Una lunga sequenza di ricordi cine-musicali: intervista esclusiva a Maurizio De Angelis

foto_maurizio_de_angelis 4.jpgUna lunga sequenza di ricordi cine-musicali: intervista esclusiva a Maurizio De Angelis

a cura di MASSIMO PRIVITERA, CARMELO MILONE e GIULIANO TOMASSACCI

Se vi nominiamo Sandokan, Zorro, Altrimenti ci arrabbiamo, Piedone lo sbirro, Porgi l’altra guancia, Uno sceriffo extraterrestre…poco extra e molto terrestre, Furia, Più forte, ragazzi! e l’elenco potrebbe continuare all’infinito, chi o cosa vi viene subito in mente?
Dai, un piccolo sforzo?! Volete un aiutino come si fa nei quiz in TV?
Se vi diciamo Oliver Onions ne venite a capo?
Su, ora la risposta alla nostra semplice domanda sorge spontanea ed è di quelle che dopo i succitati titoli dite subito “ce l’avevo sulla punta della lingua!”.
Parliamo di due celebri compositori di musica per immagini che hanno fatto la storia del piccolo e grande schermo con un curriculum di oltre 200 colonne sonore e sodalizi con grandi registi del calibro di Luciano Salce, Enzo G. Castellari, Steno, Sergio & Bruno Corbucci, Leandro Castellani, Michele Lupo, Duccio Tessari, Damiano Damiani, Dino Risi e tantissimi altri nomi che hanno reso importante il nostro Cinema abbracciando e rinnovando diversi generi, come ha fatto questa coppia di autori cine-musicali con il loro particolare sound, inconfondibile ed unico. Parliamo ovviamente dei fratelli Guido & Maurizio De Angelis, anche noti con lo pseudonimo di Oliver Onions (e non solo, come leggerete!), che hanno vinto il Nastro D’Argento per le musiche di Più forte, ragazzi! di Giuseppe Colizzi del 1972.       
Le loro partiture e soprattutto canzoni hanno contrassegnato un’epoca d’oro della Settima Arte e dei film di scazzottate della coppia ineguagliabile di Bud Spencer & Terence Hill: gli anni ’70 e ’80 grazie al loro stile musicale hanno visto una svolta nello scoring tradizionale dei film polizieschi, western e comici, ma anche nello sceneggiato, nei telefilm e cartoni animati con OST quali Rocky Joe, Furia, Galaxy Express, Sandokan, Orzowei, 40 giorni di libertà.
Nel loro caso, parlare di Mito della Film Music non è affatto esagerato!
E noi di Colonne Sonore abbiamo avuto, per la seconda volta, dai tempi della rivista cartacea (leggete l'intervista), l’onore e il piacere di poter intervistare - anzi no - chiacchierare lungamente, senza filtri e senza imbarazzi, dandoci subito del “TU”, con Maurizio De Angelis (classe 1947), il quale, pur febbricitante, ci ha accolto nella sua splendida casa di Monte Porzio Catone, in provincia di Roma, con grande affetto e simpatia, nonché una cortesia spiazzante che ci ha affettuosamente dapprima imbarazzato e subito dopo messo amichevolmente a nostro agio. E’ raro, e lasciatevelo dire da noi che ne abbiamo conosciuti di compositori in oltre dieci anni di interviste per la nostra rivista ad autori straconosciuti e seminoti, incontrare un nome noto della musica applicata, in questo caso un Grande Nome, ed avere la sensazione di essersi sempre conosciuti, come vecchi amici, e poter parlare con enorme sintonia e naturalezza per oltre tre ore, parlare in piena libertà ed avere alla fine dell’intervista in regalo un raro LP autografato con affetto e stima. Insomma, una chiacchierata amichevole e sincera che non dimenticheremo mai!

Massimo Privitera: Mi fa piacere cominciare col ricordare Ermanno Comuzio, uno dei più importanti critici di colonne sonore ed autore di uno dei primi dizionari dei musicisti del grande schermo, edito la prima volta all’inizio negli anni ‘70 con Il formichiere e una seconda, più ampia e aggiornata, agli inizi degli anni 2000, con tanto di CD-Rom. Bene, Comuzio ebbe a parlare di voi già nella prima edizione del suo dizionario. Era il periodo in cui facevate parte dei Black Stones e suonavate al Piper.  Comuzio vi chiamò “ditta collaudata”, che trovo molto bello. Ti chiedo: come siete passati dalla musica leggera, facendo i turnisti alla RCA e arrangiando per Baglioni, Fidenco, Gabriella Ferri, Lucio Dalla, ecc. alle colonne sonore per il cinema, cominciando col suonare composizioni di altri?

