A tu per tu con Ennio Morricone – Conversazione con Alessandro De Rosa

A tu per tu con Ennio Morricone – Conversazione con Alessandro De Rosa, biografo del Maestro Premio Oscar

A cura di Maurizio Caschetto e Massimo Privitera con la collaborazione di Alessio Coatto

Abbiamo incontrato il Maestro Alessandro De Rosa in un bar di Corso Sempione a Milano, “Le Voyage” di Cinzia Hu Yueqin che ringraziamo per averci ospitato durante l’intervista, il quale ci ha raccontato la genesi e il dietro le quinte del suo eccezionale ultimo libro biografico sul Maestro Ennio Morricone, due volte Premio Oscar, dal titolo meraviglioso ed esplicativo ‘Inseguendo quel suono – La mia musica, la mia vita’ (leggi recensione). Una lunga chiacchierata nella quale l’anima musicale di uno dei più grandi compositori internazionali di musica applicata alle immagini e musica assoluta viene raccontata con enorme passione da chi lo ha frequentato nell’intimità della sua casa in cui è nata la Musica che noi tutti ancora oggi ammiriamo ed amiamo visceralmente.

Colonne Sonore: Qual è stato il tuo primo incontro con la musica di Ennio Morricone?
Alessandro De Rosa: E’ una cosa cui accenno anche nella Prefazione del libro... probabilmente, almeno a quanto mi sembra di ricordare, si tratta di Occhio alla penna, con Bud Spencer... quando ero bambino. Questo perlomeno consapevolmente. Poi c’è anche Il segreto del Sahara che forse in quegli anni, sempre quando ero bambino io, veniva ritrasmesso in televisione. Dico “ritrasmesso” perché io sono dell’‘85, quindi nell’‘88, l'anno di produzione di quella serie, avevo solo tre anni... e anche se molto belle è difficile che ricordi quelle musiche già da allora. Avrò avuto almeno 5 o 6 anni, credo. Poi sicuramente, più avanti, mio padre – a cui piaceva molto la tromba, e che ora ha imparato a suonarla un po’ - ha comprato un doppio disco che raccoglieva pezzi di Morricone, soprattutto western... e quindi da lì forse ho iniziato ad associare il nome di Morricone alla sua musica. Una musica che è un po’ ovunque: tu accendi la TV o la radio e, anche se non lo sai, t’imbatti in [canticchia il tema de Il buono, il brutto, il cattivo, NdR] o in qualcosa d’altro che è uscito dalla penna, e ancor prima dal pensiero di Ennio...
Comunque è difficile risalire al primissimo incontro con la sua musica; io mi ricordo Occhio alla penna... mi ricordo queste voci... e poi nel momento della mangiata il tema inframmezzato da quel fagotto. Era troppo divertente!

