Conversazione con Giuseppe Grazioli

Al di là dei generi e delle barriere: Conversazione con Giuseppe Grazioli
Intervista al direttore d’orchestra in occasione del concerto “Tribute to John Williams” che si è tenuto all’Auditorium di Milano Giovedì 25 con replica la Domenica 28 Agosto con l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi

Il Maestro Giuseppe Grazioli è da sempre uno dei direttori d’orchestra italiani maggiormente sensibili al repertorio sinfonico cinematografico e da molti anni propone programmi trasversali in cui si possono trovare estratti da colonne sonore di film celebri, ma anche opere concertistiche poco conosciute firmate da autori prevalentemente noti per la musica per film: da diversi anni Grazioli è infatti impegnato nell’esecuzione dal vivo e nella registrazione (insieme alla Verdi) dell’integrale delle opere sinfoniche di Nino Rota.

Il Maestro Grazioli è molto interessato anche al repertorio cinematografico d’oltreoceano, in particolare alla musica di John Williams, di cui ha già diretto e dirigerà un concerto-tributo a Milano con un programma che include sia brani dalle colonne sonore più celebri del compositore americano (E.T., I predatori dell’arca perduta, Schindler’s List e la saga di Harry Potter) ma anche estratti da opere meno note al grande pubblico come il tema da Le ceneri di Angela, la “Devil’s Dance” da Le streghe di Eastwick e il pezzo extra-cinematografico “Olympic Fanfare and Theme”, scritto per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984.

Colonne Sonore: Maestro Grazioli, partiamo dalle ragioni del programma proposto. Qual è stato il pensiero dietro alla scelta dei brani che ha diretto nel concerto?
Giuseppe Grazioli:
Il pensiero è associare al John Williams più conosciuto, ad esempio quello di E.T. e dei film più famosi, anche colonne sonore che si sono ascoltate meno perché magari il film non ha avuto il successo strepitoso che hanno ottenuto gli altri, come ad esempio Le ceneri di Angela. Questa colonna sonora ha una melodia che trovo stupenda, di quelle che si stampano nella testa e che non ti abbandonano per giorni. E quindi mi interessa far capire al pubblico che John Williams non è solo un orchestratore brillante – lo è, senza dubbio – ma è anche un compositore con una penna abilissima a trovare di getto, o almeno così sembrerebbe, melodie con un dono simile a quello dei grandi compositori del melodramma italiano, come ad esempio Puccini. Sebbene siano musiche che non c’entrano nulla l’una con l’altra – anche se forse qualcosa in comune si può rintracciare – la facilità nel trovare melodie che facciano già parte al primo ascolto della memoria è una prerogativa che Williams senz’altro possiede e che lo avvicina a quel mondo musicale.

