“Una grande lezione di musica per film” – Parte Ottava



“Una grande lezione di musica per film” – Parte Ottava

Colonne Sonore continua a dare adito alle numerose richieste di giovani lettori che stanno studiando composizione e che vorrebbero in futuro intraprendere la carriera di compositori di musica per immagini, facendo nuovamente affidamento su coloro i quali vivono in prima persona l’Ottava Arte e la creazione di musica applicata, chiedendo ai compositori stessi di rispondere a sei domande che la nostra redazione ha ritenuto interessanti ed esaurienti sul come divenire autori di musica per film.
Ecco a voi l’ottava parte della Lezione-Intervista di musica applicata con le sei identiche domande a cui molti compositori italiani e stranieri hanno risposto per aiutare i futuri giovani colleghi che si confronteranno con la Settima Arte e la sua musica:

Domande:

1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?

2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?

3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?

4) Avete una vostra score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?

5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?

6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?



Paolo Buonvino (compositore di L’ultimo bacio, Manuale d’amore, le fiction Padre Pio e Ferrari, Romanzo criminale, Padri e figlie, la serie Tutto può succedere)


1) Nel mio studio ci sono tre schermi di computer, che uso per comporre di getto, non con spartito e matita come si faceva una volta, poi logicamente trascrivo tutto per l’orchestra o singoli strumenti. Il primo impatto nel creare le mie composizioni per film è suonare quello che sento di getto, come ti accennavo. Uso il Cubase come programma per comporre, poi per aggangiare il girato del film il programma Pro Tools che mi serve per poggiare sopra il mio score definitivo, e infine con l’aiuto dei miei collaboratori il programma Sibelius per trascrivere in bella copia tutta la partitura finale per le sessioni di registrazione.

2) In piena libertà, a me piace usare sia l’orchestra che l’elettronica, anche singoli strumenti sia acustici che elettronici. La tavolozza orchestrale e quella elettronica sono alla pari per me! Non considero l’orchestra di prima categoria e l’elettronica di seconda categoria, anzi li metto sul medesimo piedistallo. Da buon siciliano mi piace mischiare, mettere insieme sia l’una che l’altra! Arabo, greco, normanno, spagnolo, tutti insieme come nella migliore tradizione sicula, quindi orchestra, elettronica, musica sinfonica o pop, rock, jazz, un brano cantato dai Negramaro o da Jovanotti. Insomma non mi faccio problemi: l’orchestra non è l’unica possibilità di espressione per un compositore di musica per film. Mi è capitato di affrontare il film con Antonio Albanese, Tutto tutto niente niente, con pochissima orchestra e moltissima elettronica che io amo molto e che il film richiedeva. Quando riesco a mescolare elementi orchestrali con elettronici sono ancora più felice. Se decido che non voglio l’orchestra sono ben motivato. Se invece mi tocca simulare l’orchestra allora preferisco proprio non averla! Per il sottoscritto l’Orchestra è l’Orchestra vera; io amo registrarla in Italia perché vi sono compagini molto valide, musicisti molto bravi: su 65 film fatti, 1 l’ho fatto all’estero e i restanti in Italia! Il mio ultimo film con Gabriele Muccino, Padri e figlie, è registrato interamente nel nostro Paese.
Se per mia scelta artistica non uso l’orchestra, il mio approccio all’elettronica è appassionato visto che io la amo. Mi ritengo abbastanza ad alti livelli nel saperla usare quindi non mi faccio alcun problema nello sceglierla, se lo ritengo giusto per il film.

4) Alcune volte ci sono singole scene che creano parecchi problemi, per il quale scrivi da uno a sei provini. Altre volte invece è immediata la soluzione! Bisogna avere perseveranza e mai scoraggiarsi, fa parte di questo mestiere! Perseveri fino a quando entri perfettamente in simbiosi con quella scena del film. Non vi è un film che mi ha creato particolari problemi, solo singole scene che non sono state immediate nella composizione definitiva. Per esempio, mi ricordo il film Italians (2009) di Giovanni Veronesi con Carlo Verdone, Sergio Castellitto e Riccardo Scamarcio: diviso in due episodi, uno ambientato nel deserto con Castellitto e Scamarcio e l’altro in Russia con Verdone. Ora non rammento quanto ho impiegato a comporre la musica per il film, ma se mettiamo il caso fossero stati 100 giorni, ne ho impiegati 15 per realizzare lo score per l’episodio di Castellitto e Scamarcio e 85 per quello con Verdone. Nel suo episodio vi erano delle modalità del racconto più articolate e difficili da affrontare. Logicamente non vuol dire che è venuta meglio la partitura dell’episodio con Castellitto e Scamarcio e meno bella quella con Verdone, vi sono idee che risultano di getto più fluide e altre meno, più complesse. L’importante è insistere senza scoraggiamenti vari!