foto_gm_deangelis.jpgMaurizio De Angelis: Ho sempre suonato molto volentieri, facendomela anche addosso... perchè ero un ragazzino, una new entry. Ho avuto l’onore di suonare il banjo per Ennio Morricone in occasione di C’era una volta il West. Ero un elemento di rottura e, nonostante la qualità ed il rigore della scrittura di Morricone, ebbi il permesso di fare qualche “acciaccaturina”, cioè quelle cose che sono inscrivibili. Anzi, li puoi anche scrivere, ma dipendono essenzialmente dall’interprete, da chi suona lo strumento. Cominciai a farmi un nome con questo nuovo tipo di sonorità che erano molto richieste all’epoca, perchè dall’America ci arrivavano sonorità nuove, diverse, non tradizionali. In Italia c’era ancora un sapore abituale dell’orchestra, perciò aggiungere elementi che semplificassero, come le chitarre folk, era un fatto nuovo. La cosa poi venne utilizzata a sproposito, poiché volevano mettere chitarre folk anche quando un brano non era affatto folk!  In una canzone di Peppino Gagliardi, tanto per fare un nome, la chitarra folk era un pò fuori luogo. Comunque, erano bellissimi i motivi di Gagliardi, persona squisita e professionalmente molto preparata. Ad ogni modo, c’era una grande voglia di innovazione, perciò aggiungevamo nuove sonorità negli arrangiamenti. Del resto le richieste erano tante, lo stesso Morricone le utilizzava, ed io ho avuto l’onore di suonare con straordinari chitarristi come Mario Gangi, Bruno D’Amario, Baroncini, tutta gente che faceva i turni per l’orchestra. Ero l’ultima ruota del carro, avevo 19 anni, ma è stata una grossa scuola per me, dove ho potuto “rubare” le tecniche e lo stile di vita dello studio di registrazione. Intendo dire che bisognava avere un occhio al direttore, l’altro al microfono e poi fare attenzione a memorizzare quando dovevo attaccare, insomma una sorta di segnaletica che è necessario imparare bene. Abbiamo iniziato a fare arrangiamenti con i Black Stones, proponendo una serie di brani da fare ascoltare ai discografici dell’epoca, ovvero la RCA. Ci fecero fare un disco che, ancora oggi, quando ci capita, lo ascoltiamo con grande nostalgia. Dopo questo disco, alla RCA si sparse la voce che c’era un gruppo, tra cui un chitarrista ed un flautista, cioè mio fratello Guido, e ci chiesero se era di nostro gradimento fare degli arrangiamenti prescindendo dai Black Stones. Abbiamo fatto dei provini, poi siamo passati alla registrazione, dove c’erano degli arrangiatori del calibro di Morricone, Piero Pintucci, Louis E. Bacalov, Franco Micalizzi, Stelvio Cipriani... Quest’ultimo è stato l’arrangiatore del nostro primo 45 giri insieme ad altri 4 elementi, tra cui Stefano Torossi e Vincenzo Micocci, il top dei discografici.
Ci proposero di fare degli arrangiamenti e il primo fu per Nico Fidenco, una cover. Potete immaginare l’estrema cura con cui abbiamo riprodotto quella cover americana. Cominciammo a lavorare con un registratore a 6 piste, poi ad 8, poi ancora a 16 per arrivare a 24 che, agganciato, diventava a 48 piste. Prima di questo multipista, ogni volta che si sovrapponeva uno strumento, la registrazione generale veniva passata su un altro nastro perdendo di qualità, quindi, se si aggiungevano ad esempio 10 strumenti, la qualità scadeva di 10 volte. Mi ricordo che nel nostro disco c’erano alcuni pezzi che, per sovrabbondanza di sovrapposizioni, il basso non si sentiva più! Abbiamo continuato con gli arrangiamenti fino a quando Micocci ci propose di arrangiare una vecchia canzone di Ettore Petrolini, per una nuova versione da far cantare a Nino Manfredi, “Tanto pe’ cantà”. La nostra risposta fu ovviamente di sì, ma ci fu anche una fase di riflessione. A questo proposito, devo dire che mio fratello Guido è stato sempre quello che ha osato di più. Questo disco venne registrato nello studio di Via Pola, la “Dirmaphon”. Manfredi lo presentò a Sanremo come ospite d’onore, mentre io ebbi l’incombenza di dirigere l’orchestra. Ero molto emozionato, allora Sanremo era Sanremo, non c’era il varietà che c’è adesso, con gli interventi dei comici che spostano l’attenzione, mentre invece dovrebbe restare nell’ambito musicale. Nino Manfredi fu il vincitore virtuale e furono venduti una marea di dischi, con grandi vantaggi per la casa discografica. Noi, che eravamo ancora i ragazzi di bottega, ricevevamo un piccolo compenso ma, era tanta la gioia di approcciare l’ambiente, che avremmo lavorato anche gratis, perchè la vita ci aveva offerto di fare qualcosa che ci piaceva e questo era già molto importante. Successivamente, Manfredi ci chiese di comporre la colonna sonora per un film che lui stesso avrebbe diretto, Per grazia ricevuta.  Naturalmente, abbiamo risposto ancora di sì...

cover_per_grazia_ricevuta.jpgMP: In quella magnifica colonna sonora, Per grazia ricevuta, ripubblicata nel 2013 dalla Digitmovies in versione integrale e che ho ascoltato con grande emozione, devo dire che, a parte i simpaticissimi “W Sant’Eusebio” e “Me pizzica me mozzica”, il brano che mi ha colpito di più e che ho davvero trovato bellissimo, è quel tema per coro, chitarra, piano scordato e flauto, cioè il “Tema di Benedetto”. Straordinario!... Uno dei brani più belli che abbiate mai composto, dove c’è anche tutto il vostro stile.

MDA: Devo dire che da un certo punto di vista quella musica rappresentava una sorta di anticipo di quella che poi sarà la “musica minimalista”. C’era infatti l’insistenza per un giro armonico, mentre il tema era piuttosto schematico ed era costituito giusto da quattro note, ma funzionavano...  Una volta il regista aveva l’esigenza di avere un tema per il suo film... ed il tema in fondo che cos’è?  È la sintesi umorale, la sintesi spirituale che, ogni volta che l’ascolti, riesce a farti rivivere nella mente immagini del film. Oppure, se non si è ancora visto il film, ti suggerisce di che tipo di pellicola si tratti. Era questo il lavoro che si faceva, dico faceva, perchè oggi non te lo chiedono più. Se si pensa che i titoli di testa non esistono più, rimangono attivi solo quelli di coda, ma non li guarda nessuno, visto che appena cominciano tutti si alzano ed escono dalla sala. Accade pure che alcune sale li taglino dopo pochi secondi!  È capitato anche a me ed ho litigato col gestore,  perciò  devo concludere che amo talmente il cinema che non  vado più al cinema! Mi compro i DVD e mi guardo a casa il film. Tornando al nostro discorso, oggi ci sono solo musiche d’atmosfera, di climi, ecco perchè non ci sono più le richieste di una volta e diventa più difficile trovare una colonna sonora dove si ascolta quello che noi siamo abituati a considerare il “tema”. Un film che mi è piaciuto molto ultimamente è La teoria del tutto, con musiche molto belle, composte da Jóhann Jóhannsson, anche se pure lì non c’è il tema come lo intendiamo noi.  
Adesso una domanda ve la faccio io: non credete che oggi si stia esagerando un pò troppo con la ricerca di atmosfere o climi, piuttosto che temi?