CS: Nel programma ci sono pagine molto celebri come E.T., Indiana Jones e Jurassic Park, tutte musiche che il pubblico conosce molto bene e che è abituato ad ascoltare all’interno dei film con un certo genere di interpretazione. Quali sono le difficoltà principali in termini interpretativi quando si è al lavoro con l’orchestra durante le prove?
GG: C’è un primo aspetto molto semplice, ovvero si tratta di film talmente famosi che praticamente tutti i professori d’orchestra hanno visto e quindi associano automaticamente un certo tema a un personaggio o a una situazione del film. Questa è una cosa che cerco di fare sempre con l’orchestra quando eseguo brani tratti da opere liriche che magari l’orchestra non conosce, dunque dico ai musicisti “Guardate che in questo momento il soprano muore” e quindi si deve suonare in un certo modo. Questo lavoro è già fatto quando si suona la musica di John Williams. La cosa a cui si deve però prestare attenzione è un’altra: la musica di John Williams è molto ricca di dettagli, non solo nella strumentazione, ma anche nel modo in cui cambia le armonie, nella gestione di frasi molto lunghe, nel modo in cui si devono fare i crescendo, ovvero tutti aspetti musicali che vanno in secondo piano quando si ascolta la musica nel film perché spesso ci sono tagli o abbassamenti di volume determinati dal montaggio della scena e dal missaggio coi dialoghi. E dunque il lavoro che facciamo durante le prove di un concerto di colonne sonore è ristabilire una priorità alla musica, poiché verrà fruita dal pubblico senza il supporto delle immagini ed è importante che stia in piedi dal punto di vista puramente musicale.  In questo mi sembra che John Williams abbia sempre raggiunto un buon compromesso nello scrivere una musica talmente ben confezionata che ha già indicata nella strumentazione il modo in cui deve essere fraseggiata, i tempi che bisogna fare, e così via. So che alcuni compositori americani – o almeno quelli che se lo possono permettere – prima di dare in stampa una partitura vanno davanti a un’orchestra, la provano, riportano a casa il materiale e aggiustano quello che non funziona. Non conosco con esattezza il metodo che usa John Williams, ma, da quel che mi pare di capire, una volta che viene data alle stampe una sua partitura è stato veramente previsto tutto fino al minimo dettaglio. Ci si rende conto di tutto questo quando si prova, le cose che bisogna “correggere” sono i problemi di acustica legati alla sala dove si suona e la personalità dei singoli musicisti, laddove bisogna dire al musicista estroverso di suonare in modo più intimista e al musicista timido di tirare fuori una connotazione più brillante. Questo è il lavoro principale che si fa, ma non è che ci siano da fare grandi correzioni. Dal punto di vista della strumentazione non c’è mai da toccare un sedicesimo talmente è perfetta. Inoltre, e non so se si possa dire lo stesso di altri autori, mi sembra che la sua musica possa sostenere esecuzioni di svariati livelli. Mi spiego meglio: un’esecuzione al top, in cui tutte le note sono precise, intonate, al tempo giusto, ovviamente suonerà benissimo, ma la musica è talmente ben scritta che anche qualche piccola imperfezione non deturpa il risultato generale. Questo è il mestiere di chi è abituato a scrivere per sessioni di registrazione – come appunto le colonne sonore – che per ragioni economiche devono essere rapidissime. Dunque il risultato è garantito già dal compositore e la trovo una cosa assolutamente straordinaria.

CS: Da questo punto di vista John Williams sembra essere quasi l’ultimo baluardo di una generazione di grandi compositori che si sono prestati prevalentemente al cinema. Se ascoltiamo le colonne sonore dei film americani più popolari degli ultimi anni ci si accorge che lo stile e il metodo sono completamente diversi. Quanto è importante quindi eseguire la sua musica in sede concertistica?
GG: Io allargherei il discorso e direi che Williams è prima di tutto colui che ha raccolto il testimone da Korngold, Rozsa, Herrmann, ovvero da autori che avevano una preparazione classica e che poi, per questioni economiche, si sono prestati a scrivere per il cinema. Io vedo una linea continua, senza interruzioni, che parte da Strauss, passa da Korngold e arriva a Williams, con Ravel nel mezzo. Forse Williams è uno di quegli autori che ci permette di riscrivere un po’ la storia della musica, ma della musica classica tout court, ed è per questo che a me piace sempre presentarlo in concerto. Purtroppo negli anni ’60 e ’70 abbiamo separato la musica in quella di consumo e in quella classica o colta, da ascoltare nelle sale da concerto. Oggi possiamo dire che quello fu uno sbaglio, perché si è separato anche il pubblico. Questo ha impedito al pubblico della musica classica di divertirsi, nel senso più nobile del termine, ad un concerto, ma ha impedito anche al pubblico della musica pop e rock di cercare qualcosa di più complesso, elaborato e con più sfumature. La musica di John Williams mi sembra un buon punto di mediazione. Se si analizzano le sue partiture, al di là dell’immediatezza dei temi e delle melodie, non si può certo dire che sia musica semplice, né dal punto di vista armonico né da quello ritmico. Dunque ben vengano le esecuzioni in concerto poiché spero che questa “separazione” dei generi finisca una volta per tutte. Leonard Bernstein, ovvero il principe di tutti i direttori che non fanno distinzioni di genere, diceva che esiste solo la distinzione tra buona musica e cattiva musica.