cover libro inseguendo quel suono morricone

CS: Come è nata l’idea di questo libro?
ADR: Ho cercato per anni una relazione con Morricone e, come ho scritto nella Prefazione, ci siamo incontrati allo Spazio Oberdan [a Milano, NdR], quando al termine di un suo seminario gli diedi un CD con le mie prime composizioni, io volevo ricevere da lui lezioni di composizione, contrappunto, etc... ma questa cosa purtroppo non è mai successa. Morricone però il giorno successivo al nostro incontro, dopo aver ascoltato una traccia mi richiamò dicendomi che dovevo studiare composizione e trovare un buon Maestro, me ne consigliò uno che stava a Roma. Io mi trasferii lì e iniziai a studiarci. Siamo rimasti in contatto e ci sentivamo una due volte l’anno, qualche volta per gli auguri di Pasqua e Natale, qualche volta per un consiglio che gli chiedevo. Solo a distanza di anni poi, nel 2012, abbiamo iniziato a incontrarci a casa sua con più regolarità e a conversare tanto, e questa per me è stata una grande lezione, anche di vita, in un certo senso. Però questo è venuto dopo. Ti racconto come siamo arrivati al libro.
Mi sono trasferito a Roma per studiare composizione con questo insegnante che Morricone mi aveva consigliato. Poi sono sorte diversità di vedute con questo insegnante; io nel frattempo avevo conosciuto Boris Porena e ho cominciato a studiare con lui, ma l’altro mi ha detto: “Devi scegliere: o me o lui”. E io gli ho risposto: “Scelga lei, per favore perché io questo di avervi entrambi non lo vedo come un problema, siete persone diverse, mi darete cose diverse”. Lui mi ha detto allora che era meglio che mi concentrassi per un po’ con Porena, e di fatto dunque le nostre lezioni si sono interrotte.
Come ti dicevo in quegli anni a Roma mi sentivo con Morricone una volta ogni tanto. Io lavoravo già con Jon Anderson degli Yes, e capitava che alla fine di un progetto mi recassi a casa di Morricone con una lettera che lasciavo al portinaio; e lui normalmente il giorno dopo mi rispondeva. Una volta gli ho portato un’opera di due ore e mezza che avevo scritto per Anderson: avevo messo in musica “L’Alchimista” di Paulo Coelho. Ci sono voluti tre anni per finirla.
In quella circostanza, Morricone mi chiamò il giorno dopo e mi disse: “Guardi, Maestro (perché ci si dava sempre del lei e mi chiamava “Maestro De Rosa”), io adesso non posso ascoltare questo CD, perché ho un sacco di lavoro da fare, quindi se vuole venga pure a riprenderlo”. E io: “Maestro, si figuri, lo tenga pure, lo ascolterà quando potrà”.
Dopo un anno e mezzo, era Estate ed ero alla RAI agli Studi Nomentani, mi squilla il telefono ed è Morricone che mi dice: “Maestro, sto ascoltando il CD che mi aveva dato...”, e mi fa sentire dove è arrivato con la cornetta. Incredibile! Quindi, ecco, negli anni siamo rimasti in contatto in questo modo e quando io finivo qualcosa, gli chiedevo un parere. Ho anche organizzato per lui un concerto qui a Milano. Quello del 2006, in Piazza Duomo. Ebbi questa idea al Concerto di Natale dell’anno precedente e da lì la cosa prese piede con Francesco De Matteis e Armando Brasca di Free Consulting (un service con cui lavoravo inizialmente come facchino): io curai le trattative fino alla stipula del contratto. In quei giorni seguii gli spostamenti di Ennio e l’organizzazione, la sera del concerto ricordo che abbiamo mangiato insieme... c’era anche Maria, sua moglie. Però, insomma, si trattava di una conoscenza abbastanza sporadica, formale anche. Poi, quando ho deciso di trasferirmi in Olanda, nel 2011, gli ho scritto una lettera, che era una specie di commiato da lui e da Roma dove mi ero trasferito su suo consiglio, per studiare composizione, nel 2005.
Scrissi questa lettera dove spiegavo che me ne andavo perché non riuscivo a ingranare professionalmente con la musica, che stavo cercando altre esperienze musicali, e che avevo deciso di andare in Olanda, dove poi tra l’altro mi sono diplomato in composizione. Non mi lamentavo, me ne andavo. E lui mi chiamò. Mi ricordo che ero già in Olanda, sulla scalinata del Conservatorio, e che lui a tratti mi sembrò quasi commosso all’idea che un giovane lasciasse l’Italia per le difficoltà che trovava tentando di lavorare con la musica. E mi raccontò la sua gavetta, dicendomi che anche per lui gli inizi furono molto difficili. E aggiunse: “Quest’Estate, se passa a salutare Boris (Porena), venga anche da me, perché le vorrei dare un mio scritto sulla mia esperienza nel Cinema”. Io ovviamente gli risposi: “Maestro, passerò certamente”. Nel Luglio del 2012, credo il 17, vado dunque a casa sua, e dopo aver parlato un pò insieme, lui mi consegna questo scritto, dicendomi: “Senta, io vorrei veramente sapere cosa ne pensa”. In due giorni ho preso un sacco di appunti su questo scritto, che in realtà molti mesi dopo ho scoperto essere un piccolo saggio già pubblicato in un libro di [Sergio] Miceli ‘La musica del cinema di fronte alla storia’.
Leggendolo allora mi sembrò di essermi imbattuto nella cosiddetta punta dell’iceberg... e mi venne una tale curiosità di conoscere tutto ciò che stava “sotto” quel pensiero, in un certo senso “prima” di quella sintesi, che leggevo, che mi diedi da fare parecchio con questi appunti.
Ricordo che Morricone mi aveva dato questo piccolo saggetto il Martedì e io lo richiamai il Giovedì, dicendogli: “Senta, Maestro, io ho letto questo scritto ed è sicuramente molto interessante. Però si capisce che è stato scritto per una conferenza, con tutti i pro e i contro della cosa. In particolar modo, io sento che c’è un pensiero che vorrebbe emergere, ma non lo fa completamente. Allora io avrei pensato questo: dal momento che la rincorro da tanti anni, se le va, potremmo provare ad incontrarci qualche volta, anche a casa sua o dove le è più comodo con l’idea di esplorare alcuni dettagli del suo pensiero proprio partendo da questo scritto. Però, a una condizione: che ci divertiamo! Se deve essere una cosa noiosa per lei, me lo dice e lasciamo perdere”. E lui mi risponde: “Non ho il tempo, ma cercheremo di trovarlo. E da adesso ci diamo del tu!”. E io [imbarazzato, NdR]: “Ok, va bene”, ma chiaramente non riesci subito a passare al tu con una persona come lui. Però abbiamo iniziato!
Io ovviamente sono partito con l’idea di scrivere il miglior libro su Ennio Morricone mai scritto fino a quel momento e anche nel futuro: sì, sono megalomane! [sorride] Ma d’altronde quando mai mi sarebbe ricapitata un’occasione del genere? Ah, mi diedi anche una scadenza. Avevo incontrato la prima volta Ennio il 9 Maggio del 2005, lui mi aveva richiamato il 10. Decisi che il libro doveva essere completato entro il 10 Maggio 2015. Dovevo fare del mio meglio, in un tempo limitato: è importante trovare stimoli potenti. Alla fine fui di parola con me stesso poiché portai la versione definitiva a casa sua l’8 Maggio del 2015.
Ma quando avevamo iniziato? Dal quel primo incontro nel Luglio 2012, riuscimmo a vederci nuovamente il 24 Gennaio del 2013. Nel frattempo però io avevo preparato una specie di “rete”: mi sono documentato, ho letto tutto ciò che dovevo leggere, visto e ascoltato tutto ciò che avevo trovato... e ho costruito una rete di dati che andavano veramente dall’inizio della sua vita fino ad oggi.
Questo anche perché poteva capitare che qualcosa non tornasse, comparando le varie notizie. A volte mi facevo l’idea che le cose avessero bisogno di essere chiarificate una volta per tutte, altre volte mi rendevo conto che avevo bisogno di una rete di dati coerenti e cronologicamente solidi che sostenessero i nostri ragionamenti e collegasse Morricone al contesto storico.
Io iniziai a lavorare con due idee: la prima, quella che ho già detto, qualità altissima e deadline definito; la seconda, l’idea di creare insieme uno spazio in cui un “uomo del fare” come lui, un uomo che ha lavorato con tale intensità per tutta la vita, riuscisse a “fermarsi” un momento e a rimettere in prospettiva ciò che aveva fatto mentre lo ricordava e lo raccontava.
La cosa bella per me è stata che poi lui ha riconosciuto entrambe le cose e lo ha dichiarato anche nell’Introduzione al libro. Penso che tramite questo processo, ha potuto ripensare a se stesso in modo nuovo, vedendosi da un’altra prospettiva. Mi ha detto di essersi sentito rispettato ed espresso, in qualche maniera, talvolta addirittura chiarificato. E questa mi sembra una bellissima cosa, perché significa che il progetto libro e le nostre frequentazioni hanno funzionato anche per lui.

