“Una grande lezione di musica per film” – Parte Decima

“Una grande lezione di musica per film” – Parte Decima

Colonne Sonore prosegue nel sostenere le plurime richieste di giovani lettori che studiano composizione e che nutrono la speranza di diventare compositori di musica per immagini in futuro, facendo riferimento a coloro i quali vivono in prima persona l’Ottava Arte e la creazione di musica applicata, cioè i compositori stessi che hanno risposto a sei domande che la nostra redazione ha ritenuto importanti ed esaustive sul come diventare autori di musica per film.
Ecco a voi la decima parte della Lezione-Intervista di musica applicata con le sei identiche domande a cui molti compositori italiani e stranieri hanno risposto per aiutare i futuri giovani colleghi che si confronteranno con la Settima Arte e la sua musica:

Domande:

1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?

2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?

3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?

4) Avete una vostra score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?

5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?

6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?

foto steve london

Steve London (compositore di Get Color!, Shallow ground - Misteri sepolti, That Beautiful Somewhere, Chau, Beyond the Lines)

1) Il mio lavoro comincia solitamente guardando il film 3 o 4 volte, per imprimermi bene nella mente le sue tematiche, le immagini e l’arco narrativo dei personaggi. In questa fase, comincio a farmi un’idea dell’approccio generale, o un termine migliore potrebbe essere del mio “concetto”. Per spiegarmi meglio, il mio primo approccio consiste nell’identificare uno o due concetti generalissimi del film che, da un punto di vista artistico, possano incrociarsi e definire il mio “mondo musicale” [per quella pellicola]. Questo concetto generale diviene una sorta di guida e informa il modo in cui i vari interventi musicali, i temi, etc. saranno composti, orchestrati e mixati per il film. Per esempio, ho scritto lo score di Chau, Beyond the Lines, un cortometraggio documentaristico diretto da Courtney Marsh e nominato agli Oscar. Un elemento chiave che Courtney desiderava fosse sottolineato dalla mia musica era lo spirito indomito di Chau, senza però esagerare, dandogli una sfumatura troppo “ottimistica”. Eravamo inoltre convinti che, data l’ambientazione vietnamita e la terribile eredità della contaminazione da Agent Orange [potente erbicida irrorato dall’esercito statunitense sul Vietnam del Sud, tra il 1961 e il 1971, NdT], la mia partitura doveva – in modo molto sottile - risentire dell’influenza della musica e della strumentazione di quei luoghi. Infine, ho pensato che lo stile della mia colonna sonora dovesse riflettere in parte Chau e la sua arte. Partendo dalla tecnica pittorica di Chau (dipinge usando la bocca e molti dei suoi quadri hanno un aspetto indefinito, conseguenza del fatto che picchietta contemporaneamente piccole porzioni della tela col pennello), ho pensato di riprodurre questa sorta di rarefazione nella mia musica. Quindi queste tre suggestioni sono andate a comporre il mio approccio allo score di Chau, il mio concetto di partenza, per così dire. Sempre a proposito di Chau, dopo aver definito questo concetto di partenza, il mio approccio specifico è stato quello di creare ed elaborare degli sfondi sonori e dei pad basati sulle sonorità tipiche della musica tradizionale vietnamita. A queste basi ho sovrapposto delle semplici melodie reminiscenti di certe canzoni popolari vietnamite, suonate con un “piano preparato” e delle campane tibetane. Ho inoltre elaborato elettronicamente queste melodie, di modo che fosse possibile sovrapporle e inspessirne la trama, non diversamente dal modo in cui Chau sovrappone gli strati di pittura sulle sue tele. Infine, una volta che ho terminato questo lavoro e ho creato le mie sessioni ProTools, riguardo il film con la mia musica, per verificare che tutto funzioni come dovrebbe e assuma la forma alla quale pensavo quando elaboravo la mia concezione di partenza.