5) Io vengo da un paesino siciliano che si chiama Scordia, in provincia di Catania, con 16.000 abitanti, che viveva una volta prevalentemente di coltivazione di arance. Sono figlio e nipote di un mastromuratore e i miei zii erano tutti mastromuratori. Non vi erano i pressupposti per far sì che un membro di questa famiglia di bravissimi muratori diventasse un compositore di musica per film, di questo mestiere particolare, diverso e strano. Questo serva da incoraggiamento per tutti coloro che vorranno intraprendere questo mestiere, come tanti altri ritenuti impossibili, ci vuole perseveranza e passione, anche se siete nati in un paese sperduto senza Cinema e altre distrazioni creative. Non è che io fossi un genio della musica ma con la passione si ottiene tutto, basta crederci! Prima di tutto bisogna davvero credere nel fatto che nella vita uno è portato veramente per quel lavoro, per quella passione. Io ho studiato musica, mi sono diplomato in pianoforte, mi sono laureato al DAMS di Bologna e ho conosciuto lungo la mia strada diverse persone tra cui Franco Battiato; gli ho fatto da assistente per svariati anni, onorandomi della sua amicizia e nel frattempo gli facevo sentire qualche brano, canzone che componevo, e lui mi diceva sempre cosa ne pensava. Una volta accadde che mi dicesse che secondo lui dovevo diventare compositore di musica per film, ma in realtà gli avevo fatto ascoltare solo una canzone (ride). E ci rimasi pure male perché tra me e me pensavo che mi avesse detto così come a significare che le mie composizioni facessero pena, in verità lui ci aveva visto lungo, aveva intuito delle cose che io non capivo ancora. Parallelamente a questi lavori che facevo con Battiato, avevo conosciuto alcune persone che si occupavano di teatro; all’università avevo scritto le musiche per la messa in scena del “Miles Gloriosus” di Plauto per la regia di un mio collega di Bitonto. Con la cassetta registrata delle mie musiche per l’opera di Plauto andai da diverse compagnie teatrali di Catania e via via alcune mi presero per comporre le musiche e ne scrissi una dozzina. Così scoprii che comporre per le immagini mi piaceva tanto, tanto quanto scrivere canzoni (difatti oggi faccio sia l’uno che l’altro), fino a quando, sempre per caso, incontrai il regista omonimo di Franco Battiato ma per nulla imparentati, Giacomo Battiato, grazie ad un’amica comune, una scrittrice siciliana. Lei stessa mi propose di scrivere un’opera lirica su suo libretto e regia di Giacomo Battiato. Ci incontrammo tutti e tre per discuterne, anche se poi, per svariati motivi, l’opera lirica non si fece mai, e Battiato ebbe l’opportunità di ascoltare le mie composizioni. In particolare gli piacque una messa che avevo scritto e registrato dal vivo come potevo, divisa in “Kirie”, “Agnus”, “Gloria” e “Santus”, per una chiesetta moderna di Scordia che ritornò utile, perché se innamorò così tanto che l’anno successivo per la sua Piovra 8 con Raoul Bova, Battiato mi chiamò per essere provinato come compositore della fiction. Mi disse che non vi erano molte possibilità di essere preso, anche se io non conoscevo il titolo della fiction o del film di cui lui curava la regia, visto che si trattava del ciclo de La Piovra che era stata musicata nella prima serie da Riz Ortolani e dalla seconda alla settima da Ennio Morricone, nomi illustri insomma. Una serie famosa in tutto il mondo con un suo suono ben specifico e noto ai più, che significava Piovra. Quindi Battiato rischiava parecchio con la Rai a proporre il mio nome, un emerito sconosciuto, per una fiction famosissima con un suono ben marcato e creato da Morricone e Ortolani. Proponeva un cambio di rotta drastico! Quando Battiato mi spiegò di cosa si trattava e mi raccontò la storia, invece di due provini ne feci dieci (ride); era il periodo in cui uscivano i primi CD che si potevano masterizzare, un CD vuoto costava più di uno pieno. Il costo era intorno alle 25mila lire se non ricordo male e, quindi, se bruciavi un CD, andavano in fumo 25mila lire, mannaggia (ride). Io ed un mio collaboratore di allora comprammo un masterizzatore e feci dieci CD con i dieci provini, li mandai alla Rai. Per fortuna potei con la mia musica distaccarmi da ciò che fece in precedenza Morricone, che era irraggiungibile musicalmente, visto che la Piovra 8 tornava con la storia indietro nel tempo, agli anni ’50. Da siciliano ci misi del mio come approccio alla storia, non una scopiazzatura del genere, e colpì moltissimo Battiato, il quale cercò di convincere la Rai a prendere Paolo Buonvino, un signor nessuno, ma che possedeva le idee ben chiare, diverse e nuove per affrontare la storia differente dalle precedenti della fiction. Mi ricordo che Battiato mi disse di non mettere nel curriculum la mia età, 27 anni, perché se no la Rai avrebbe detto subito di no. Io sono molto debitore di Battiato perché impose le sue idee sul motivo per il quale non volesse Morricone. E grazie a lui tutto quello che è venuto dopo si è potuto realizzare. Certamente per quella fiction mi sono impegnato tantissimo e se ancora oggi ascolti la sua colonna sonora non è per nulla datata e godibilissima, anzi molto coraggiosa; difatti scrissi per la sigla dei titoli di testa un pezzo (me lo fa ascoltare al computer nel suo studio), per farti capire il coraggio che ebbi, e per far capire cosa vuol dire Mafia, il grande dolore per un siciliano che la subisce (e tu mi capisci dato che sei mio conterraneo) ma anche per chi la commette, visto che il primo che ammazza in realtà è proprio egli stesso. Quindi volevo iniziare la musica con una sorta di grido di dolore straziante (ascoltiamo il brano con intro di strumenti etnici mediterranei e il vocalizzo lungo arabeggiante e doloroso su tappeto d’archi come un urlo di disperazione). C’è una frase che scrissi nel CD fisico che mi farebbe piacere che tu mi leggessi: “Un ringraziamento speciale a Giacomo Battiato per l’opportunità che mi ha dato di poter esprimere sentimenti di dolore e compassione per chi muore, ucciso dalla violenza altrui, e per chi uccidendo gli altri, muore a se stesso”. Pensa che talmente ignoravo il mondo dietro la composizione di una musica per film o serie che chiamai questo pezzo “Sigla Piovra 8” non sapendo che si doveva chiamare “Titoli di testa” e nemmeno conoscevo il significato della parola “rullo”, ma devo dire che andò talmente bene che da quel momento in poi fui chiamato da Muccino per il suo primo film, Ecco fatto, e la Rai fu così entusiasta del mio lavoro - infatti La Piovra 8 vinse come miglior fiction europea di quell’anno, il 1997, dopo che non veniva premiata da quindici anni per una sua fiction - che mi impose ad altri registi che non mi volevano perché avevano già il loro compositore di fiducia, mi chiamò perfino la tv tedesca per loro serie; insomma andò benissimo!
Ribadisco, se qualcuno abita in un posto sperduto della nostra Italia e si sente scoraggiato nell’affrontare questo mestiere, parli con me, dato che le opportunità ci sono, a patto che egli stesso riconosca le sue capacità e la passione reale che lo porta a voler fare quello che si prefigge, altrimenti è meglio che desista in partenza.

