dicono esattamente ciò che vogliono con due o tre aggettivi…Quando Brizzi girava l’ultimo Notte Prima degli Esami mi telefonò dicendomi che avrebbe girato una scena con i delfini, a cui teneva molto, e mi chiese un tema a tal proposito, che seguisse tutte le evoluzioni dei delfini e che poi diventasse anche un tema d’amore. L’ho composto prima di aver visto la scena, forse perché questa immagine incontrava la mia sensibilità. Se lui non mi avesse dato quell’input forse non sarebbe mai venuta fuori…
Con Neri ormai c’è un tale affiatamento… io so quello che gli piace e quello che non gli piace, quello che vuole e quello che non vuole…poi mi dà degli input anche lui. Le scene di Neri sono talmente veloci che la gente non fa in tempo ad accorgersi che c’è una musica importante sotto. Dopo 20-25 anni c’è affiatamento: quando lavoro ad un suo film cerco di dare ogni volta qualcosa di nuovo.

CS: Spesso quando si elencano i grandi sodalizi cine-musicali degli ultimi tempi si dimentica che il vostro è uno dei più longevi e produttivi degli ultimi tempi…

BZ: Da Sogni mostruosamente proibiti in poi, credo siano una trentina di film, o più: tutti i film con Villaggio da lui diretti, passando per Boldi, Banfi, De Sica, Pozzetto, qualche film fuori genere e tutti quelli di Natale.

CS: Come si struttura la sua collaborazione con Parenti? Viene coinvolto già prima dell’inizio delle riprese?

BZ: Sì, certo, anche qualche mese prima. Lui inizia a dirmi dove andranno le canzoni, quali raccordi e tempi musicali servono: mi illustra in generale come sarà la situazione. Anche perché Neri segue la sceneggiatura ma quando gira è un uomo vulcanico, gli vengono delle idee improvvisamente, molte le pensa direttamente sul set.
Dopo queste indicazioni preliminari io lo tormento. Lo tempesto di telefonate per potermi rendere conto il più possibile della situazione. Molte volte ho dei dubbi e lui viene a sentire…

CS: E per offrire questi primi assaggi al regista sfrutta solo il pianoforte o anche l’elettronica?

BZ: Ci sono dei provini elettronici che sono talmente vicini alla realtà: l’ultima volta nel film ambientato a New York c’era una scena molto bella che a me sarebbe piaciuto fosse rimasta integra, ma avevano tagliato due o tre fotogrammi e sbarellavano tutti i synch; ho dovuto aggiustarla.
Per farlo bene – anche nelle canzoni – bisogna lavorare molto, non esistono delle cose semplici. Io posso scrivere 10 canzoni in un giorno, ma quella di successo arriva solo una volta in 4-5 anni.

 

CS: Sceglie di volta in volta una chiave stilistico-tematica a priori oppure procede ad istinto?

BZ: La sceneggiatura mi serve per sapere di cosa si tratta, però se non vedo le immagini…io ho buttato via tanta di quella musica, specie all’inizio, perché volevo avvantaggiarmi. In quest’ultimo Natale a NY per esempio ho inserito un estratto di un pezzo che durava molto di più e mi è dispiaciuto doverne mettere solo venti secondi.
Prima di vedere il film posso magari ragionare su un tema importante (basandomi sul genere delle scene).

CS: Come organizza il lavoro con il suo collaboratore di lungo corso Maurizio Abeni, orchestratore e direttore d’orchestra di molti dei suoi score?

BZ: Ci mettiamo al computer e decidiamo insieme sul da farsi, come dividere le parti tra gli strumenti. Poi, come succede in tutte le collaborazioni, lui mi dà delle idee e io ne do a lui. Quello che arriva in più con l’orchestra, dopo, è tutto di guadagnato. E’ un confronto attivo, un rapporto tra musicisti e quindi un rapporto molto serio così come molto proficuo.

CS: A livello musicale, i film di Parenti sono sempre ad alto budget?

BZ: Devo dire che questo è un punto a favore del produttore Aurelio De Laurentis, il quale si è sempre raccomandato che il film fosse molto ricco. E non fa obiezioni, io non ho limiti. Devo ovviamente presentare – come tutti – una riga di conti, ma lui si raccomanda sempre che sia tutto “vero”, che l’elettronica sia quasi inesistente. Il che non è sempre possibile perché alcune cose ci sono e sono state acquisite nell’animo di chi ascolta, ed è anche la gioia di chi fa musica.
Il mio primo approccio è sempre l’orchestra, l’elettronica è sempre intesa come un misto delle due cose: la sintesi che infatti si predilige nei film americani. L’importante è che la gente si chieda: “Ma che cos’è questo suono? Da dove nasce?”…

Notte prima degli esamiCS: Com’è nata invece la collaborazione con Fausto Brizzi per Notte prima degli esami?