CS: Possiamo dire che stanno cadendo barriere culturali ed intellettuali che solo fino a pochi anni fa ancora resistevano nei riguardi di questo genere di repertorio e non solo, tant’è che oggi anche un autore come Williams viene regolarmente presentato e potremmo dire quasi “nobilitato” in sede concertistica anche da direttori importanti come Zubin Mehta e Gustavo Dudamel. Dunque gli steccati e i recinti stanno finalmente scomparendo?
GG: Allargando ulteriormente il discorso, se io trovassi una bella trascrizione per orchestra di pezzi dei King Crimson o dei Gentle Giant la eseguirei immediatamente. Il problema è che c’è musica strettamente legata al mezzo dell’orchestra sinfonica, come ad esempio quella di Williams, ma c’è musica che è legata a un ambito strumentale – chitarra, basso e batteria – che sopporta male la “traduzione” per orchestra sinfonica. In alcuni casi funziona, mentre in altri molto meno.

CS: In tal senso, è cruciale il modo in cui Williams prepara le suite da concerto della sua musica. Partendo dai brani e dai cue cinematografici mette in piedi un discorso musicale con una sua logica e una sua autonomia.
GG: Il brano “Adventures on Earth” da E.T. è una specie di mini-poema sinfonico che racconta la storia presentando però la musica in una sequenza che ha una logica musicale non necessariamente aderente alla cronologia del film. E’ un esempio di come Williams sia capace di adattare al mezzo dell’orchestra sinfonica la sua musica, dandole una logica che è indipendente dal film, anche se il riferimento principale sono le immagini. Questo rende le cose molto più facili per noi musicisti. La difficoltà di eseguire la musica per film dal vivo con l’orchestra è che spesso l’unica cosa disponibile sono quelli che una volta si chiamavano “medley”, quelle sequenze in cui un tema è subito seguito da un altro. E’ la cosa meno logica dal punto di vista musicale, perché in realtà un compositore abile fa sospirare il tema, lo fa desiderare, prima di “darlo in pasto” al pubblico. Il medley invece fa piazza pulita di questa logica e non funziona in sala da concerto.

CS: Nel caso di Williams il lavoro è già fatto, ma per molti altri autori invece è molto difficile trovare edizioni ben curate per l’esecuzione in concerto. Qual è il lavoro di ricerca che bisogna fare in questi casi?
GG: E’ un lavoro molto grande ed impegnativo. Abbiamo ora un progetto discografico con l’orchestra Verdi che prevede la registrazione di molti brani tratti da colonne sonore di film e autori del cinema italiano. Abbiamo fatto un grosso lavoro insieme alla CAM, l’editore musicale di molti di questi film, per cercare innanzitutto le fonti. Quando queste non sono già orchestrate o se esistono solo delle tracce, abbiamo affidato il lavoro di orchestrazione a persone del mestiere, cercando di presentare i temi del film in modo indipendente dalle immagini. E tutto questo senza fare distinzioni tra musica di serie A o di serie B. Ad esempio, la colonna sonora di un film di Totò apparentemente potrebbe sembrare la cosa più frivola del mondo poiché associata a certe situazioni o a certe macchiette, ma io sfido qualunque compositore moderno che ha studiato in conservatorio a ricreare quello stile, quelle situazioni o certe funzionalità con la stessa bravura di quei musicisti. E’ un artigianato che, come dicevamo prima, si sta un po’ perdendo. La musica scritta dagli artigiani ha perso posizioni rispetto a quella scritta dai computer, non tanto perché non intervenga più l’uomo, quanto perché quando ci si abitua troppo a scrivere al computer avviene una sorta di interazione per cui l’uomo cerca sempre di dominare la macchina, ma in certe scelte è la macchina a portare l’uomo in certe direzioni. E’ importante far capire che compositori come Cicognini, Lavagnino, Trovajoli, avevano una prontezza e una capacità di adattamento che forse stiamo perdendo. Ladri di biciclette ha una colonna sonora prodigiosa, ad esempio, ricca di inventiva e di idee melodiche. Sto cercando di recuperare la partitura per proporla in concerto, ma non è affatto facile. Ho avuto esperienza di questo anche quando ho lavorato sulla musica di Nino Rota: fino a pochi anni fa il valore del manoscritto era praticamente pari a zero. Gli stessi compositori buttavano via tutto dopo aver finito il film. Dunque è diventato molto difficile recuperare le partiture e l’unica strada spesso è recuperare la strumentazione ascoltando il film e trascrivendo a orecchio, ma in questo modo ci si avvicina al massimo a un 90% del risultato finale, c’è sempre qualcosa che manca.