MP: Certo, direi proprio che c’è un appiattimento generale!

MDA: L’ultimo grande tema che ho sentito al cinema è quello de Il Gladiatore composto da Hans Zimmer, anche se nel film era usato molto poco.

Giuliano Tomassacci: E’ proprio Zimmer ad esser stato uno dei primi ad intraprendere la strada dell’atematismo e del mood.

cover_altrimenti_ci_arrabbiamo.jpgMP: Sì, ma Zimmer ha fatto cose straordinarie ultimamente. Nell’ultimo film di Christopher Nolan, Interstellar, ha scritto musiche molto belle, dove c’è un magnifico tema, a differenza delle altre colonne sonore composte sempre per Nolan, come la trilogia di Batman, in cui prevalgono particolari sonorità. Forse esagero, ma a tratti mi sembrava di ascoltare Bach...

MDA: A proposito di Zimmer, trovo che la musica composta per il primo Sherlock Holmes sia assolutamente geniale, ricchissima! Penso che oggi ci sia una certa frustrazione per i musicisti che in Italia fanno questo lavoro, credo dovuta a vari fattori. Ad esempio, per comporre una colonna sonora ti danno solo un mese di tempo, quando ti va bene... Ma la cosa più straordinaria è che ti fanno ascoltare la “temporary music” in moviola, con brani di... John Williams! Poi ti dicono: devi fare una cosa così.  C’è inoltre da rilevare che nei produttori italiani ha preso piede il principio che per abbattere i costi, il musicista più bravo è quello che costa meno.

MP: Molti giovani musicisti, lettori della nostra rivista “Colonne Sonore”, ci proponevano dei brani in cui non si coglieva nulla di musica vera e propria, si trattava solo di suoni composti al computer, legati in qualche modo tra loro, ma che da un punto di vista strettamente musicale non proponevano niente.  Sarò legato al passato, ma negli anni ‘70 – ‘80 di veri compositori ce n’erano davvero tanti!

MDA: Oggi, se fossi un editore e finanziassi una colonna sonora per una serie televisiva, lo farei per renderla vendibile e quindi rientrarci. Ma se io spendo, che so, 15.000 euro e poi questi brani non hanno una vita indipendente che mi dia la possibilità di farli ascoltare o suonare altrove, non lo produco. Purtroppo, oggi molti editori registrano per esempio tre colonne sonore, poi con lo stesso materiale ne ricostruiscono altre 5 o 6, e senza che nessuno se ne accorga!

GT: Basta  vedere  i  serial  americani, dove il  commento  musicale  è intercambiabile. Ne deduco quindi che la lezione del grande Thomas Newman è stata portata al massimo dell’esasperazione, dove i commenti sono fatti solo con 2-3 accordi.

MDA: Newman è straordinario, ha la grande intuizione nello scegliere gli accordi giusti. Lo può fare intanto perchè è bravo, poi perchè gli assicurano tempi e budget più che sufficienti.

GT: Però è suo malgrado che si è attivata questa tendenza.

MP: Già, ma ormai sono rari i casi in cui nei serial tv si trovino buone composizioni, come quella di Michael Giacchino per Lost o quella per uno dei serial più vecchi, come Doctor Who, degli anni ‘50, che dura ancora oggi. Beh, lì c’è stata una ricerca musicale fortissima.
Vorrei ora farti un’altra domanda: insieme a tuo fratello hai curato la musica di tanti sceneggiati più o meno contemporanei, Il maresciallo Rocca, Incantesimo, Titanic – Nascita di una leggenda e via elencando... allora, come vi rapportate oggi rispetto al background maturato negli anni ‘70 con sceneggiati come 40 giorni di libertà, Il Marsigliese, Sandokan, ecc... Che differenze notate con quelli di oggi?


locandina_titanic_nascita_di_una_leggenda.jpgMDA: Nel corso degli anni, c’è stata una differenziazione dei ruoli tra me e mio fratello, perchè lui è più votato alla produzione, mentre io sono rimasto mani e piedi sulla musica, lavorando da solo in questi ultimi anni e lo farò ancora finché avrò la capacità di farlo, perchè grazie a Dio questo mestiere mi piace da morire!  
Dire delle differenziazioni, cioè dei rapporti coi registi di ieri rispetto a quelli di oggi, posso accennarvi alla mia relazione con un regista irlandese, Ciaràn Donnelly, che ha realizzato il serial televisivo Titanic – Nascita di una leggenda. Questo regista ha avuto delle prese di posizione non tanto nei confronti miei in quanto compositore, ma piuttosto nei confronti del genere musicale che dovevo scegliere, perchè il lavoro non era fatto per l’Europa ma per l’America. Dunque, mi chiede di essere quanto più possibile atematico, mentre io avevo iniziato con un approccio che, anche se non proprio tematico, aveva un elemento di riconoscibilità, come credo sia giusto, per distinguerlo da altre trasmissioni come, che so... la sigla del serial Perry Mason, che appena la si ascoltava, si capiva immediatamente di cosa si trattava. Una cosa simile noi l’abbiamo fatta negli anni ‘70 per Sandokan, una sigla costituita da un coro. Ma ricordo che c’erano alcuni critici della RAI come Tullio Kezich, che proprio non lo voleva. Tornando alla colonna sonora del serial Titanic, devo dire che sia io che l’ho composta, che mio fratello che l’ha prodotta, siamo molto soddisfatti. Devo confessarvi che è stato un grande sforzo ottenere ciò che voleva il regista. Sostengo che non si debba sempre fare solo ciò che dice il regista, ma fare a modo tuo le cose che lui ti propone. Il trucco sta in questo, perchè non si può mortificare uno sviluppo tematico! È giusto che ci sia un “qualcosa” che apra, poi il  regista lo utilizza o lo tiene un pò nascosto, od ancora mi dice di interromperlo, va benissimo; compongo più versioni e magari una “esploderà” per intero, un’altra a metà e un’altra ancora per niente, insomma ci sono varie possibilità.  Per Titanic c’è stato abbastanza tempo a disposizione e quindi è stata un’esperienza ricca, anche se ho potuto constatare che all’estero c’è una prevalenza di richieste musicali atematiche.