2) No, il mio processo creativo non cambia sensibilmente, se non mi è possibile utilizzare un’orchestra sinfonica tradizionale. Procedo sempre elaborando il mio concetto e quindi lasciandomi guidare da esso nel mio processo creativo. Da un punto di vista tecnico, solitamente creo e registro personalmente i suoni di cui ho bisogno, indipendentemente dal budget, e per farlo utilizzo differenti fonti sonore, particolari tecniche microfoniche, e una serie di software per elaborare i suoni. Ottengo così materiale della natura più varia: percussioni, sound design, pad, elementi melodici, etc... Cerco sempre di ottenere un suono che sia unico e specifico per il film, indipendentemente dai soldi a disposizione. E trovo sempre il modo di suonare qualche strumento personalmente o di ingaggiare qualcuno per farlo, in modo da ammorbidire le mie tracce MIDI. Il suono di un’esecuzione live è qualcosa che si tende più a percepire che non a sentire, ma credo che sia un aspetto molto importante per lo score di un film, sia per il pubblico che per l’impatto emotivo della musica. Riguardo alla tecnologia della quale mi avvalgo, ho usato Logic per anni, ma recentemente sono passato a Cubase su PC, che si adatta meglio al mio modo di lavorare e mi permette di approcciare progetti più grandi con maggiore flessibilità. Ciò nonostante, per i progetti più piccoli, mi affido ancora a Logic ogni tanto. Per quanto concerne i Synth, possiedo parecchi software che abbino al mio equipaggiamento abituale – il mio Juno-106, lo Yamaha DX7II e altri piccoli sintetizzatori – sul quale creo i miei suoni. Uso differenti combinazioni di library diverse, a seconda delle esigenze del film. Per esempio, per gli Archi, mi avvalgo di Spitfire Sable, LASS, Cinematic Strings, 8Dio e persino qualche vecchia library di AKAI e ROLAND. Se il film prevede Archi più marcati e incisivi, opto per una combinazione di Cinematic Strings e LASS, e meno di Sable. Se invece ho bisogno di un suono degli archi più legato e d’atmosfera, tendo ad usare più Sable e Cinematic Strings, con un pizzico di 8Dio Adagio e delle vecchie library AKAI/ROLAND.

3) Come ho detto, parlando del processo di elaborazione di un concetto generale per il film, a partire dalla prima lettura della sceneggiatura, fino ad arrivare al film montato e alla colonna sonora terminata, come compositore il tuo compito è di raccontare una storia che accompagni il film. Una storia che non viene raccontata con le parole ma con la musica; una storia ricca di tutti quegli archi emotivi, tensione, picchi, sottotesti, allusioni, eccitazione e malinconia che dovrebbero andare a riempire magicamente tutti gli spazi vuoti lasciati dalle immagini che accompagna. La tua storia dovrebbe essere unica e curata quanto quella del regista; dovrebbe accompagnarla ma, al tempo stesso, essere in grado di reggersi da sola. In definitiva, è così che vedo un film: ognuno è chiamato a collaborare e a contribuire con parte della narrazione alla visione creativa di qualcuno, alla sua storia. Ecco perché il legame fra regista, montatore e compositore è così importante: stiamo tutti contribuendo a raccontare una singola storia aggiungendone altre di supporto – credo sia chiaro per chiunque che questi contributi narrativi individuali rafforzano e arricchiscono la storia in generale, che è il film finito. Per me la Temp Track è solo una guida per il sottotesto emotivo che il regista e/o il montatore desiderano per una particolare sequenza. E’ solo una scorciatoia per comunicare al compositore il modo in cui pensano che una scena dovrebbe suonare. Ovviamente a volte può trattarsi di un’indicazione molto più specifica, ma tendo a pensare alla Temp Track come a un mezzo nelle mani del team creativo per comunicare con il compositore senza bisogno di ricorrere al linguaggio musicale. E’ un aiuto per trovare un terreno comune di incontro fra il regista, il montatore e il musicista. Aiuta tutti a farsi un’idea generale di quale dovrà essere il contributo narrativo della colonna sonora alla storia, e facilita la collaborazione di tal senso. Personalmente cerco sempre di recepire ogni suggerimento possibile dal regista e dal montatore per elaborare il mio concetto e comporre lo score. Queste due persone hanno lavorato sul film molto più a lungo di me e conoscono molto meglio tutti i dettagli della storia e dei personaggi. Una colonna sonora temporanea è come un trampolino che permette a regista e montatore di comunicare questa lunga esperienza che hanno del film, per aiutarmi nella scrittura della musica.