CS: E’ una cosa che si percepisce molto alla lettura. Da una parte la tua consapevolezza e conoscenza dell’Autore che hai di fronte, dall’altra parte il rispetto di chi riconosce il ruolo quasi maieutico di chi lo sta intervistando.
ADR: È stato un processo di conoscenza graduale e reciproco. Certo io avevo una grande ambizione, ma appena Ennio mi ha dato la possibilità di continuare è subentrata una nuova forza, l’istinto di sopravvivenza, perché una volta iniziato il progetto, è diventato per me quasi una necessità: la volontà indomabile di portare a compimento un’occasione che non capita frequentemente nella vita: un esperienza unica, o vivi o muori. Ricordo quando ci salutammo dopo la prima conversazione a casa sua, mi disse: “lavora in libertà”. Poi scoprii che era la stessa frase che Pasolini gli aveva detto al termine del loro primo incontro. Io gli sarò sempre riconoscente perché ogni opportunità porta con se le sue responsabilità, e questa è stata una grande opportunità.

CS: Quanto è stato difficile convincere il Maestro a prestarsi a queste conversazioni, perlomeno all’inizio?
ADR: Ovviamente le prime registrazioni si sono risolte in conversazioni condotte “a braccio”. Io naturalmente arrivavo con delle idee, ma poi la conversazione poteva anche divagare. Anche gli appuntamenti ogni tanto slittavano per i suoi impegni, io venivo dall’Olanda, ma ho tenuto la rotta. Non abbiamo seguito strettamente nessun ordine. Ennio poi è una persona con una grande interiorità, il suo vasto mondo interiore necessita di tempo ed energie per essere concettualizzato e descritto con le parole, prerogativa di un libro... Forse questo è vero in tutte le relazioni che vogliono andare in profondità: ci vuole del tempo per capirsi, per sintonizzarsi. E anche per stabilire un vocabolario comune. Cosa significa ad esempio “immobilità dinamica”? Mi ci è voluto del tempo per capirlo. E “Musica Assoluta”? Ok, Benedetto Croce e i vari significati storici precedenti e successivi, ma per lui aveva almeno tre valenze: musica che non fosse applicata ovviamente, musica di qualità e che riuscisse ad andare oltre di lui, a bucare la storia. Ho passato ore e ore, solo con me stesso, riascoltando le parole che mi aveva detto e che avevo registrato e cercando di rifletterle al meglio, perché mi rendevo conto che dietro c’erano concetti importanti.
Per questi motivi, dietro al libro c’è una grande operazione di editing e di composizione: le conversazioni con Morricone, le informazioni prese rivedendo i film, ascoltando le musiche di cui avevamo parlato, il confronto con persone che hanno conosciuto Ennio durante questi anni, o che hanno lavorato con lui, la ridiscussione di tutto, e così via...