BZ: Il film sarebbe dovuto uscire tre mesi più tardi rispetto a quanto accaduto. Loro si sono trovati spiazzati, Brizzi mi disse di avere un problema con i tempi. Io lo conoscevo già per via delle frequenti collaborazioni ai film di Parenti, anche se non ci frequentavamo per differenza di età. Mi disse che andavano di corsa e io fui molto preciso:  “Per quando ne hai bisogno?”, “Per Febbraio” - ed era la fine di Dicembre! Allora, vista la grande amicizia, lo invitai a farmi vedere il film e a spiegarmi cosa voleva. E quello che voleva era molto nelle mie corde. Era sabato, il lunedì gli ho fatto sentire i temi principali, perché non volevo farlo aspettare troppo così da costringerlo a non poter chiamare qualcun altro nel caso i temi non gli fossero piaciuti. In più la musica era tanta, la bellezza di 47 M. Voleva un sapore tipo Forrest Gump, un sapore internazionale – non paesano - con quell’eleganza del tema della piuma. Gli piacque subito.

CS: Si respira in effetti nel suo lavoro per Brizzi – così come nel successivo Notte prima degli esami Oggi - un approccio fresco, da commedia leggera americana, qualcosa non proprio frequente nella musica da film italiana d’oggi: c’è un preciso riferimento?

BZ: Si, il riferimento c’è. Aspettavo da tempo un film di natura sentimentale come questo…è il mio target. Venendo dalla musica classica, avendo questa cultura musicale che spazia da Bach a Stravinskij, e apprezzando anche come spettatore questo genere di cinema, soprattutto americano, non poteva non piacermi. E infatti durante il mix tutti asserirono che era una colonna dal sapore internazionale. Avevo già fatto una cosa simile per Maurizio Ponzi, con la fiction E poi c’è Filippo.

cover_e_poi_ce_filippo.jpgCS: Per la fiction di Ponzi il lavoro di composizione deve essere stato assai delicato, considerando l’equilibrio da mantenere in una storia che tratta di un personaggio così speciale – infantile e insieme geniale – come quello interpretato da Neri Marcoré…

BZ: Sì, è vero. Una persona autistica aveva bisogno di un tema estremamente semplice. Un tema che fosse giustamente infantile, come il personaggio, ma non banale. Quando si tratta di fantasia, di cose che trascendono l’umana realtà, io mi sento a mio agio: perciò non è stato poi così difficile fare il commento. Quando per esempio compare la madre c’è un tema per violoncello e orchestra che è molto vicino al mondo del commento realizzato per Brizzi. E spero che questa cosa per me continui, che arrivino altri progetti del genere.

CS: Si aspettava il grande consenso di pubblico e critica incontrato da Notte prima degli esami, e soprattutto la nomination per lei ai David di Donatello?

BZ: No, sinceramente nessuna delle due cose (ride). E non credo se le aspettasse nemmeno Brizzi. Che il film potesse andar bene sì, ma non fino a questo punto. Fulvio Lucisano però l’aveva intuito, quando in conferenza stampa parlò di un “fenomeno”, di un grande evento, paragonandolo a Poveri ma belli. Ed è stato bellissimo per me avere la nomination, essere in quella cinquina: per me è già abbastanza, quasi come aver vinto.

intervista_bruno_zambrini_3.jpgCS: Lei è uno dei compositori italiani più attivi e costanti, ma paradossalmente tra quelli meno pubblicati discograficamente. Come vive questa situazione?

BZ: Non mi fa poi tanto effetto, forse perché ho avuto tante di quelle incisioni con le mie canzoni che la cosa viene compensata. Voglio dire: non è che non sia mai stato inciso…Certo mi farebbe molto piacere, in particolare per gli ultimi film natalizi di Parenti, come Natale sul Nilo. A dire il vero mi dispiace molto che non sia uscito neanche il disco per Italiani di Ponzi – una colonna non molto differente da quelle a cui ho lavorato ultimamente. In passato venne fuori un Lp per quelli di Villaggio…. Al momento mi hanno chiesto di fare delle riduzioni di alcune mie partiture per uso concertistico, e ci sto pensando.

CS: Quali sono i suoi musicisti cinematografici di riferimento, in Italia e all’estero?

BZ: Rota lo amo tantissimo; per me è il musicista colto che rispecchia in misura massima la tradizione italiana. Diciamo così che Verdi è davvero nazionale e se ci può essere un collegamento tra di lui e un compositore di musica da film, Rota è il più vicino. Poi ovviamente Morricone, a parte l’amicizia che ci lega - lui faceva tutti gli arrangiamenti di Morandi e siamo stati giovani nello stesso periodo. Anche Piccioni mi piace tantissimo: trovo che la sua musica per Sordi sia perfetta.
Sul versante internazionale, Williams, ma sfondo una porta aperta. Me ne piace uno in particolare, Dave Grusin, forse anche per la mia passione per il pianoforte.

CS: Che cosa c’è nei suoi prossimi progetti?

C’è già in cantiere il prossimo film di Natale di Parenti, quest’anno ambientato ai Caraibi. Poi spero ci saranno anche altre cose: le sfide mi stimolano molto. Mi trovo meglio a lavorare con i giovani, forse perché ho vissuto nella musica leggera: all’inizio ero il più giovane, poi mi sono ritrovato il più vecchio tra tanti giovani, ma non mi sento mai più grande di loro. Mi diverto a scrivere. Per me non piove mai sul bagnato, non mi piace andare sul sicuro, riscrivere quello che ho già composto. E poi c’è sempre nei miei programmi di proporre alternative alla musica leggera. Ho in programma di far capire che la canzone italiana non è finita, e sto già scrivendo qualcosa.

Stampa