4) Il processo di scrittura di Born to Be Blue è stata una sfida molto più impegnativa di altre per il fatto che c’era moltissimo materiale jazz originale dal quale partire. Abbiamo discusso del fatto che lo score non dovesse essere strettamente jazz proprio perché il film conteneva già molti brani originali di quel genere. La mia partitura doveva differenziarsi dal jazz presente nel film e trovare un modo di legare senza soluzione di continuità i due mondi [musica diegetica ed extradiegetica] e di trovare un equilibrio senza appoggiarsi troppo sull’uno o sull’altro. E’ stato il personaggio stesso di Chet che ci ha suggerito la strada giusta per affrontare questa sfida. Sul palco Chet aveva la sua voce e la sua tromba per dirci chi era, sia come persona che come musicista, ma fuori dal palco – che era l’ambito di pertinenza del mio score - sentivo che Chet aveva bisogno di uno strumento che rappresentasse la sua tristezza, la sua bramosia e il suo dolore, insieme alla sua ambizione, forza e determinazione. Questo strumento inoltre doveva essere in grado di parlare ad entrambi i mondi musicali, il jazz e la colonna sonora [vera e propria], e ho pensato che un clarinetto solo potesse riflettere perfettamente questo Chet “fuori dal palco”: il vero Chet. Il clarinetto è uno strumento eccezionale per versatilità e range dinamico: può essere intimo e caldo, malinconico e lugubre, brillante e stridente, jazzistico o tradizionale. Sentivo che parlava davvero al personaggio di Chet. L’altra sfida di Born to Be Blue era il notevole aspetto collaborativo dell’operazione. David Braid e Todor Kobakov sono i co-autori della colonna sonora del film. Si è creata un’atmosfera di vicendevole aiuto davvero bella che ha permesso a tutti e tre di immergersi [nella storia] e di lasciarsi influenzare l’uno dall’altro. Posso affermare con certezza che le idee musicali dietro alle canzoni di Chet e alle musiche di David e Todor sono state di grande ispirazione per le mie composizioni. Ad ogni modo, mettere insieme tutti gli elementi di questo puzzle musicale e ottenere un “paesaggio cine-musicale” coerente e accurato è stata una vera sfida per Robert Budreau, il regista, e per me. Abbiamo anche potuto contare sull’aiuto di un music editor inglese, Christoph Bauschinger: un contributo inestimabile, anche perché avevamo poco tempo per portare a termine il nostro lavoro.

5) Crescendo ho sempre amato il Cinema, e come per tutti i ragazzini delle periferie negli anni Settanta e Ottanta, i film delle serie di Guerre stellari e di Indiana Jones per me erano il massimo. Quei film li ho visti mille volte in Sala, conoscevo a memoria il nome di tutti gli attori, di tutte le battute del dialogo, ed ero in grado di cantare tutti i temi musicali. Mi pare di ricordare che ho dovuto comprare una seconda copia dei dischi della colonna sonora de L’impero colpisce ancora, perché la prima l’avevo rovinata a furia di ascoltarla. Amavo il suono e l’emozione sprigionati dall’orchestra, quei temi meravigliosi e l’uso del contrappunto, e soprattutto il fatto che la musica era in grado di richiamare con facilità alla mente le immagini del film. E’ stato quello ad affascinarmi: il modo in cui musica e immagini si influenzavano a vicenda per andare a creare qualcosa di completamente nuovo da un punto di vista emotivo. La creazione e la giustapposizione di determinati brani musicali con le immagini di qualcun altro: ecco cosa mi dà la massima soddisfazione.
Per quanto riguarda il mio approdo a questo mestiere, finita l’Università alla Queen’s University in Canada, sono stato ammesso ai corsi di Composizione per il Cinema e la Televisione della University of Southern California. E’ stata una splendida esperienza, e dopo il diploma sono stato per diversi anni lo score coordinator per Christopher Young. Il mio primo lavoro da compositore mi è arrivato grazie a un amico della USC. Avevo scritto la musica per due suoi cortometraggi alla USC e in quel momento stava lavorando come supervisore alla post produzione, quando mi chiamò come rimpiazzo per una partitura rifiutata di un Tv Movie intitolato Seduced by a Thief. Dopo quel lavoro, ho cominciato a bombardare con le mie demo qualunque casa di produzione fosse al lavoro su qualcosa in quel momento. In questo modo sono riuscito ad ottenere un ingaggio per Ripping Friends di John Kircfalusi – il mio primo lavoro importante – ma ci sono voluti molti anni, molte telefonate e molti CD di demo per ottenere quella commissione.