GT: Questo perchè in America oggi stanno ostracizzando la melodia!

MDA: Hanno il terrore... sapete quello che dicono?: “Abbiamo paura che sembri un soap!

GT: Ci sono anche dei casi eclatanti di colonne sonore rifiutate e composte da signori musicisti americani, perché secondo i produttori il tema troppo acceso, preponderante, potrebbe dare agli spettatori l’impressione di essere vecchio.

MDA: Già, una volta il tema veniva privilegiato, ma devo ammettere che non so se augurarmi che le cose cambino di nuovo o se invece accettarle così come stanno.  Un’accettazione può anche essere un’evoluzione... Certo, se so che vado a mettere i piedi su dei chiodi, evito, naturalmente.

MP: Stiamo parlando dei serial americani o internazionali, ma in Italia suppongo che ci sia proprio il bisogno del tema, soprattutto per richiamare l’attenzione del pubblico.

MDA: Giusto, e voi che state facendo queste ricerche, saprete come la pensano i miei colleghi.

MP: La pensano come te! Li abbiamo intervistati quasi tutti. Ripeto, quello che ci vuole oggi nel nostro paese è il tema, perchè a casa, con la moglie che cucina e ti parla, il figlio che piange, il telefono che squilla...

foto_maurizio_de_angelis 7.jpgMDA: Ma certo, se al pubblico non viene data una ricorrenza emotiva per suggerirgli che, magari mentre sta bevendo, l’assassino sta per compiere il misfatto, come si fa a mantenere l’attenzione?!  Ma ci sono quasi sempre le solite impuntature del regista e, tornando a Titanic, il regista ha preteso che in una scena ci fosse musica dixie.  L’ha voluta, gliel’ho fatta e in realtà ha anticipato di una decina d’anni l’avvento della musica dixie.

Carmelo Milone: Invece tu cosa avresti messo?

MDA: Un pezzo irlandese, con quelle sue tipiche sonorità. Oltretutto non voleva che si capisse che nel film c’era musica irlandese! Ricordo che quando gli presentai i demo con i temi, gli feci ascoltare per prima cosa un motivo molto suggestivo, con strumenti irlandesi come l’arpa celtica ed un flauto tipico. Ebbene, non  lo  ha  voluto!
Sosteneva  che quelle erano  sonorità  usate  nel  primo Titanic, quello di James  Cameron, ed ha preteso che non venissero fuori elementi che avrebbero potuto rimandare alle musiche irlandesi, secondo lui, segnale di provincialismo. Intendiamoci bene: il regista ha tutto il diritto di chiederti quello che vuole. Oltretutto ha fatto un ottimo lavoro in generale essendo molto bravo. Dal suo punto di vista era lecito e giusto volere certe cose, anche se a me sembravano ingiustificate.

GT: Per questa fiction che risorse hai avuto, hai lavorato con l’orchestra?

MDA: Sì, ho lavorato con una straordinaria orchestra, quella sinfonica di Praga, registrando nello studio RUDOLFINUM, che è il top che c’è a Praga, e con delle sonorità assolutamente eccezionali. Abbiamo avuto la possibilità di non badare troppo a spese, o meglio, abbiamo naturalmente rispettato il budget, che sicuramente era sopra la media, ma abbiamo potuto fare due o tre viaggi a Praga per curare al meglio la registrazione.

MP: Ti dispiace che oggi di rado vengano pubblicate le colonne sonore?

MDA: Beh, sì, ci sono delle cose che meriterebbero di essere ascoltate. Poi se qualcuno dice, “non me ne frega niente”, è un altro discorso. Penso sia spiacevole fare qualcosa di cui poi nessuno ne faccia richiesta. Se non c’è più mercato discografico, se non ci sono più editori che spingono affinché un autore faccia un tema che possa essere suonato, che so, al piano-bar, trovo che sia davvero imbarazzante. I famosi evergreen, come “New York New York” che hanno mosso l’editoria, non ci sono più, e se adesso non si riprende almeno un pò in quella direzione...  Ma, a pensarci bene, ho paura di non sapere bene se questa cosa sia reversibile.

GT: Da un certo punto di vista, la musica da film sta diventando un sound-design, sono però convinto che prima o poi finirà con l’annullarsi completamente e si ripartirà da zero.  Ci sono compositori che lavorano sul fotografico come se stessero facendo lo sfondo sonoro e non come se scrivessero musica.