CS: Infatti ho notato che nel libro, a volte, ci sono domande lunghissime e si capiva che l’intento era di stimolarlo a rispondere nella maniera più particolareggiata possibile.
ADR: Innanzitutto devo premettere che scrivere un libro di conversazioni è difficilissimo. La scrittura si è trasformata in sfide continue, che ne avevano altre al loro interno. Ennio Morricone doveva essere al centro del libro, e non io ovviamente, ma il mio intento era anche quello di condurre un discorso e di portare alla luce alcune cose. I miei interventi soprattutto quando entriamo nel capitolo “Mistero e mestiere”, o “Una musica assoluta (?)”, non sono volti solamente a stimolare Ennio, ma anche ad informare il lettore, magari sgranellando informazioni utili a contestualizzare ciò che ci diciamo. Nel libro c’è soprattutto una domanda particolarmente lunga che aveva bisogno di spazio per poter dare al lettore alcune informazioni necessarie alla comprensione del discorso. Un’altra sfida era comporre la mia limitata esperienza come scrittore (nessuno mi ha fatto un corso di giornalismo, né mai avrei pensato di scrivere un libro), dall’altra la personalità e la grandezza di Morricone, la molteplicità di esperienze che ha vissuto. Bilanciare le identità in maniera che la sua avesse sempre centralità come dicevo. Aggiungi la difficoltà di costruire un dialogo che avesse una consequenzialità d’interesse per il lettore. E chi è il lettore? Chi si interessa a Morricone? Ecco la necessità di un intento anche pedagogico nell’operazione narrativa, che desse strumenti a chi non li ha, ma che non risultasse pedante per chi li ha acquisiti già, perché il pubblico di Ennio è molto variegato: dall’accademico a una persona che semplicemente ha sentito al Cinema una sua musica e ne è attratto. Come parlare all’amatore, ma anche a chi di musica non si è mai interessato, e contemporaneamente a una persona come Piersanti o Ballista (che tra l’altro hanno letto il libro e ci hanno fatto tanti complimenti)?
Quindi nei momenti in cui risultavo più prolisso, non era per una questione di egocentrismo, ma proprio per far passare delle informazioni per il lettore, a volte magari semplificando brutalmente. Come nel discorso sulla dualità fra l’espressività, il sentimento e la logica.
Sin dall’inizio ho visto nella struttura a conversazione, o a dialogo che dir si voglia, su cui il libro si basa tutto, una grande potenzialità e una problematica insieme: non potevo, non volevo e non dovevo impormi con lungaggini non funzionali, dovevo invece riprendere le sue parole e sforzarmi di mettermi da parte quanto più possibile senza perdere me stesso però. Non ti nascondo che lo sforzo di condurre al meglio questo dialogo mi ha creato non pochi problemi esistenziali e di identità. A volte chiamavo Ennio e glielo dicevo: “Ennio scusa, ho bisogno di vederti, non so più chi sono. Ho una crisi di identità”. [Sorride]
E questo è valido non solo con lui, ma anche per tutti i testimoni che hanno partecipato al libro e che ho intervistato io stesso.
Poi è arrivata la scelta terribile che sta dietro ogni progetto: cosa tagliare e cosa conservare. Non siamo arrivati “lunghi” dall’editore, la scelta di tagliare l’abbiamo fatta prima insieme. Volevamo che si parlasse in modo nuovo di tutto, ovviamente del cinema, ma che fosse dedicato sufficiente spazio all’altra sua produzione, quella più sperimentale; perché il pubblico talvolta, conoscendo quelli che sono diventati i classici della sua produzione, dei classici che hanno fatto scuola appunto, lo potrebbe percepire quasi come un conservatore, mentre in realtà Ennio è un esploratore incredibile, un artista che si lascia tutto alle spalle e va avanti, pur riconfermando sempre se stesso. E torniamo alla coesistenza degli opposti.
Ma più ci allontanavamo dalle musiche conosciute, più subentravano difficoltà di mettere in parole qualcosa che appartiene forse più ad altri linguaggi. Così mi sono inventato possibili soluzioni, ho fatto tentativi... per esempio ho cercato di unire il problema compositivo di “Vidi Aquam” o di “Gestazione” – nel quale lui non sa più se è la singola parte, la singola voce, che detta la composizione o è la forma di quest’ultima che detta la parte – ai suoi problemi più “esistenziali” (la sua identità di compositore, etc...), ai suoi dubbi umani per così dire. Sono discorsi importanti che hanno solo un effetto specialistico, in questo caso musicale, ma conservano una radice archetipica che è un pò in ognuno di noi. Solo che questi concetti rischiano talvolta di sfuggire o di non interessare chi non possiede quel determinato linguaggio specialistico di cui dicevo, e così bisogna cercare di parlare per metafore, senza semplificare la dinamica sottostante, ma neanche confinandosi solamente nel discorso strettamente musicale... “bisogna” non è forse l’espressione giusta, io ho fatto così in certi passaggi, poi ognuno trova un modo suo.

CS: E’ risaputo quanto sia difficile per un artista (e nella fattispecie i musicisti) parlare e razionalizzare sulla propria opera. Morricone al contrario non ha mai mostrato particolari reticenze o difficoltà a scendere anche nel dettaglio musicale più specifico, parlando della propria musica. Secondo te il Maestro si potrebbe definire il primo ‘teorizzatore’ di se stesso?
ADR: In un certo senso, sì. Prendi ad esempio i concetti di “immobilità dinamica” o di “improvvisazione organizzata”, che non a caso legano gli opposti; sono sue idee che mi sono state utilissime per andare più a fondo. Quindi sono partito da una sua grande auto-consapevolezza, anche se a volte questa stessa consapevolezza non viene messa in piazza, ma c’è e forse appartiene al sentire, ai suoi istinti. Non so quanto si possa parlare di Morricone come di un “teorizzatore”, perché lui davvero è un “uomo del fare” – e lo dico con grande ammirazione e rispetto - lui sa cosa sta facendo e perché, e quando non lo “sa” lo “sente”. E’ vero che poi non gli piace parlarne troppo, perché probabilmente pensa che rappresenti una fermata, un atteggiamento museale, mentre lui vuole andare sempre avanti.

CS: Credo sia un aspetto tipico dei grandi musicisti.
ADR: Assolutamente sì. Guarda ad esempio Miles Davis, che ha sperimentato tantissimo, eppure lo riconosci sempre. Senti una nota di tromba, ed è lui, ma in contesti completamente diversi, dal Free Jazz al Bebop... ha fatto tutto!
Con Morricone bisogna fare attenzione anche a quelle battute apparentemente svagate ma estremamente taglienti e illuminanti – come l’accenno al silenzio di Cage o alla “morte della musica” teorizzata anche da Evangelisti che si trovano nel libro – magari sono tre parole che arrivano come sintesi di tutto un discorso, se si ha la pazienza di decodificarle o meglio, contestualizzarle.