6) A me il CD fisico piace perché è un oggetto che si può toccare, invece il download digitale non sempre è di buona qualità, non è mai quello che dovrebbe essere in realtà. Da una parte il CD ha un suo fascino indiscutibile, un libretto che puoi sfogliare, una qualità audio notevole, ce l’hai a portata di mano e lo puoi sempre prendere e ascoltare, dall’altra parte le possibilità che ti da il download digitale non sono nemmeno paragonabili a quelle che ti offre il CD, perché se uno si trova in Nuova Zelanda e non ha la ben che minima possibilità di comprare un mio CD per qualsiasi motivo, anche il più disparato, con gli mp3 o altri formati digitali, può arrivare tranquillamente alla mia musica e conoscerla, e perfino apprezzarla. Una volta mi dicevano, ma per te rispetto al 33 giri il CD che cos’è? Alcune cose erano migliori nel vinile e meno nel compact disc; oggi succede lo stesso con il CD e il download digitale. Certamente un download di qualità sarebbe qualcosa di fantastico e importante, e soprattutto auspicabile, perché se vuoi davvero sentire, percepire, lo sforzo che ci ha messo un fonico per far venire fuori al massimo il suono e la musica, allora con alcuni file oggi ciò muore del tutto. E’ invero inevitabile che le cose vadano sempre di più verso la direzione del downloading! Difatti il CD della mia ultima colonna sonora di Padri e figlie è stato stampato solo in America. Inoltre è bello che circolino le cose anche non a pagamento, con ciò non vuol dire che si deve piratare la musica, ma che vi sia un giusto equilibrio, anche in minima percentuale. E’ anche una questione fisiologica! Una volta che ho visto un mio CD nella bancarella di un uomo di colore che vendeva dischi piratati, io ero contentissimo (risate), perché per me significava che era un lavoro di successo (ride); dissi all’uomo di colore che quel CD era mio, e lui mi rispose che era suo, e se lo volevo dovevo pagarlo 5 euro, ed io lo comprai (risate).
Il download è una gran cosa perché consente a tutti di ascoltare molteplici cose e allo stesso tempo non da quel senso di appartenenza che si ha possedendo il CD, con il fascino succitato che ne consegue.



Fabrizio Bondi (compositore di Amore 14, le fiction Il restauratore 1 & 2, Terra ribelle, Anna e Yusef)


1) Dipende molto dalla tipologia del lavoro, dai tempi di consegna e dal momento della lavorazione in cui si viene coinvolti: se la fase creativa musicale comincia dalla lettura della sceneggiatura, amo sviluppare dei temi composti sulle storie e sui personaggi, cercando di evidenziarne gli aspetti profondi ed emotivi che emergono dalla struttura narrativa. E’ importantissimo il confronto con il regista per comprendere le suggestioni e le sensazioni che vuole far emergere, e per conoscere profondamente il suo gusto e come immagina il racconto. Mi concentro sugli aspetti della storia che vuole raccontare attraverso la musica, sulle emozioni che vuole descrivere attraverso il sottotesto musicale. Da questo confronto nascono le idee, e dalle idee nasce la mia musica.
Diverso è l’approccio nel caso in cui venga coinvolto a film (o serie) già girato, o addirittura già montato con musiche di appoggio. In questo caso si lavora direttamente sulle scene, proponendo dei temi o delle sonorità al regista e al montatore, lavorando insieme sui sincroni. Anche in questa fase il rapporto con il regista è fondamentale, per comprendere il carattere, la forza, la puntualità che la musica deve avere rispetto al racconto e rispetto ai sincroni.

2) A mio avviso, il linguaggio musicale delle colonne sonore sta profondamente cambiando. Oggi l’orchestra è solamente uno dei possibili colori che un compositore ha sulla sua tavolozza.
La musica elettronica sta entrando in maniera sempre più preponderante nel linguaggio cinematografico, mischiandosi attraverso i suoi colori con la musica acustica e sinfonica, rendendola “ibrida”. Anche in contesti orchestrali ascoltiamo sempre più loop e pad elettronici. Così ad esempio, un tema suonato in stile romantico con un violoncello, è supportato da ritmiche acide ed elettroniche, risultando a volte più “moderno” e “accattivante”. Per non parlare poi, soprattutto nella cinematografia americana e anglosassone, dell’utilizzo di musica Pop, Indie e Rap all’interno di film anche ad alto budget.

3) Quando ho la possibilità di lavorare direttamente sulla sceneggiatura, preferisco anticipare i tempi della temp track e scrivere dei brani quanto più possibile vicini alle tracce definitive. I mezzi odierni e la tecnologia permettono di realizzare in un proprio studio brani di ottima qualità. In questo modo il regista e il montatore possono rendersi immediatamente conto del risultato finale. In alcuni casi, a seconda del colore del brano, mixo suoni acustici e suoni campionati per rendere meglio la sensazione finale, in modo che il regista non debba “immaginare” l’emozione, ma possa sentirla.