MP: Durante una conferenza stampa da noi organizzata qualche giorno fa a Milano, abbiamo discusso della colonna sonora della saga de Il Signore degli Anelli, composta dal canadese Howard Shore, che tra l’altro siamo riusciti a far venire qui a Roma per dirigere una sua sinfonia tratta dalla suddetta saga. Si è parlato della collaborazione con David Fincher, il regista di Seven, dove la colonna sonora dello stesso Shore, conteneva delle sonorità strane con un tema nascosto, ma che riuscivano a creare uno stato d’animo da incubo. Successivamente s’è passato a discutere di Trent Reznor e Atticus Ross, il primo fa parte di un gruppo di musica heavy metal e l’altro è un sound-designer. Entrambi hanno scritto dei tappeti sonori, cioè un suono monocorde e continuo, per i film Social Network e Gone Girl.

cover_lp_piu_forte_ragazzi.jpgGT: A me è capitato spesso di sentire degli score pubblicati dove è difficilissimo capire se si sta ascoltando la traccia effetti o la musica del film. E per lavoro mi ritrovo anche ad ascoltarne molti...

MDA: Voi certamente avvertirete, è il vostro mestiere, la differenza tra una registrazione fatta con un sound-designer e quella fatta con un’orchestra. Con “voi” intendo anche tutto il pubblico.

MP: Eccome se la sentiamo!... Lavoro come promoter a Mediaset Premium e realizzo trailer per la televisione. Se passo ad un mio collega un pezzo orchestrale o un altro campionato, non può notare la differenza, perchè non ci sono tantissime persone con l’orecchio pronto a percepirla.

GT: Sì, non sono in tanti a capire che differenza c’è tra il sintetizzato e l’acustico. In realtà il problema, almeno secondo me, non sta tanto nel fatto che il compositore, per mancanza di risorse, deve lavorare con il sintetizzatore quello che conta è che faccia musica... Magari dopo c’è qualcun altro che dispone  di buone risorse e si limita ad un tappetino con quattro accordi... diciamo in astratto, ma senza che mai venga fuori vera musica.

MDA: Un altro problema sta nel fatto che sono a disposizione di tutti le librerie musicali che danno a chiunque la possibilità di lavorare elettronicamente, creando in questo modo una sorta di omologazione timbrica. Ora, se non si differenzia il nostro lavoro con un tema o qualcosa di simile, si rimane veramente nell’anonimato più totale. Occorre perciò convincere la generazione dei nuovi registi, che purtroppo vengono da questa scuola, a cambiare, sennò se la porteranno dietro per molti anni.  Poi, penso che c’è anche un Danny Elfman che compone per Tim Burton, dove i temi li usa, o almeno ogni tanto.

MP: Sì, ma anche lui ultimamente si sta, come dire... minimalizzando troppo, allineandosi a questa nuova scuola di musicisti come Alexandre Desplat, che proviene da Glass. Però, occorre chiedersi sempre quale sia la commissione. Certo, se uno deve comporre per un documentario in cui, che so io... si parla di politica, è chiaro che il tema non lo compone, ma se devi lavorare con Tim Burton è un altro paio di maniche.

GT: Infatti anche la colonna sonora dell’ultimo film di Burton, Big Eyes, va molto sull’astratto, non c’è tema, è tutto piuttosto aleatorio. È anche vero però che è costretto a seguire una tendenza ed è indicativo che un compositore della sua stazza, faccia questo. Ricordiamoci che Elfman è uno che è nato col tematismo, col sinfonismo...

MDA: Sono venuto a sapere che in America l’unico compositore del quale nessuno si azzarda a dire niente è John Williams. Per lui (ovviamente) non ci sono demo da preparare o tentativi vari. Gli si affida un film e se lui se la sente di farlo, da al regista direttamente appuntamento in sala di registrazione. Incredibile. Ma lui è mostruoso. E mostruosamente ascoltato e rispettato.

GT: Già, non è mai accaduto che un produttore o un regista gli abbia rifiutato una colonna sonora.

cover_la_gatta.jpgMP: Tra l’altro è una delle persone più umili e gentili che abbia mai conosciuto in vita mia!  Sono andato a trovarlo a Chicago, insieme a quattro redattori della nostra rivista “Colonne Sonore” per assistere a ben tre suoi concerti. Siamo andati a trovarlo in camerino per consegnarli le copie della nostra ex rivista cartacea, lui ci ha ringraziato molto e ci ha chiesto gentilmente di aspettarlo a fine concerto all’uscita dell’auditorium. Alla fine mi ha autografato il biglietto del concerto. Prima di andarsene ci ha pure detto: ci vediamo in Italia! Ma ha 86 anni, non so...  L’anno scorso lo abbiamo premiato con la targa della nostra rivista, inviandogliela a New York. Ebbene, lui ci ha ricambiato inviandoci una foto e affermando inoltre che era un onore per lui ricevere un premio dall’Italia, e che inoltre era la prima volta in vita sua!  Beh, ho pianto ininterrottamente...

MDA: E James Newton Howard lo avete contattato?

MP: Ancora no, ma spero di riuscirci entro quest’anno. Di recente ha composto un ottimo soundtrack per Maleficent, dove c’è persino un tema!  Spero che per questo vinca il premio dei nostri lettori,  così con la scusa facciamo venire anche lui...  Howard mi piace molto, ricordo bene anche la colonna sonora che fece per Waterworld.

MDA: Oggigiorno, secondo me, non si può prescindere dalla fusione tra orchestra e quei suoni particolari che con l’orchestra non si riesce a fare. E il bello sta proprio quando si riesce a mettere bene insieme le due cose, ottenendo in tal modo un mix di una profondità che non si può ottenere ad esempio con i soli contrabbassi o violoncelli, o, se si sceglie di destinarli ad eseguire quei suoni particolari, non è certo il loro lavoro naturale. La fusione tra elettronico ed orchestra vera è secondo me (se parliamo di suoni) la combinazione vincente, anche per ovviare all’esiguità dei budget attualmente disponibili in Italia. Tra i compositori più in vista in questi ultimi tempi, vedo che Alexandre Desplat sta avendo molto successo...