CS: Morricone sembra conservare ricordi molto lucidi e specifici di tante esperienze anche risalenti a parecchi anni fa, ma rimane comunque un compositore con la testa e la mente rivolta sempre al presente, a ciò che ha sul suo scrittoio in quel momento specifico. Hai riscontrato delle difficoltà a chiedere al Maestro di tornare con la memoria al suo passato più lontano?
ADR: In realtà no. Anzi, siamo partiti proprio dal suo passato più remoto. Mi ricordo che il nostro primo incontro – il 24 gennaio – è stato molto tecnico, abbiamo parlato degli anni della cosiddetta “Avanguardia”, della sua esperienza a Darmstadt... Poi siamo andati più indietro, sino all’Ennio Morricone bambino e non è stato affatto difficile o problematico. C’era sempre un elemento che emergeva, un dettaglio che mi incuriosiva e mi spingeva a indagare ulteriormente, e lui cercava di recuperare un ricordo con maggiore precisione. D’altronde succede spesso quando si va avanti con gli anni: ci si ricorda meglio gli avvenimenti più lontani rispetto a quelli più vicini. Quindi siamo proprio partiti dai ricordi più remoti e, mano a mano, siamo arrivati al momento dello sviluppo (anche mio, peraltro!) e al pensiero di Morricone già adulto che riflette su se stesso, che è poi il cuore di “Inseguendo quel suono”.
Se ci imbattevamo in una discrepanza io lo segnalavo, o lo segnalava lui a me e così cercavamo di mettere ordine. Lo stesso è capitato con Bertolucci la seconda volta che ci siamo visti per la sua testimonianza. C’era una data che non collimava e glielo dissi per cercare di recuperare un altro dettaglio, così ci fu un simpatico “duello”, poi ammise che avevo ragione; a me venne da sorridere e pure a lui... era una questione d’onore [ride], ma non è una gara a chi si ricorda meglio, perché è normale confrontarsi quando si lavora insieme e significa attenzione reciproca.

CS: Nel corso delle conversazioni torna spesso il dualismo/contrapposizione tra il Morricone del cinema e quello della produzione assoluta. Secondo te il Maestro ha definitivamente risolto questo tipico dilemma che un musicista come Miklos Rozsa chiamava la “doppia vita” del compositore?
ADR: Penso che da un certo punto di vista il dualismo di cui parli sia sempre stato risolto e trasformato in un motore che lo ha spinto e lo spinge ancora a scrivere, a vivere. Forse con l’età, con le tante esperienze e ricerche, forse anche con questo percorso di revisione della sua vita, della sua opera che è stato “Inseguendo quel suono” e tutto il processo intorno ad esso, i due aspetti della sua vita artistica si sono avvicinati rendendo questa contrapposizione meno dolorosa. Già da “Ut”, e forse anche da prima, diciamo dagli Anni Novanta, i due linguaggi si sono avvicinati con più costanza, in un certo modo... forse anche grazie al fatto che ha trovato questa sua “voce”, rivalutando la “modalità” e altre tecniche descritte nel libro, processi che gli hanno permesso questa progressiva convergenza. Nel libro però lui dice che questi due aspetti rimangono divisi; io ovviamente non l’ho conosciuto negli Anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta, o prima, non personalmente, ma credo che la sua prospettiva sia cambiata, e che lui viva questi aspetti della sua produzione più serenamente. Non c’è più quel rimpianto di aver lasciato intentato qualcosa, perché poi lui ha fatto molto: oltre cento opere di produzione “assoluta”, accanto alle molte centinaia di Musica Applicata.