4) Mi viene in mente un aneddoto curioso, su un brano scritto per la Serie Tv, Terra Ribelle. Trattandosi di una serie in costume la colonna aveva molti temi realizzati con orchestra sinfonica, coro, e voci soliste. In alcuni particolari momenti però, un pianista suonava un malandato pianoforte stile Honky Tonk, nell’angolo fumoso di una locanda. La colonna aveva più di cento brani (tra principali e non) tutti approvati da regia e produzione, tranne questo famigerato “Brano della Locanda”. Dopo una decina di proposte fallimentari perché “troppo buffe”, “troppo serie”, “troppo Saloon”, troppo “da ballo”, mi sono ritrovato in una stanza con la regista Cinzia TH Torrini che mi ha chiesto di improvvisare al pianoforte un brano su quel genere mentre mi mimava i cambi emotivi che doveva avere il pezzo. Così, in tempo reale, mentre si muoveva liberamente nella stanza alzando e abbassando le braccia come in una danza, registravo sul telefono il brano. E quella versione ha convinto tutti!

5) Credo di aver cominciato a desiderare di scrivere musica all’età di due anni. I miei genitori mi regalarono un “mangia dischi” e da lì fu amore per la musica a primo… ascolto! Credo di aver avuto sempre una grande curiosità e questo sicuramente mi ha aiutato. E ho sempre lavorato per realizzare questo sogno.

6) E’ bello entrare in un negozio di dischi… (ne esistono ancora molti?) e vedere un tuo album tra i CD delle colonne sonore. Sembra il coronamento ultimo di mesi di lavoro, credo sia una bella soddisfazione. Temo però che nell’era della società liquida appartenga sempre di più al passato, società in cui l’ascolto della musica e la visione di un film avvengono attraverso internet e in cui per molti, il possesso di un CD e del DVD è “fuori moda” e “out”. Mi piacerebbe vedere i due “mondi” convivere, ma temo che tutto accadrà sempre più senza supporti “fisici”.



Christopher Slaski (compositore di Proyecto dos, Beyond the Sea, Semen, una storia d’amore)

1) Quando mi preparo a lavorare sul film per la prima volta sono sempre impressionate dalle infinite possibilità a disposizione. Comincio sempre facendomi alcune domande: Che stile di musica potrebbe funzionare? Quali strumenti dovrebbero suonare? Quando dovrebbe iniziare e finire la musica? La scena ha bisogno di un brano musicale che crea l’atmosfera o piuttosto di un tipo di musica che racconta ogni sviluppo drammatico? Ma più di tutto, cerco sempre di trovare il ritmo interno di una scena, il quale è determinato dalla velocità e dallo stile del montaggio, ma anche dai movimenti della macchina da presa e dal ritmo del movimento degli attori o da quello degli eventi rappresentati. Tutti questi aspetti vanno valutati in modo preciso se si vuole avere una musica che funzioni e che supporti il film nel miglior modo possibile e allo stesso tempo essere naturale. Il mio obiettivo principale è rendere la musica essenziale, come se abbia sempre vissuto attaccata al film.
Tento di scovare un approccio fresco ed originale, magari confondendo le acque oppure combinando strumenti insoliti. A volte la partitura può aggiungere espressività e significati senza cui le immagini da sole racconterebbero solo metà della storia. Se la musica riesce in questo, allora secondo me significa che sta facendo la cosa giusta, poiché sta aggiungendo un contributo importante anziché replicare soltanto ciò che è già presente sullo schermo. E dunque fintanto che la musica supporta la storia e non toglie nulla alla loro visione, ho sempre trovato registi molti disponibili ai miei tentativi di aggiungere una dimensione ulteriore ai loro film
Il processo di scoprire il linguaggio musicale è quindi molto preciso e certosino e, per quanto strano possa sembrare, mi piace pensare che la musica di un dato film esista già, ma si nasconde dietro le immagini e la performance degli attori. Il compito del compositore è trovare questa musica e tirarla fuori dal suo nascondiglio. Le idee mi vengono a volte quando sto camminando per strada. Altre volte una soluzione si presenta durante la notte. E la mattina seguente torno nel mio studio e ho risolto il problema, come se il subconscio è rimasto al lavoro durante il sonno.
Una volta che ho messo giù le idee iniziali, proseguo applicando la musica alle immagini, per essere certo che la sincronizzazione sia corretta, che supporti il film e, allo stesso tempo, che sia musicalmente interessante. Non mi soddisfa scrivere musica esclusivamente funzionale. Idealmente voglio che abbia una sua qualità, un certo grado di sofisticazione, eleganza e interesse come musica in sé. In altre parole, vorrei che la musica sia capace di reggersi sulle proprie gambe anche senza il supporto delle immagini, poiché secondo me è questo che fa la migliore musica per film.
Mi ritengo anche molto fortunato di essere in grado di sentire precisamente nella mia testa ciò che scrivo su pentagramma, anche nella sua forma orchestrale finita. Dunque dopo una fase iniziale, non scrivo al pianoforte. Slegandomi dalla tastiera e permettendo alla musica di scorrere liberamente nella mia testa, non sono più inibito. E’ una sensazione liberatoria, e in questo modo evito anche di ripetere sempre gli stessi schemi familiari. Penso che sia un grande vantaggio distaccarsi dalla tecnologia e provare a concepire la musica solo nella mia testa, poiché la mia mente non è limitata da fattori fisici o tecnici. Tutto quanto, sia esso il suono, il ritmo o la tessitura è potenzialmente possibile con la sola immaginazione. Uso il pianoforte per controllare ciò che scrivo e, ovviamente, uso i computer per realizzare i mock up come dimostrazione per il regista e per fargli capire come funziona in sincrono con le immagini.