MP: Ha vinto un Oscar con la colonna sonora di Grand Budapest Hotel. Buona, certo, ma non era la sua cosa migliore, forse si è trattato di una sorta di Oscar alla carriera, visto che non molto tempo fa, in un solo anno, ha composto almeno una dozzina di colonne sonore! Due o tre erano buone, ma le altre sembravano tutte uguali o quasi. Ma in fondo, ha fatto quello che gli è stato chiesto.  Desplat è molto bravo e possiede quel tocco europeo che manca al cinema americano.

MDA: In effetti è quello che è successo anche a noi negli anni ‘70: avendo avuto successo con certi cliché, ci venivano chieste a ripetizione le stesse cose.

MP: Comunque sia, voi coi film di Terence Hill e Bud Spencer siete riusciti a creare un nuovo stile. Bastava che si ascoltassero alcune note e, senza neanche aver visto il film, era chiaro a tutti che si trattava della colonna sonora di un film con Trinità e Bambino. E poi, anche se in altri film c’erano delle melodie simili alle precedenti, qualche nuova trovata la si trovava ugualmente.

MDA: Vi garantisco che le soluzioni timbriche e musicali erano tutte studiatissime! Ci è sempre piaciuto definire questi pezzi “finti-semplici”, c’è stato un grande lavoro di ricerca, cercavamo di abbattere certe barriere. Siamo stati noi probabilmente tra i primi ad usare il moog nel cinema italiano, almeno, a livelli di sperimentazione. Era il nostro modo di proporre musica e timbri che l’orchestra da sola non riusciva a dare. È stato forse l’inizio di quella fusione tra strumenti elettronici e strumenti classici. Nella nostra orchestra c’erano sia il piano classico che quello elettrico e\o il moog e\o il clavinet e\o altri strumenti.

foto_gm_deangelis_oliver_onions.jpgMP: Ma eravate sempre voi a suonarli?

MDA: No, erano altri.

MP: Credo che all’epoca fossero in pochi a saper suonare bene strumenti come quelli.

MDA: Beh, ve ne era uno molto bravo che si chiama Toto Torquati.

MP: C’era anche Amedeo Tommasi?

MDA: No, Tommasi era certamente un mostro, ma era Toto Torquati più spesso. Ha suonato per Più forte ragazzi!, Altrimenti ci arrabbiamo ed  altri film.

MP: Anche su Piedone lo sbirro?

MDA: No, lì no. In quel film c’erano anche Santo & Johnny a suonare una loro versione del tema principale e, come elemento intercambiabile, c’era anche Gianni Oddi, non so se ve lo ricordate.

MP: Certo, ho anche il CD di una sua colonna sonora, Mondo di notte oggi.

MDA: Oddi è soprattutto un sassofonista, ma sa suonare anche il piano. Era sempre lui che suonava il clavinet in Sandokan, ed era la prima volta che si suonava in Italia, non certo all’estero però. Eravamo attentissimi alle sonorità che venivano da fuori, cercavamo di riproporle a modo nostro, ma poi alla fine è molto difficile inventare ex-novo delle cose. Lo si può anche fare, ma quando si scopre un ingrediente e lo si riesce a mettere su un piatto che è il tuo, diventa veramente un’altra cosa.

MP: A proposito di canoni stilistici, ci sono dei cliché predeterminati, come il western o il poliziesco di cui vi siete occupati tanto, come per i film di botte e comicità con Hill e Spencer. Chiedo, come avete fatto ad evitare il cliché standardizzato dalle musiche di Morricone e altri?

cover_continuavano_chiamarlo_trinita.jpgMDA: Quelle erano musiche molto orchestrali, noi abbiamo evitato l’orchestra, se non inserita in un contesto in cui la parte del leone la facevano comunque le chitarre. Brani come “Continuavano a chiamarlo Trinità”, dove per un minuto e mezzo ci sono solo chitarre ed archi che appoggiano, poi la ritmica... insomma c’erano degli elementi diluiti in maniera molto diversa e poi era il periodo in cui l’impatto che avevano sul pubblico certi brani americani era straordinario. Le sonorità sul modello del motivo cantato da Harry Nilsson in Un uomo da marciapiede, ovvero “Everybody’s Talkin’“, avevano raggiunto un vasto pubblico. Pensate che io sono stato precettato dai produttori RCA per riprendere quello stile ed adattarlo a “Una favola blu” di Claudio Baglioni. In quel brano suono la chitarra e s’intuisce che quel modo di suonare è fatto su richiesta specifica, sposando quello stile. Fu una novità assoluta! Erano anni in cui si ascoltavano mega-orchestre con pianoforte, archi, arrangiamenti di Bacalov, Morricone... che poi arrangiamenti di un’intuizione geniale, come la dissonanza di do/si del pianoforte in “Sapore di sale” di Gino Paoli. C’era per tanti il problema di come eseguire sonorità già conosciute, mentre la nostra idea era quella di inserire elementi che non erano affatto conosciuti. In questo consisteva la novità e, per essere più efficaci, buona parte del brano la lasciavamo a questo nuovo tipo di sonorità. L’orchestra entrava dopo.

MP: C’era anche improvvisazione?

MDA: Sì, ma in realtà era una falsa improvvisazione. Voglio dire che c’era, ma si sapeva bene di cosa si trattasse... In fondo era lo stile che lo richiedeva. Ritagli, acciaccature, arpeggi, finte situazioni...  Non so se avete ascoltato certi chitarristi country americani, beh, ce n’è uno che mi fa letteralmente impazzire, si chiama Tommy Emmanuel, però in questo caso è australiano. Ascoltatelo e poi mi dite. Io sono un chitarrista che se la cava, ma dopo aver ascoltato Emmanuel, ho pensato di fare il... cuoco! (risate) È imbarazzante scoprire quello che si può ottenere con uno strumento. Ci sono delle eccellenze come lui, ma per tutta la vita occorre fare solo quella cosa, anche col rischio di sembrare asociale.