CS: Tu hai studiato e approfondito la musica di Morricone per molti anni prima di arrivare alla scrittura di questo libro. Quali sono le principali scoperte che hai fatto sulla sua arte nel corso di queste conversazioni? Hai trovato nuove angolazioni o nuove prospettive da cui guardare/studiare la musica del Maestro parlando insieme a lui?
ADR: Io approfondivo mentre lavoravo al libro. La preparazione è avvenuta mentre scrivevo, e poi riformulavo. Come una creatura viva e in mutazione in cui mi rispecchiavo e con cui parlavo... prima lo dicevo: io sono cresciuto insieme a questo progetto. Ecco, penso di aver risposto. Un esperienza fondamentale anche a livello umano. Più nel dettaglio poi, come compositore, posso dire che ci sono delle cose che riguardano specificamente la materia musicale (ad esempio alcune costruzioni intervallari di cui si è parlato molto). Da un certo punto di vista, mi sembra ci siano diverse cose che risuonano fra noi due: conoscere e osservare lui mi ha aiutato a chiarire meglio alcuni conflitti personali, questo amore/odio per la musica stessa, ad esempio. Anche il concetto di “immobilità dinamica” lo sento molto vicino, non solo musicalmente, questo conservarsi cambiando. E’ stato dunque più un insegnamento a livello umano, direi quasi filosofico; la stesura del libro mi ha spinto a prendere in mano pagine di filosofia greca o indiana, e a studiare il problema del conflitto, degli opposti, e dell’Uno. Grazie a Morricone ho potuto verificare come i nostri conflitti interiori possano essere trasformati in risorse, e in una grande attività artigianale.
E poi c’è una delle cose più belle: confrontarsi con una persona di una certa esperienza ed età, che ha vissuto anche in un altro tempo. Per una persona che vive il presente – un presente spesso privo o scarso di sbocchi e opportunità lavorative – vedere quanto era diverso in passato il contesto di questi musicisti, e di queste persone, che magari hanno affrontato periodi molto duri, come quello della guerra, ma che avevano anche grandi possibilità di incontri e occasioni di lavoro è fondamentale. Da contrasto. Crea prospettiva. Morricone non doveva scendere a compromessi per guadagnare, magari cercandosi un altro lavoro. No, lui ha lavorato con la musica sempre e comunque. Sono difficoltà che per esempio vivo io adesso, perché oggi se possibile è ancora più difficile vivere di musica, senza avere un contesto dove quella musica venga suonata e ascoltata. Le occasione degli anni ‘50 e ‘60, ma anche dei ‘70.... non era solo questione di bravura, che è sempre stata indispensabile, ma anche di un contesto che rendeva possibile un’esposizione, una relazione. È una differenza di cui io stesso ho fatto esperienza toccando con mano la diversità che c’è, per esempio, tra Olanda e Italia. Ma poi alla fine mi domando anche: “e se facessi comunque come Ennio?”.
Quindi, tornando alla domanda, credo molto nella relazione che si può instaurare tra generazioni, e quindi questo libro si può leggere anche come un dialogo tra generazioni.

CS: Leggendo il libro si ha la sensazione di un dialogo alla pari tra due musicisti più che di una canonica intervista alla carriera in cui spesso l’intervistatore guarda l’intervistato dal basso verso l’alto. Come si è sviluppato il tuo rapporto personale col Maestro nel corso dei vari incontri? E come è cambiata la tua percezione su Morricone, sia come artista che come uomo?
ADR: Come ho detto, il libro non è un’intervista, ma un dialogo, una conversazione tra due identità che vanno a formarne una terza. Il dialogo se vero e profondo non conosce gerarchia. Si nutre di tutto. In questo percorso, ovviamente, la grande stima che già avevo per Morricone è cresciuta molto, anche perché la conoscenza della sua opera e della sua personalità si è molto approfondita durante i quattro anni di gestazione del nostro progetto. Come in quasi tutte le cose se non ci interessiamo e rimaniamo in superficie finiamo per ignorare; ma quando iniziamo a studiare, cominciamo a vedere la ricchezza delle cose. Per esempio, è stato entusiasmante scoprire un Morricone sempre “a cavallo” fra contesti culturali e sociali diversi: Pasolini da un parte, Leone dall’altra, Cinema d’Autore e Cinema commerciale, Conservatorio e musica popolare... Morricone è sempre stato a cavallo di esperienze e realtà che nel XX secolo non si toccavano con grande facilità. Che ricchezza, che unicità anche! Non so quanti altri siano riusciti a vivere al centro della cultura italiana e internazionale come lui. La sua è stata davvero una grande esperienza!

CS: Nelle conversazioni trovano molto spazio le riflessioni e gli approfondimenti sulla musica assoluta del Maestro, come ama chiamarla lui. Secondo te c’è ancora molto da scoprire e da capire in questo campo? E secondo te la sua produzione da concerto è stata eccessivamente oscurata da quella più popolare per il cinema, come a volte lo stesso Morricone sembra lamentare?
ADR: E’ una domanda cui è difficile rispondere. Io penso che chi voglia ricercare l’aspetto “progressivo” di Morricone - quello del Morricone ricercatore – troverà nella sua musica assoluta degli elementi in più per capire meglio l’uomo e anche i suoi dubbi. Questo perché nella sua musica assoluta si estrinseca quella che è la sua volontà di scrittura: non c’è l’applicazione a un linguaggio terzo, esterno, non necessariamente. Quindi, al di là del destino che attende questa produzione fra cent’anni – se sorpasserà la fama e l’importanza della sua produzione per il cinema o meno – si tratta comunque di un’esperienza d’ascolto e di analisi che è importante per chi voglia conoscere davvero questo autore, perché c’è una grande parte del suo pensiero dentro. Molte delle cose che noi abbiamo ascoltato “semplificate” – o meglio: estremizzate, talvolta ottenendo un risultato di maggior piglio comunicativo ai più – nel discorso cinematografico, hanno le loro radici nel suo percorso di musicista sperimentale, di musicista che ha fatto un lungo e profondo percorso di analisi e ha sviluppato gli strumenti per poter tradurre quella profondità che è sua. Il resto lo metterà in prospettiva la storia.