2) Un musicista creativo ed ispirato scriverà sempre musica creativa ed ispirata qualunque sia la combinazione di suoni che sceglie di usare, sia essa acustica, campionata o elettronica. La musica può essere bella, brutta o indifferente indipendentemente dagli strumenti o dai suoni che la riproducono. La mia regola è trovare la soluzione musicale più elegante in base al budget che ho a disposizione e se c’è la possibilità di avere musicisti reali, tanto meglio. La performance dal vivo aggiunge moltissima qualità ed espressività. Non c’è nessuno standard quando si tratta di lavorare con un gruppo di musicisti: infatti raramente ho usato una grande orchestra sinfonica nei film in cui ho lavorato. Ho sempre messo insieme un gruppo specifico di persone a seconda del progetto a cui stavo lavorando e, cosa più importante, ho lasciato che fossero i film a suggerirmi la scelta giusta. E dunque può essere un quintetto jazz, un ottetto di archi con strumenti a fiato solisti o con due pianoforti oppure un coro. Davvero, qualunque cosa è possibile e credo che si debba essere ugualmente creativi sia che si stia usando un solo strumento oppure cento. Le possibilità in termini di colore, dinamica, melodia, contrappunto ed espressività sono infinite con uno strumento come il pianoforte, ad esempio. Ho sempre adorato il suono dello strumento solista nella musica per film: puoi sentire l’aria di 4 flauti bassi che suonano all’unisono, la malinconia di un fagotto solitario che suona nel registro più acuto, la struggente qualità di un violoncello solo, l’attacco di un fortissimo sulle note gravi di un pianoforte. In questo senso preferisco lasciare il ruolo principale allo strumento solista piuttosto che optare per un suono sinfonico omogeneo. Nel mondo della musica assoluta, per quanto mi riguarda, Stravinsky è il re, le sue orchestrazione sono sempre lucide, pungenti e perfettamente bilanciate. Anche i suoi lavori per grande orchestra suonano come musica da camera. Due grandi compositori contemporanei che hanno questa abilità sono John Adams e Steve Reich. L’integrazione di strumenti reali con quelli campionati è oggi una pratica molto diffusa, anche se io preferisco farlo per ragioni pratiche oppure creative. In termini pratici, il suono di un pizzicato d’archi campionati può essere molto più chiaro e d’impatto, mentre in termini creativi, i samples possono essere facilmente manipolati tramite l’elettronica per produrre nuovi suoni. E’ possibile inoltre ottenere effetti che sarebbe poco pratico riprodurre con musicisti reali, come ad esempio alcuni strumenti etnici o suoni di percussione, piuttosto che tecniche contemporanee insolite che si possono ottenere soltanto da alcuni esecutori particolari dopo ore di prove.
In termini di software, uso Logic, Protools e una collezione di sample library per produrre i miei demo, come ad esempio Vienna Symphonic Library o l’ottima Spitfire. Ciò che mi preme sottolineare è che non importa quanto tempo si spende a perfezionare e mixare i propri demo, così come non conta quanto bella sia la tua sample library, quando si registra con musicisti veri c’è un incredibile salto di qualità in termini di dinamica e ricchezza espressiva. I samples, anche se ben utilizzati, tendono a suonare piatti mentre una registrazione manterrà sempre una grande ricchezza anche se ascoltata a basso volume. Tutto ciò è ancora più importante nel cinema, dove la musica spesso è in accompagnamento al dialogo.