GT: Mi collego un attimo alla domanda sui cliché, per i western si parla essenzialmente di chitarre, mentre nei polizieschi, e mi riferisco in particolare al filone con Tomas Milian, ho notato che c’è una certa preponderanza della tromba, come ad esempio nel tema di Milano trema: la polizia vuole giustizia.

cover_mezzanote_ronda_piacere.jpgMDA: Sì, avevamo l’esigenza di mantenere qualche elemento tradizionale, la novità stava nello scoprire che il tradizionale si poteva sposare con... chiamiamola innovazione. Ma in effetti, facevamo nel poliziesco ciò che avevamo fatto nel western, dove usavamo chitarre acustiche, mentre nei polizieschi abbiamo usato chitarre elettriche con riferimenti al blues, a quel gusto del distorto, e l’aggiunta di grosse tastiere. Impiegavamo ore a cercare il suono giusto per pianoforte che fosse appunto quasi distorto, come il famoso pianoforte “Fender Rhodes” utilizzato con l’ausilio di amplificatori e preamplificatori. Voglio dire che c’era una grossa ricerca, fatta in sala.
Si può scrivere una figurazione musicale, ma non puoi scrivere il timbro. Posso anche dire che ci s’imbatte in esperienze che ti danno la misura di quanto la collaborazione con lo strumentista può essere sorprendente. Quando abbiamo scritto la colonna sonora di Cenerentola 80, abbiamo prima registrato la grande orchestra, poi siamo andati in America con il 24 piste e abbiamo sovrapposto una chitarra che, come si suol dire, svisasse. Volevamo che ci fosse un esecutore vero, uno di quelli che passano la vita a fare quel tipo di interventi. Ne abbiamo trovato uno assolutamente straordinario, durante la open-call e a distanza di  due mesi ci siamo tornati perché volevamo lui. Il fatto è che abbiamo commesso l’ingenuità di portargli la parte scritta, e lui non prendeva una nota! Ad un certo punto mi sono ripreso lo spartito, gli ho scritto le sigle sotto e... beh, ha ripreso la parte e... ci ha “sfonnato”!! (risate) Ci sono delle cose che è assolutamente impossibile mettere in partitura. Non puoi schematizzare ed imprigionare la fantasia e “quella tecnica specifica”.

GT: In queste casistiche, dove i ruoli del solista e dello strumentista contano tantissimo, ricordo un fantastico, incredibile assolo di tromba in una scena di un film con Tomas Milian che si trova su un fiume con Enzo Cannavale.

MDA: Sì, mi ricordo, i solisti li sceglievamo tra tanti, dando loro una completa libertà di esecuzione. Facevamo i nomi di chi doveva venire a suonare: Gigi Santucci e Nino Culasso, tutti personaggi che hanno fatto la storia. Dato che si trattava di professionisti abituati a fare determinate cose, dicevamo loro solo questo: “guarda, questa è la melodia, arricchiscila, infioriscila, variala pure come vuoi”. Alla fine decidevamo quale tra le tante esecuzioni prendere. E’ questa la meravigliosa vita dello studio di registrazione! Che ti rimane dentro, perchè è una scuola di vita professionale, e non solo.

MP: Vorrei adesso parlare dei western. Il vostro primo lavoro è  stato Continuavano a chiamarlo Trinità del 1971. Vi è stato chiesto di rifarvi a qualche altro film?

MDA: Beh, no... noi venivamo dal grande successo di Per grazia ricevuta, che certo non aveva atmosfere che potessero invogliare un autore di western... credo che nell’ambiente si sapesse già che con le chitarre avevamo creato un certo clima e questo ci ha aiutato, poi non so...  Quello che noi abbiamo sempre cercato di fare era evitare i canoni dell’epoca, rappresentati dalla chitarra elettrica suonata come nel famoso “Apache”, che era bellissimo, ed io sono sempre stato un adulatore degli Shadows e, nelle colonne sonore dei western nostrani, si era giunti ad un cliché, cioè col tema principale suonato da una chitarra solista, con il riverbero. Normalmente era suonata da ottimi chitarristi come D’Amario o Alessandroni... Agli inizi ho lavorato proprio con questi grandi nomi.

MP: Cosa ricordi di Franco De Gemini, il famoso  armonicista  di  C’era una volta il West che ha lavorato anche con voi, scomparso purtroppo due anni fa?

cover_keoma.pngMDA: Ha suonato con me in Trinità ed anche in Keoma.

CM: A proposito di questo straordinario western, chi era a suonare il banjo ogni volta che entrava in scena il gigantesco Woody Strode, tu forse?

MDA: Sì, ero io, come ho detto prima avevo suonato il banjo, in background, anche in C’era una volta il West, facendo diciamo... l’elemento imprevisto.

CM: Sempre in Keoma di Enzo G. Castellari, ci sono dei momenti d’attesa sottolineati prodigiosamente dal suono distorto del flauto o dalle voci di Sybil e Guy.

MDA: Sì, ricordo il nome di uno dei flautisti, Enzo Battimelli, napoletano.

GT: Parlando di collaboratori, mi pare doveroso citare Gianfranco Plenizio.

MDA: Certamente, Gianfranco lo adoro. Oltre ad essere un ottimo musicista e direttore d’orchestra, è una persona colta, preparata, simpatica e mi  dispiace che le circostanze della vita ci hanno portato a non frequentarci più, ma ho di lui un ottimo ricordo.  

MP: Tra l’altro ha scritto un libro bellissimo e bizzarro, dove racconta le sue esperienze musicali, in particolare quelle di musica operistica (Bizzarrie musicali – Incidenti e accidenti della musica).