CS: Per il grande pubblico Morricone è soprattutto l’autore che ha accompagnato le esperienze cinematografiche di almeno 2 generazioni di spettatori. Il popolo ama la sua musica proprio per l’immediata presa emotiva delle sue melodie, che sembrano scolpite nella memoria di ognuno di noi. Cosa speri che possa scoprire nel libro l’appassionato che conosce ‘solo’ il Morricone dei western o quello di Mission e Nuovo Cinema Paradiso?
ADR: Beh, sicuramente scoprirà come sono nate le musiche che conosce e perché hanno colpito così tante persone. Perché il marranzano siciliano funziona nei western? Nel libro c’è scritto e sono spiegati quegli archetipi, quelle mitologie su cui loro lavoravano con naturalezza... Prendi l’idea di Tarantino [il tema principale di The Hateful Eight, NdR]]: un’idea semplicissima, ma talmente forte... anche nella strumentazione per fagotto... I tromboni con la sordina wha-wha che mi evocano un circo del terrore, un clown simpatico ma spaventoso, dove la violenza è spiattellata al quadrato, poi al cubo, poi in maniera esponenziale sempre di più, tanto da diventare comica... Mi pare Morricone non stia semplicemente musicando il film di Tarantino, lui sta musicando qualcosa che riguarda profondamente l’espressività di Tarantino, se non Tarantino stesso! Perché Morricone è anche un grande psicologo. E questo è spiegato nel libro: come mai funziona, come mai questa musica ha una tale presa emotiva? Oltre al fatto di permetterci di entrare nella sua testa, nel suo pensiero. Lui l’ha detto esplicitamente: “Se volete conoscermi meglio, conoscere meglio il mio pensiero, questo libro vi condurrà lì”. Il libro è una sorta di ponte con il cervello di Morricone e secondo me offre una visione molto forte, originale e personale del rapporto uomo-musica!

CS: Ti interessa la musica applicata al cinema e alle arti visive in generale? Chi sono i compositori per il cinema che apprezzi particolarmente?
ADR: Sicuramente Ennio Morricone [risate, NdR], e poi c’è Ennio Morricone... e Ennio Morricone! Scherzi a parte... un altro musicista che mi piace molto è Bernard Herrmann che trovo davvero incredibile. Tra l’altro sono molto legato ai film di Hitchcock, specie a quelli musicati da Herrmann. Poi sicuramente anche John Williams. Ma molti di questi compositori cinematografici sono quasi “infidi” perché ci sono entrati sottopelle, e a volte è difficile capire cosa appartiene davvero a loro, e cos’altro invece è stato saccheggiato dalla Storia della Musica. Da un certo punto di vista, questi compositori sono stati una sorta di filtro che mi ha avvicinato alla musica sinfonica. Nella mia famiglia, ad esempio, non si ascoltava questo genere di musica e grazie anche agli autori del Cinema, ho scoperto questo mondo.
Prendi ad esempio Vertigo, che è uno dei miei film preferiti, e che ha questa colonna sonora che mi piace tantissimo. Quando ho cominciato a studiare altri autori della storia con Boris Porena, lui un bel giorno mi ha fatto ascoltare “Tristano e Isotta” di Wagner... Ho scoperto così che il tema d’amore di Herrmann richiamava quelle suggestioni wagneriane... la costruzione è diversa, l’armonia è diversa, ma il legame è evidente, così come il richiamo a tutto il discorso su “Amore e Morte”. Però in Herrmann è come se fosse stilizzato per comunicarti quell’emozione; ovviamente la scrittura di Wagner è infinitamente più complessa, ma non ha senso paragonarli perché sono due cose diverse, con finalità differenti, e probabilmente Wagner sarebbe stato troppo per la sequenza di Hitchcock! Il cinema ha avuto e ancora conserva una grande responsabilità, anche da questo punto di vista.

CS: L’esperienza intensa che hai vissuto per la stesura di questo libro quanto ha influenzato il tuo modo di fare musica oggi e di essere un musicista?
ADR: Se devo essere sincero, in questo momento non sto componendo. Scrivere questo libro – per come sono fatto io – è stata un’esperienza davvero totalizzante, che mi ha come prosciugato. L’ultimo pezzo musicale che ho scritto, in Olanda, si intitola “Gravità ritrovata”, lo puoi ascoltare sul mio sito; dopodiché non ho sentito la necessità di scrivere altro, anzi, per ora un po’ mi spaventa l’eventualità di farlo. Non è questione di confronto e di paragoni con modelli che mi paiono irraggiungibili, ma semplicemente non mi va, non mi viene. Anche se devo ammettere che proprio in questi ultimi giorni stavo maturando delle idee, e ne ho parlato con Ennio che naturalmente mi ha subito spronato a scrivere!
Sono sicuro che ho imparato moltissimo da questa esperienza, ma è come se alcuni di questi semi dovessero ancora germogliare. Ho bisogno di metabolizzare, insomma. Ma anche l’attesa è importante, e poi, se non scrivo note, faccio altro.
C’è un’altra cosa molto interessante che ho imparato. In questo periodo sto ascoltando molti compositori, per un catalogo musicale che sto costruendo, e sento moltissima standardizzazione, anche perché la musica cinematografica hollywoodiana sembra aver ormai preso il sopravvento insieme ai plug-in che tutti noi siamo costretti ad usare. Spesso mi trovo a contrapporre nei miei pensieri questa standardizzazione all’atteggiamento di Morricone, che parla spesso di “riscatto”: dedicarsi cioè alla professione della musica applicata senza adagiarsi, ma pensando sempre di portare avanti un discorso proprio, personale. Questo in Ennio è molto forte, e Boris Porena lo spiega molto bene nella testimonianza che si trova in “Inseguendo quel suono”, parla dell’approccio di Ennio nel cinema Leoniano riconducendolo in qualche maniera allo straniamento brechtiano: mentre ad esempio Wagner costruisce un tessuto orchestrale che ti fa quasi vivere all’intero della scena, come se tu fossi uno dei protagonisti di quella storia, in Morricone invece c’è una specie di distacco; tu vedi il personaggio per come lo vede Morricone. Il commento musicale di Morricone è molto centrato sul suo “io”: la sua visione di quel personaggio, di quella situazione. In Wagner invece sei portato a vivere in prima persona quella scena. Ad esempio, il risveglio di Brunilde lo vivi attraverso gli occhi di Sigfrido, quindi investito di una grande carica erotica, mentre più tardi vivrai il tradimento di Sigfrido attraverso gli occhi di Brunilde, e sentirai così la sua rabbia per questo tradimento. Morricone invece rimane come sospeso al di fuori della storia, e vi getta sopra una luce; una luce critica, spesso.
Ovviamente non possiamo generalizzare troppo – Boris, come dicevo, parla di questo straniamento solo relativamente ad alcuni film di Leone – però è davvero importante comprendere questo aspetto della musica di Morricone, che è sempre espressione della sua identità, della sua presa di posizione nei confronti della realtà. Spesso una sua idea musicale funziona perché si lega a un contesto preciso, contraddicendolo o assecondandolo, ma sempre in modo consapevole. E’ questo che secondo me distingue il vero compositore.
Mi ricordo quando musicavo un piccolo documentario per una società in Olanda, stavo pensando a questa linea di basso e mi sono detto: “Proviamo a spostare questi accenti”... ho pensato cioè a una cosa che potesse essere gradevole nel contesto per il quale doveva essere fruita, ricavandomi al tempo stesso un piccolo spazio per me. Oppure parto a musicare questa sequenza con l’intenzione di gettare questa luce, e non quella. Qui voglio dire questo e non quello. Ecco, questo mi sembra importante, anche come insegnamento ricevuto da Morricone ma anche moltissimo da Porena: la dignità; umana oltre che musicale che deriva e si acquisisce nel saper scegliere più consapevolmente possibile e valutare quella scelta e le sue conseguenze nel contesto.