3) Il primo passo è la sessione di “spotting” e posizionamento delle musiche. Guardo l’intero film dall’inizio alla fine insieme al regista, il produttore e il montatore, decidendo quali scene hanno bisogno della musica e quali invece no. Una volta deciso questo, rimane aperta la domanda di cosa la musica debba fare e quale sia il suo scopo.
Queste sedute possono essere molto interessanti, ma anche molto intense. Il regista ottiene per la prima volta una reazione al suo film da qualcuno che fino a quel momento è stato al di fuori della lavorazione e gli si chiede di analizzare il loro film, qualcosa che può essere anche complicato per loro. Molto spesso si sentono vulnerabili ed è una cosa che posso capire benissimo, dato che vivo sensazioni molto simili quando devo presentare per la prima volta le mie proposte musicali. E dunque, dopo che la lista dei brani con tanto di descrizione e durate è stata preparata, comincio a scrivere. E’ la fase più reclusiva del lavoro, in cui sono sempre da solo. Mi faccio compagnia da solo per diversi mesi, spesso senza molti contatti col mondo esterno, immergendomi completamente nel film. Anche dopo tanti anni che faccio questo mestiere, il mio procedimento è sempre lo stesso. Le immagini sono una potente ispirazione quando scrivo musica, dunque dal momento in cui vedo il film comincio a sentire la musica nella mia testa e a prendere decisione su cosa può funzionare, cosa può far emergere un aspetto che non è necessariamente presente nelle immagini, ma che si nasconde dietro di esse. Leggere la sceneggiatura può essere d’aiuto, ma non evoca gli stessi pensieri quanto riescono a fare le immagini, almeno per me.
Il film mi offre molti suggerimenti sulla musica che devo comporre. A volte comincio con un semplice tema o una serie di accordi, oppure immagini un colore o una tessitura particolare suggerita dall’atmosfera del film o dal protagonista. Successivamente comincio a improvvisare con la scena, come se si trattasse di un film muto, per stimolare una risposta istintiva. Tramite questo processo di tentativi ed errori, dopo un pò trovo l’idea musicale che funziona e che riesce a sottolineare la carica emotiva della scena e a sembrare naturale.
Contrariamente a quanto succede quando scrivo un pezzo di musica assoluta, in cui penso prima alla struttura, la musica di un film deve obbedire alle necessità del racconto. E dunque il film diventa la struttura per la musica stessa. Ho la possibilità di scrivere temi per i personaggi e per le situazioni, che posso usare ogni qual volta si presentano sullo schermo. A seconda della situazione, questi temi possono essere presentati in modi diversi. Si possono isolare oppure combinare insieme alla fine del film, quando tutti i nodi vengono al pettine. Tutto ciò aiuta ad unificare il film e a dare una sensazione di conclusione.
Quando si lavora con lo stress della consegna, è vitale che io riesca ad applicare economia di mezzi con la mia produttività. Ad ogni modo, troppe idee diverse per un solo film possono diventare controproducenti per il pubblico e rischiano di far sembrare la colonna sonora come una collezione di materiale sparso. Il mio obiettivo è creare un senso di unità e di logica. Un paio di buone idee sviluppate con intelligenza ed immaginazione, ripetute con le dovute variazioni nel corso del film, sono più efficaci. E’ questo ciò che intendo con economia di mezzi.
Al di là dei miei istinti e del mio linguaggio musicale, l’altro fattore guida è ovviamente il regista. Si spera che egli o ella abbia sempre un concetto chiaro di ciò che vogliono comunicare con il film, ma non necessariamente che sappiano come la musica riesca ad aiutarli in questo senso. Alla fine di tutti, il film rappresenta la visione personale del regista, ed io devo aiutarlo a completare la sua missione. Non sono lì per imporre la mia visione. La situazione ideale è quando il regista riesce a spiegare chiaramente cosa si aspetta dalla musica. In questo modo possiamo diventare partner creativi e raggiungere un comune obiettivo. In pratica ciò che spesso accade è che nessuno, incluso me stesso, sa veramente cosa funzionerà all’inizio del processo creativo. E’ come entrare in una stanza oscura e tentare di trovare la via.
La tecnologia che abbiamo oggi a disposizione ci consente di fare grandi cambiamenti durante la fase di composizione. Ad esempio, grazie ai demo, il regista e il produttore possono immediatamente farsi un’idea di come sarà la musica appena dopo che ho terminato di scrivere. Vengono nel mio studio, oppure gli spedisco i file audio, e possono verificare immediatamente posizionando la musica sulle immagini cosa funziona, capire come la musica prende forma ed ascoltare differenti proposte, fare commenti e suggerimenti. Direi che al giorno d’oggi scrivere musica da film è un processo molto più collaborativo di quanto non fosse in passato. Ovviamente ci sono sia svantaggi che vantaggi in tutto questo, ma fa parte della sfida.
Solitamente scrivo a mano una bozza a sei pentagrammi, dopodiché, una volta approvata dal regista, comincio a orchestrare direttamente sul manoscritto. Scelgo i musicisti che devono suonare e poi vado a registrare. Per ragioni di tempo e velocità, preferisco registrare a Londra, ma mi è capitato di farlo anche altrove.
Devo aver a che fare con le temp track molto spesso, poiché quasi tutti preferiscono montare il film su brani preesistenti, anche se questi poi non saranno nel film finale. Questo posizionamento temporaneo è generalmente fatto dal regista e dal montatore per aiutarli a dare ritmo alle scene e a dare un senso di come può essere il film in forma quasi finita. Quando scrivo per un film mi auguro sempre che possa fare meglio della temp track! A volte è uno strumento utile, ma è anche pericoloso. I filmmaker rischiano di abituarsi alla musica temporanea e qualunque cosa io possa proporre rischia di non avere su di loro il medesimo impatto che ha la musica temporanea. Tutto ciò può far sì che il compositore si senta forzato a copiare la temp track per soddisfare i committenti. Questa è forse la ragione per cui molte colonne sonore oggi sembrano un pò tutte uguali e mancano di personalità. La musica temporanea deve essere solo una guida. Io solitamente chiedo di guardare il film senza musiche temporanee poiché non voglio essere influenzato dalla musica di qualcun altro. A volte può aiutare a dare un’idea più chiara di ciò che può fare la musica in una scena e a far capire cosa ha in mente il regista. Praticamente tutto oggi è montato su una temp track, dai film alla tv fino alla pubblicità. Credo che siano pochissimi i registi che non usano musica temporanea durante il montaggio. So che Polanski non lo fa, così come Almodovar. Ci vuole una grande disciplina per montare un film senza l’aiuto della musica, che rischia a volte di far soprassedere su ciò che non funziona veramente. Anche se la musica fa sembrare che scompaiano, i problemi rimangono e il pubblico se ne accorgerà facilmente. Essendo cresciuto con le musiche riconoscibili di autori come Ennio Morricone, John Williams, Lalo Schifrin, Philippe Sarde, Jerry Goldsmith, Nino Rota, John Barry e molti altri, rimango deluso da molta musica da film contemporanea. Gran parte di essa è tutta uguale, come se fosse scritta sempre dalla stessa persona. E’ molto facile capire da dove arriva la temp track quando si ascolta una colonna sonora odierna. In questi casi il compositore è stato obbligato a emulare la musica temporanea. Questo metodo ha portato la musica da film a diventare piuttosto blanda e generica, poiché non ci sono più le impronte di una personalità vera. Mi riferisco soprattutto alla musica da film hollywoodiana, che spesso viene usata come temp track di altri film e serie tv, forse nella speranza di emulare il successo di uno stile musicale che funziona al box office o di acchiappare il gusto del pubblico contemporaneo. Non ho una risposta certa, ma sento che stiamo perdendo qualcosa, l’essenza di ciò che ha reso speciale questa disciplina in passato. Oggi anche la musica per film è globalizzata. Il rischio è quello di far sparire le singole identità. Un pò come accade nella lingua parlata, ogni paese ha le sue specificità storiche e culturali, dunque trovo sbagliato imporre uno stile di musica hollywoodiana, che nasce da una tradizione specificamente americana, anche a produzioni francesi, spagnole o tedesche. Ciò detto, ci sono moltissimi compositori di talento che lavorano nell’industria odierna e che riescono a mantenere una forte identità personale nonostante le enormi pressioni a cui sono sottoposti. Alberto Iglesias e Alexandre Desplat sono i primi due esempi che mi vengono in mente. Ho una grande ammirazione per entrambi.