CS: E le registrazioni dell’epoca hanno anche dei forti limiti tecnologici che rendono la trascrizione a orecchio ancora più difficile. La stessa cosa è accaduta per partiture di film hollywoodiani degli anni ’30 e ’40 di autori come Korngold e Max Steiner, che hanno dovuto essere completamente ricostruite e riorchestrate per essere presentate in concerto.
GG: Korngold è un compositore particolarmente arduo da quel punto di vista. Se riconoscere la strumentazione della melodia o del tema principale è semplice, tutto il lavoro interno di orchestrazione, dove la viola è raddoppiata dal vibrafono ad esempio, lo si può sentire solo in una bella registrazione dove tutti gli strumenti sono distinti, altrimenti è difficile cogliere questo genere di dettagli.

CS: Secondo Lei, oggi che stanno cadendo le ultime barriere culturali nei riguardi di questo repertorio, è già possibile posizionare in termini storici autori come John Williams o, rimanendo in ambito italiano, Nino Rota? Oppure abbiamo bisogno di far passare ancora un po’ di tempo per stabilirne il valore e la posizione?
GG: No, direi che le persone che non hanno questo genere di barriere e pregiudizi già lo fanno, venendo a sentire i concerti di Williams e poi andando ad ascoltare i concerti con musiche di Strauss e Wagner. Dobbiamo smettere di mettere la musica nei vari “cassetti” ed etichettare tutto quanto, che sia rock, pop, soundtrack o new age. Ci sono autori che mal sopportano questo genere di etichette, come ad esempio Rota. Mi è capitato ad esempio di vedere nei negozi di dischi i CD che abbiamo registrato con la Verdi riposti nella sezione delle colonne sonore, quando invece c’erano pochissimi pezzi cinematografici. In fondo anche questo è un modo di creare barriere.

CS: Parte di questo problema forse è dovuto al pregiudizio nei riguardi di alcuni di questi autori, la cui musica spesso è ricca di richiami e riferimenti al passato?
GG: Se studiamo il repertorio delle opere liriche italiane, ad esempio, quando ascoltiamo una frase di Verdi dovremmo dire “Ah, questo è copiato da Donizetti”, se fossimo intellettualmente onesti. Questo però non si dice, prima di tutto perché sono passati molti più anni, ma anche perché c’è una venerazione nei riguardi di un compositore classico che si pensa non possa essersi ridotto a copiare qualcun altro. Invece se lo fa Williams, autore che scrive per il cinema, arte popolare per eccellenza, si grida subito allo scandalo. Ma la storia della musica è piena di questi casi, a cominciare da Bach, il quale letteralmente copiava, nel senso di trascrivere, le musiche di altri per imparare il mestiere. Mi ricordo che questa cosa la notai quando eseguii con un’orchestra francese Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota e i musicisti erano entusiasti, ma poi cominciarono a dire “Questo è copiato da Donizetti, quest’altro da Kurt Weill”, eccetera. Io allora risposi “Vi lascio 15 giorni e, quando avete trovato tutti gli originali, fatemi sapere”. Passato quel tempo nessun musicista fu in grado di dire effettivamente da che cosa avesse copiato. Gli autori che conoscono bene la storia della musica riescono a fare qualcosa che si avvicina a qualcos’altro ma che non è una copiatura, è piuttosto un clima, un sentimento. Nel caso di Williams non si tratta mai di appropriazione indebita, ma piuttosto di un’esigenza artistica. La pratica della citazione è in uso dai tempi di Monteverdi, non è affatto da condannare.