6) Da un punto di vista pratico, è in realtà poco importante vedere i miei lavori pubblicati in formato fisico. Come compositore, quello che vuoi è che la tua musica sia ascoltata dalle persone, e il formato digitale facilita questa eventualità. Certo, in ambito digitale, è più difficile farsi notare, considerata la mole di materiale potenzialmente accessibile, ma penso anche che questo formato offra all’ascoltatore casuale l’opportunità di scoprire qualcosa di nuovo anche solo rovistando nella Rete. Ciò nonostante, io sono cresciuto nell’epoca di transizione fra i dischi e le musicassette e i CD, e devo ammettere che il formato fisico regala una sensazione di concretezza; qualcosa che puoi ascoltare una volta dopo l’altra, in ogni momento. Il digitale è in qualche modo più volatile, per la mia mentalità. Personalmente amo sentire l’oggetto fisico nelle mie mani: la copertina, le note del libretto e la registrazione su vinile, cassetta o CD. C’è qualcosa di romantico nello stringere la custodia e leggere le note mentre ascolti la musica. E’ un’esperienza che mi ha sempre spinto a pensare e ad apprezzare maggiormente la dedizione che sta dietro quella particolare musica e incisione che ora sono nelle mani.

Davide Caprelli (Compositore per i programmi Geo Rai3, Chi l’ha visto Rai3, per RaiStoria, RaiNews24, la serie Ayrton Indimenticabile per La Gazzetta dello Sport, la serie Wild Italy di Rai5 alla sua terza edizione)

1) Per me è molto importante parlare e confrontarmi con il regista prima di iniziare a scrivere, capire le sue intenzioni e aspettative mi aiuta a scegliere la direzione.

2) Se il budget è esiguo e non ci si può permettere l’orchestra, aimè evento assai frequente, utilizzo come immagino ogni compositore, i virtual instruments insieme a qualche strumento suonato dal vivo in studio.

3) L’iter a volte è lungo e travagliato, a volte si lavora con leggerezza e si arriva spediti alla meta. Dipende da tanti fattori. La sceneggiatura aiuta ma come dicevo a me aiutano di più le chiacchiere con il registra. Il resto è dedizione e giusta ispirazione. La temp track è un inciampo ma ci sono cose ben peggiori da affrontare nella vita. Quando poi si compone per la televisione, il tempo a disposizione è sempre ridotto all’osso e negli anni ho imparato a comporre velocemente senza compromettere la qualità del lavoro.

4) Si, ricordo uno spettacolo teatrale per l’Eliseo di Roma che mi ha impegnato molto in termini di tempo e “artigianato musicale” ma alla fine è stato anche uno dei lavori compositivi che mi ha dato più soddisfazione. L’inghippo l’ho risolto scrivendo tanta musica.

5) Fin da quando ho messo le mani per la prima volta sulla tastiera di un pianoforte ho capito che quello che volevo fare da grande era comporre musica, mi piaceva la sensazione che mi davano quelle melodie e combinazioni armoniche che non sapevo da dove mi arrivassero; stavo scoprendo un dono. Il primo amore sono comunque state le composizioni di Ennio Morricone e i film di Sergio Leone.

6) Mi piacerebbe molto pubblicare un CD con le mie colonne sonore ma al momento ancora non ne ho avuto la possibilità. Per quelli che mi seguono pubblico i miei lavori sul mio canale youtube e soundcloud.

foto massimiliano lazzaretti

Massimiliano Lazzaretti (compositore della fiction Al di là del lago, Il velo di Waltz, Fratelli, Il traduttore)