CS: C’è secondo te una colonna sonora di Morricone che rappresenta con più evidenza il suo stile? Che lo identifica immediatamente?
ADR: E’ una risposta difficile. Ce ne sono diverse; adesso me ne vengono in mente almeno tre o quattro. Vediamo: i Titoli di Testa di Uccellacci e uccellini, con un arrangiamento che è una specie di “thesaurus” musicale o di dichiarazione di intenti, come ha fatto notare anche Sergio Miceli nella sua testimonianza sul libro; poi in Giù la testa ci sono due cose: una è la partitura madre che utilizza in “Invenzione per John”, dove senti questa sua elaborazione della modularità, e poi c’è la tematica legata all’Utopia che si dispiega nel canto di Edda Dell’Orso; e poi – a rischio di essere banale – non posso non citare Mission,una musica molto importante anche per Morricone stesso. Mission è un film che mi ha creato non pochi problemi, perché è molto ambiguo e anche la posizione di Ennio appare ambigua. Miceli addirittura diceva che Morricone non aveva capito il film, ma io non ero d’accordo e ne parlammo a lungo con Sergio (che tra l’altro mi manca molto) la prima volta che ci incontrammo a casa sua, quando andai a raccogliere la sua testimonianza. Eppure, alla fine, quando tu ascolti quel Requiem Glorioso, senti che, al di là del discorso su religiosità o laicità, c’è dentro qualcosa di profondo, questo intento di legare cose che non si sono toccate. Ennio ancora una volta sembra aver intuito, sentito ed espresso qualcosa di molto importante e affatto ovvio... e così torniamo al discorso dell’Utopia, e lo dice Ennio stesso quando arrivo a chiederglielo direttamente e brutalmente: “Ma come intendesti questa unione?”, e lui: “Come un’unione utopica”. L’emozione che scaturisce nel pubblico questa musica ogni volta che viene suonata forse deriva anche dal segreto messaggio che veicola – a parte ovviamente il fatto che funziona armonicamente e musicalmente – la musica porta con sé la protesta degli Indios, la nostra tradizione musicale, questo animo scisso di Padre Gabriel e di tutti noi, il tema delle cascate, della natura... tutti legati insieme in una sorta di Animismo superiore dove cade ogni barriera. Ma poi ci sono tante altre cose: prendi I Basilischi dove c’è per la prima volta un impiego degli Archi che poi diventerà un suo “marchio di fabbrica”.

CS: Io amo molto, sempre da Giù la testa, “Mesa Verde” che Morricone stesso cita nel libro.... Credo che sia una delle pagine più belle fra quelle scritte dal Maestro, almeno nel registro malinconico.
ADR: Ci sono musiche bellissime anche in C’era una volta in America o in Una pura formalità... Ma in realtà la scelta è infinita, quindi la pianto di dire banalità. [Sorride] Ogni volta che Ennio riesce a restituire musicalmente la sua onestà di approccio, la presa è sempre fortissima.

Questa la pagina Facebook dove vengono riportati gli eventi che si legano al libro e materiali dedicati a Morricone:

https://www.facebook.com/InseguendoquelsuonoMorriconeDeRosa

Di seguito i video con Morricone e De Rosa che conversano sul libro:

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Questo il canale dove potete trovare anche alcune interviste radio\televisive di Morricone e De Rosa sul libro:

https://www.youtube.com/channel/UCuGXzawOXmMVh6QD0r809Kw

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