CS: Come ultima cosa, vorremmo chiederle di raccontarci il suo rapporto con la Verdi. Lei suona con questa orchestra da tanti anni, la conosce molto bene ed ha sempre avuto un grande affiatamento.
GG: E’ l’unica orchestra in Italia (ma credo non ce ne siano molte altre in Europa) che ha una capacità direi camaleontica di variare il suo suono e l’approccio verso la musica in base agli stili. Questa orchestra può suonare una composizione di Schumann e, dopo cinque minuti, eseguire un brano di John Williams adattandosi alle richieste strumentali e di suono che quella musica richiede. Questo succede perché sono quasi tutti musicisti della stessa generazione e sono cresciuti insieme. E’ sin dal suo inizio che la Verdi ha eseguito sempre tutto il repertorio e non solo quello classico, tradizionale e canonico. E’ anche un’orchestra che ha fatto molte registrazioni discografiche e che ha una tecnica eccellente in questo senso. E’ un’orchestra molto duttile, che io ho la fortuna di dirigere da molto tempo. Raramente si trova un complesso che riesce a fare tutto con la stessa rapidità. Alcune orchestre sono brave in alcuni repertori ma non in altri. Dopotutto anche questo aspetto fa parte di quell’abitudine di dividere i musicisti tra quelli che suonano la classica da quelli che fanno jazz o repertori diversi, una divisione che non dovrebbe più esistere.

CS: Immaginiamo che avere musicisti con un grande ventaglio espressivo e interpretativo sia anche una questione di sopravvivenza per qualunque orchestra al giorno d’oggi.
GG: Manca soltanto un ultimo passo per eliminare del tutto queste barriere di cui parlavamo. Il pubblico che viene ad assistere ad un concerto di musiche di John Williams probabilmente non è quello che abitualmente frequenta le sale da concerto. Ciò che dobbiamo riuscire a fare, ma non ho ancora trovato la soluzione giusta, è far tornare lo stesso pubblico a sentire Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, ad esempio. E’ così diverso rispetto alla musica di Williams? Io credo di no. E la stessa cosa mi piacerebbe che accadesse a ruoli invertiti, vorrei che il pubblico che viene a sentire le sinfonie di C’ajkovskij poi andasse a sentire un concerto jazz, pop o rock. Non si è ancora creato quell’automatismo per cui il pubblico si mescola. Forse le scuole possono fare qualcosa in questo senso, ma anche i giornali e gli operatori culturali.

CS: E’ un’operazione di educazione musicale quasi pedagogica. Lei ha sempre proposto programmi trasversali in questo senso, cercando il fil rouge che collega appunto Strauss a Korngold e Williams, ad esempio. Sarebbe bello assistere a un concerto che si apre con un’ouverture di C’ajkovksij, prosegue con il Concerto per Violino di Prokofiev e si chiude con una Suite da Harry Potter...
GG:
Assolutamente, non vedo alcun problema a proporre un programma come questo. Ci vogliono sicuramente direttori artistici che capiscano che non bisogna separare i generi, ci vogliono orchestre che sappiano eseguire sia Prokofiev che Williams e ci vuole anche un’attività promozionale che faccia capire al pubblico che si può andare in sala da concerto per divertirsi e scoprire qualcosa di nuovo.

Le foto del Maestro Grazioli sono di Paolo Dalprato

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