4) Davvero, ogni progetto è stato una sfida. Anche se le sfide migliori sono quelle in ambito creativo. Questo tipo di sfide sono altamente soddisfacenti da superare perché ti obbligano a scavare nella tua creatività, nella tua tecnica e nel tuo intelletto. Senza andare troppo per le lunghe, direi che la sfida più grande che devo affrontare ogni volta è trovare il tono giusto per il film e allo stesso tempo soddisfare il regista, che ovviamente avrà sempre le sue idee e i suoi gusti. L’aspetto collaborativo della musica da film è quello più impegnativo. Anche se lavoro da solo, devo sempre ricordare che sono parte di una squadra.

5) Ho cominciato come pianista e organista, all’età di cinque anni. Ho cominciato a comporre in adolescenza. La vita del concertista non mi interessava e dunque mi sono chiesto come riuscire a campare con la musica. Scoprii che spesso c’era musica molto interessante che accompagnava i film e dunque cominciai ad ascoltarla con più attenzione e decisi infine che era una disciplina che meritava di essere esplorata. Ricordo che assistetti per la prima volta a una sessione di registrazione presso gli Abbey Road Studios di Londra: vedere la grande orchestra, lo schermo alle loro spalle e il direttore che dava le indicazioni per un brano d’azione molto veloce fu una grandissima emozione, che mi fece rendere conto ancor di più di quanto il film prendesse vita grazie alla musica. Fu chiaro per me capire dalla sala di controllo ciò che il compositore aveva fatto. Da quel momento decisi di diventare un compositore di musica per film. I miei primi progetti di musica applicata furono brani per musica di accompagnamento per piece teatrali all’università, ma all’età di 22 anni ebbi la mia prima esperienza con un film. Un produttore aveva ascoltato alcuni dei miei pezzi per il teatro e mi contattò per un suo progetto, si trattava di un thriller molto violento. Mi trovai esposto a qualcosa che non mi aspettavo, non era il genere di film che mi interessava, ma fu una grande occasione per imparare molte cose.

6) E’ molto importante. C’è qualcosa di magico nell’avere un CD o un disco nelle proprie mani. E’ una cosa che mi dà molta soddisfazione. Il digital download è un’ottima opzione secondaria, ma per quanto mi riguarda preferisco sempre il CD.



Fabrizio Campanelli (compositore di Solo un padre, Soy la otra Cuba (doc), Fukushima: a Nuclear Story (film/docu) (in onda su sky cinema cult e sky tg24 l'11 Marzo), Nemiche per la pelle)

1) Sceneggiatura e messa in scena sono i due elementi fondamentali nel dettare la scaletta e i tempi del lavoro, procedendo dal generale, la tematica, al particolare, il commento scena per scena. La musica per immagini corre come un treno su due binari: la funzione e l’estetica. Il primo, la funzione, è condizione necessaria per scrivere una buona colonna; se la musica funziona si “incolla” alla scena e i due flussi, sonoro e visivo, si integrano in un tutto che è più della somma delle parti. La funzione non è un mero “servizio” alle immagini, né una mera “applicazione”. E’ il veicolo del senso di ciò che è dentro le immagini ma che non si vede; è scritto nel movimento, nel colore, nella mimica, nella storia dei personaggi, nell’intenzione, nella parola. Sta alla sensibilità del compositore coglierlo ed esporlo di volta in volta nel modo più opportuno, in quel modo che contribuisce a formare uno stile. Il secondo binario è quello estetico ed è intrinseco alla forma musicale in sé. E’ in grado di elevare la percezione della colonna e di distinguerla, donando allo stesso tempo profondità al film. Vi possono essere due musiche che “funzionano” altrettanto bene, ma una può essere più ricca, interessante, bella, innovativa di un’altra che invece può essere banale, scontata, retorica, o semplicemente brutta. Ad esempio, in molti blockbuster “fracassoni” hollywoodiani appaiono brani di commento perfetti dal punto di vista funzionale ma talmente anonimi e banali da essere interscambiabili perchè per diverse ragioni sono molto carenti nella forma. Viceversa John Williams o Thomas Newman sono l’esempio perfetto di chi riesce a raggiungere il massimo livello di commento e di valore estetico musicale al tempo stesso. In quel caso è bene parlare di Arte.
Ogni volta che approccio un progetto spendo tutto me stesso per cercare di dare il meglio che posso su entrambi i binari partendo dal tema, quello che considero il fattore chiave e che porta dentro implicitamente anche le future orchestrazioni, riarrangiamenti e derivazioni. Dedico moltissimo tempo alla sua costruzione.