1) Questa è una domanda molto interessante, Massimo, e ti ringrazio per avermela posta. Iniziamo col dire che l’approccio alla creazione di una colonna sonora non è sempre il medesimo o comunque non coincide sempre con l’approccio che io desidererei avere; e non è lo stesso per svariati motivi. L’iter di realizzazione di una colonna sonora è cambiato negli ultimi anni. Non è mia intenzione discernere tra musica per il cinema e musica per la TV ma, poiché anche grandi compositori italiani e non hanno scritto per il piccolo schermo (Morricone, Piovani, Bacalov per citarne alcuni), mi sento in dovere di farlo. Troppo spesso noi compositori veniamo “convocati” per scrivere la colonna sonora di una fiction sempre alla fine del montaggio quando tutti sappiamo che per realizzare un prodotto televisivo si impiegano anni, a volte. Ciò significa che il tempo che abbiamo è molto poco, pertanto meno tempo si ha per comporre e più si rischia di dover creare dei prodotti giusti sì per il contesto ma che non hanno una grande valenza artistica. Il risultato è una omogeneità dei contenuti. Per fortuna nel cinema questo ancora non accade. Ho avuto sempre la possibilità di creare un rapporto di stima e fiducia reciproca con il regista iniziando a scrivere i temi già dalla sceneggiatura. La composizione nella sua accezione più alta esige tempo: non è un caso che Stravinskij stesso anche in punto di morte continuasse a lavorare alla “Sagra della Primavera” perché non era mai soddisfatto del risultato.

2) Anche questa è una realtà inconfutabile oramai. Ma in questi casi la tecnologia ci viene in grande aiuto. Molte colonne sonore vengono completamente realizzate, non solo in Italia ma anche in America da anni, con le tecnologie (e per tecnologia non intendo solo “suoni campionati” ma soprattutto “virtual instruments”). Anzi, per alcuni progetti è proprio la virtualità del suono l’unico metodo possibile per realizzare la colonna sonora visto che con l’orchestra non si potrebbe mai ottenere lo stesso efficace risultato. Interessante invece è affrontare il tema della sinergia tra mondo acustico e mondo virtuale. Quando per motivi di budget non si ha la possibilità di usare un organico orchestrale bisogna scendere a compromessi. Per quanto mi riguarda tendo sempre e comunque a realizzare i “temi” e i “soli” chiamando i turnisti. Una base orchestrale, o come viene chiamata volgarmente un “tappeto armonico”, virtuale funziona molto bene con il raggiungimento di ottimi risultati e di buona credibilità ma i temi no! Non si potrà mai e poi mai sostituire (e fortunatamente aggiungo) un arco, una corda, un fiato con dei suoni campionati.

3) Come ti dicevo, per me il rapporto con il regista è fondamentale. Parte tutto da qui. Amo scrivere per il cinema perché nel cinema la genesi compositiva viene da lontano e il tempo di incubazione della colonna sonora è mediamente lungo. Adoro lavorare in maniera viscerale al fianco del regista, modellare e rimodellare insieme a lui il materiale sonoro sia sulla sceneggiatura che sul montato; respirare le sue sensazioni all’ascolto ed avere di ritorno input finalizzati a migliorare la colonna sonora. Torno a ripetere che tutto però parte dai temi. Ti racconto la lavorazione del mio ultimo film Il Traduttore con protagonista Claudia Gerini (uscita maggio 2016). Quella che ho composto per Il Traduttore è forse la colonna sonora a cui sono più legato. Una colonna sonora scritta alla “vecchia maniera”, pentagramma e penna, come insegna il cinema dei grandi maestri del ‘900. Il risultato è il frutto di un lavoro minuzioso di scrittura durato circa 4 mesi e di una ricerca timbrica e orchestrale scrupolosa per un thriller psicologico-sentimentale di assoluto valore. Il ringraziamento più grande va proprio al regista Massimo Natale che, oltre ad avermi voluto fortemente come compositore fin da subito, mi ha lasciato carta bianca durante tutto l’arco del processo compositivo. Non ha mai fatto allusioni ad altre colonne sonore per spunti creativi e non sono mai state utilizzate “temp track”. Questo mi ha permesso di scrivere il 50% della colonna sonora sulla sceneggiatura prima che il film venisse girato e di dare libera espressione alla mia poetica. Di solito il lavoro del compositore avviene sempre a montaggio finito come dicevamo; qui invece, in alcune scene importanti, è stata la musica ad influenzare e a determinare il ritmo del montaggio (un approccio di kubrickiana memoria). Dopo l’anteprima mondiale tenutasi a Febbraio 2016 a Los Angeles mi sono arrivate mail d’oltreoceano di complimenti e congratulazioni da parte di addetti ai lavori che hanno apprezzato la colonna sonora per la sua “intensità e profondità compositiva”. Ma la soddisfazione più grande l’ho ricevuta un giorno quando mi squilla il telefono. Era Pupi Avati che mi dice: “Lazzaretti, hai composto una grande colonna sonora. Metto il CD con le tue musiche anche quando scrivo. Spero di collaborare con te quanto prima”. Mbè, che dire, un onore! E quale migliore soddisfazione per un compositore?