2) Ogni strumento, elettronico o acustico ha una sua espressività che non può essere sostituita. Se non ci sono abbastanza risorse preferisco usare l’organico più piccolo possibile, ma reale piuttosto che far fare agli strumenti virtuali cose che non possono fare, se non a prezzo di una lunga e quindi costosa programmazione che comunque non potrà mai avere la ricchezza, lo spessore e la naturalezza dell’insieme di una esecuzione organica, a partire dal timbro, dagli armonici per arrivare alla risposta d’insieme della sala o della stanza. Proprio per questo alcuni hanno iniziato a offrire sul mercato librerie di campionamenti di fraseggi strumentali dall’ottima resa acustica, con l’ovvio limite di essere dei pattern precostituiti che poco hanno a che vedere con una scrittura originale. Se si rende necessaria o è richiesta in partenza una musica con determinate caratteristiche e non vi sono affatto risorse per raggiungere l’obiettivo, al netto di tutti i sacrifici che la povertà del nostro mercato cine-musicale già impone ai compositori e agli editori per avere il massimo possibile col minimo possibile, se non vi sono risorse dicevo, sto fermo. Nel mio piccolo cerco sempre di far cogliere a chi è stato per varie ragioni indotto a formarsi delle idee fuorvianti o illusorie, le differenze fra una vera esecuzione e un provino fatto con suoni campionati. Vero è che la catena di scrittura, esecuzione, registrazione e missaggio non deve avere “anelli deboli” e le orchestre in grado di fornire lettura ed esecuzione impeccabili non sono proprio ovunque. Ma sarebbe l’ora di finirla di far credere alle persone che un computer possa sostituire la ricchezza comunicativa ed espressiva di organici interi. E’ come pretendere di far recitare Dante a un navigatore di un’auto.

3) Il tempo a disposizione gioca un ruolo fondamentale. In ogni caso la gestione della tematica musicale è il fattore per me fondamentale che mi assorbe molto tempo ed arrivo a scrivere una discreta quantità di temi prima di arrivare a quello che reputo giusto, mentre ovviamente la gestione delle scene e del discorso narrativo generale domina le fasi successive in cui la visione si ripeterà molte volte. Leggere la sceneggiatura è naturalmente utile, ma la messa in scena e il montaggio sono in grado di cambiare tutto ciò che si era immaginato, anche in modo radicale. Per questo la fase più delicata di scrittura sulla scena entra in gioco quando paradossalmente proprio il tempo inizia ad essere tiranno, ovvero dopo una messa in fila che abbia un senso. Ma se i temi sono buoni permettono agevolmente la loro scomposizione e ricomposizione descrittiva sulla scena, anche perché incorporano al proprio interno le ramificazioni arrangiative possibili. Sono favorevole alla temp track se fatta bene e gestita da un regista “laico” per quanto riguarda la sua gestione, ma il gioco è pur in mano ai montatori e mentre alcuni hanno una visione organica del flusso audiovisivo, altri non hanno la capacità o la sensibilità di ragionare in partenza con dei riferimenti musicali adeguati. Per questo la figura del music editor è centrale nel mondo anglosassone, sebbene da noi non ci siano risorse per impiegarla; nei casi più infelici si rischia di faticare e lavorare fisicamente il doppio non solo per scrivere nella maniera corretta, ma anche per correggere impostazioni sbagliate in partenza e difficili da sradicare successivamente. In generale se la musica viene scritta adeguatamente sulla scena, avrà una sua personalità così forte da rendere obsoleti e non più “a fuoco” i brani temporanei. Vi sono montatori che hanno un background da musicisti, anche amatoriali e questo può rendere la vita di un compositore molto più facile e naturale in quanto il lavoro di editing sarà sviluppato non solo incorporando, ma anche utilizzando la musica anche come vero e proprio strumento di montaggio.

4) Essendo la musica veicolo di una struttura di senso e non un linguaggio a se stante dotato di referente come quello verbale, gli equivoci che nascono dalla verbalizzazione proprio del senso che deve avere un brano applicato a una scena sono i più strani. Mi è capitato in qualche caso di dover fare provini di stile sempre diverso per arrivare a capire, ma soprattutto a far capire al cliente di che cosa egli stesso avesse bisogno perché ciò che realmente voleva era distante anni luce da ciò che chiedeva!

5) Come in qualsiasi altra attività lavorativa ciò che offri deve coincidere con ciò che ti viene chiesto e questa è la ragione per cui penso che siano gli altri a scegliere in definitiva il tuo lavoro. Ho iniziato a suonare il pianoforte a 6 anni e ad amare la musica in quanto tale e non i suoi generi particolari. Amavo Beethoven e i Duran Duran, il mondo classico con cui ho avuto a che fare fin da bambino e il pop. Non mi è mai interessato espormi in primo piano e quindi non ho mai avuto e tantomeno ho tuttora l’attitudine e l’interesse a sviluppare la mia inclinazione musicale in termini concertistici: ho sempre subito il fascino della scrittura musicale capace di evocare universi, psicologie, sogni a occhi aperti e soprattutto sono sempre stato rapito dalla magia della sintesi di immagini e suoni. Ho iniziato a comporre per me stesso, poi per corti, poi per pubblicità, poi per film e documentari cercando ogni volta di fare meglio della precedente e cercando di provare di fronte a me stesso un infinitesimo di quell’estasi che i grandi geni hanno saputo regalarmi ad ogni visione, ad ogni ascolto.

6) Il disco, di qualsiasi materiale fosse, aveva ed ha ancora il pregio di racchiudere in un involucro la sensazione tangibile di un’idea e questo aiutava a trasferire sulla musica l’impressione del peso e dell’intensità di una produzione. La perdita di questa sensazione non mi fa stare a mio agio e ho l’impressione che si sia sempre più accompagnata a un’abitudine di ascolto media più volatile, meno selezionata e forse più distratta. Il vantaggio indiscusso di avere a disposizione quasi tutto a portata di click è legato allo svantaggio di una distruzione del mercato così forte da aver ridotto ai minimi termini i budget per produrre qualsiasi cosa, musica per il cinema compresa, a tal punto da mettere in discussione l’idea stessa di libertà creativa. Se il mercato e quindi l’acquisto di un album o di un brano garantiva come unica precondizione il gradimento dello stesso, la sua scomparsa comporta la dipendenza dell’attività creativa da chi la produzione la può garantire, quindi o lo Stato o il capitale privato e questo, non lo nascondo, mi provoca non poca inquietudine.

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