4) Sinceramente ancora non ho avuto particolari difficoltà compositive o affrontato progetti sinistri che mi hanno messo dinanzi ad inghippi artistici e/o produttivi. Mi auguro di no ma se capiterà te lo farò sapere (ride)

5) In maniera del tutto naturale e soprattutto inconsapevolmente. Ho iniziato a sette anni lo studio della fisarmonica (sono un figlio d’arte in questo senso). Negli anni successivi, oltre ad un’intensa e precoce attività concertistica che mi ha portato ad esibirmi nei più importanti teatri italiani, ho vinto numerosi concorsi nazionali ed internazionali tra cui nel 1987 il primo premio assoluto al prestigioso “Concorso Internazionale di Castelfidardo” edizione nella quale sono risultato l’unico vincitore in rappresentanza dell’Italia. Ho continuato per anni lo studio dello strumento fino a quando ho avuto un periodo di crisi. Avevo dato molto con e per quello strumento. Non avevo più stimoli e cercavo altro che in quel periodo non sapevo nemmeno bene cosa fosse. Però mi rendevo conto che quando mi mettevo al pianoforte (che studiavo per l’esame complementare al Conservatorio) componevo. Ovvio uscivano principalmente canzoni da quei tasti ma comunque qualcosa usciva. Durante un’edizione del Festival di Castrocaro di molti anni fa, in occasione della quale portai in gara un brano scritto da me, conobbi Elio Polizzi che aveva la cattedra di Composizione per Musica da Film presso la sede distaccata dell’Accademia Filarmonica di Bologna a Roma. Fui subito rapito da questo modo di comporre per me totalmente nuovo fino a quel momento. Frequentai l’Accademia per 4 anni dove ho imparato molto, soprattutto il “mestiere”, la capacità di diventare camaleontici e di rispondere a qualsiasi tipo di richiesta compositiva (dal pezzo sinfonico alla composizione di una musica thriller, dalla musica di azione al pezzo per una scena in costume, da un tema per una commedia romantica alla canzone per dei titoli di coda). Poi la mia curiosità e soprattutto la mia voglia di imparare sempre di più mi hanno portato inevitabilmente ad iscrivermi al corso di Composizione al Conservatorio “Alfredo Casella” de L’Aquila, un passo che considero obbligato. Sentivo che avevo delle lacune da colmare. In Conservatorio ho imparato l’armonia, la composizione secondo rigidi principi accademici, tutte le tecniche più rigorose ed ardite del contrappunto e la tecnica della variazione. Non ti nascondo che se non avessi studiato molte cose non le avrei composte. Non basta solo il talento ma serve tanto tanto studio. Per questo non smetterò mai di ringraziare i maestri che ho avuto nel corso degli anni: Ivan Vandor (allievo di Petrassi), Matteo D’Amico, Fulvio Angius, Carlo Crivelli, Sergio Prodigo, Luis Bacalov.

6) L’importanza sarebbe enorme e non tanto per compiacimento personale. Non credo rimarrà molto ai posteri di quest’era digitale se non verrà veicolata nel modo giusto. Quello che sappiamo del passato è solo merito della tradizione scritta. Se gli avvenimenti non fossero stati scritti e fermati sarebbero andati perduti. Questo mi spaventa. I CD vengono sempre meno pubblicati. Il supporto fisico da qui a poco non esisterà più. E quindi che rimarrà di questa generazione? Che notizie avranno i posteri di noi? Non so cosa si possa fare nello specifico ma so solo che qualcosa andrà fatto e anche presto. Grazie Massimo.

FINE DECIMA PARTE


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