MDA: Potrebbe farti passare una giornata raccontandoti episodi straordinari.

CM: Ci sono stati anni in cui spesso voi scrivevate e lui dirigeva l’orchestra.

MDA: Sì, quasi sempre è stato lui a dirigere le nostre musiche, tranne qualche volta Franco Tamponi e Nicola Samale, in uno dei Sandokan.

CM: Continuando con Keoma, l’ultimo, maestoso, crepuscolare western italiano che chiude dignitosamente tutto il genere. Era il 1976 e, a mio avviso, rappresenta anche una delle più straordinarie colonne sonore di tutto il panorama del western di casa nostra. Inoltre, è uno dei pochissimi western classici che avete musicato. Se ripenso alla scena in cui Franco Nero corre al rallenty verso il feroce Donald O’Brien, che gli ha appena ucciso il padre, mi vengono i brividi... e, per quanto le immagini realizzate con mano maestra da Enzo Castellari fossero efficacissime, senza il supporto della musica e di quelle due voci, non sarebbe stata la stessa cosa.

MDA: Sì, le voci di cui parli sono di Sybil e Guy, ovverosia mio fratello Guido.

CM: Già, e si stenta a riconoscerlo!

MDA: Beh, un pò è vero. Sybil poi è una cantante particolarmente dotata, molto sanguigna direi, della quale però ne ho perso le tracce.

CM: In Keoma c’era il gusto del regista per la dilatazione dei tempi, che davano grande spazio alla musica, amplificando così la tensione emotiva. Mi viene spontaneo citare il grande regista Sergio Leone, il quale sosteneva che la musica in un film fosse fondamentale e che spesso poteva rimpiazzare i dialoghi, in modo che qualunque spettatore di questo mondo poteva seguire il film senza alcun bisogno di sottotitoli. Sul set stesso, almeno in alcune scene, Leone pretendeva la musica - composta dal fido Morricone mesi prima dell’inizio delle riprese - perché sosteneva con convinzione che fosse necessaria per caricare gli attori, e lui stesso. Persino al montaggio ed al missaggio, in certe sue tipiche sequenze, adattava i tempi in funzione della musica. Sappiamo tutti che i fatti gli diedero ragione e questa sua scelta registica risultò essere la peculiarità del suo cinema, celebre in tutto il mondo.

MDA: E’ molto bello quello che dici, ma sappi che oggi un film alla Sergio Leone non lo produce più nessuno!

foto_maurizio_de_angelis 1.jpgCM: Non ne ho il minimo dubbio!

MP: Di sodalizi voi ne avete avuti tanti: con Enzo Barboni, Sergio e Bruno Corbucci, Giuseppe Colizzi, il già citato Enzo Castellari, Leandro Castellani...

MDA: Lupo...

MP: Certo, Michele Lupo, ma cosa ti viene in mente ripensando a tutti questi registi per i quali avete cominciato a costruire le fondamenta della vostra carriera?

MDA: Beh, li ricordo tutti con molto, molto piacere... anche con tenerezza. Confesso che l’aver fatto delle cose che sarebbero rimaste nel tempo lo abbiamo potuto scoprire ovviamente solo dopo molti anni! Battute a parte, lavoravamo con tanto entusiasmo e voglia, e abbiamo potuto fare tutte quelle colonne sonore perché abbiamo goduto di una totale libertà. È come se, per miracolo, tutti si fossero fidati di noi ad occhi chiusi. E anche questo lo scopro solo adesso! I lavori che si fanno oggi prevedono tutta una serie di incontri, demo da fare, musica provvisoria da tenere presente come input che parte dalla mente del regista che vorrebbe una cosa analoga. C’è insomma una pregiudiziale con la quale devi fare i conti, mentre all’epoca bastava far sentire dal vivo i nostri pezzi senza alcuna registrazione, poi alla nostra domanda: “questo ti piace?”, rispondevano: “ah, bello... questo va bene per un personaggio, quest’altro per l’antagonista, ecc, ecc”. Perciò, appena sentivamo la parola bello, la cosa finiva lì e ci mettevamo subito al lavoro, liberamente.

CM: Cosa ricordi di Giuseppe Colizzi, regista che personalmente stimo molto e che ha realizzato ottimi western e che purtroppo morì nel 1978 a soli 53 anni?

MDA: Già... purtroppo con lui abbiamo avuto la possibilità di fare solo un film, Più forte ragazzi!, che non apparteneva esattamente al genere western, ma che certo lo richiamava, e poi c’erano Hill e Spencer.

CM: Erano due i film fatti con lui, per la verità, dopo c’è stato anche Arrivano Joe e Margherito, con un’altra coppia inventata da Colizzi, cioè Keith Carradine e Tom Skerrit.

MDA: Sì, è vero, dimenticavo!

cover_i_due_superpiedi_quasi_piatti.jpgCM: Ricordiamoci che fu Giuseppe Colizzi a creare la coppia Hill e Spencer nel 1967, tre anni prima di Enzo Barboni Clucher, che li chiamò nel 1970 per Lo chiamavano Trinità, ma i due attori con Colizzi avevano già fatto tre western.  Nella colonna sonora di Joe e Margherito ci sono dei brani divertentissimi, tra cui un pezzo cantato in dialetto siciliano; tra l’altro lo stesso Colizzi aveva origini siciliane.

MDA: Sì, infatti il testo di quella canzone lo scrisse lui. Devo dire che a quel tempo facevamo delle escursioni musicali un pò ovunque, andavamo anche in crociera, una toccata e fuga, intendiamoci, ma certamente utile.

MP: Cosa ne pensi della rivalutazione in atto delle vecchie colonne sonore riproposte in CD da Digitmovies, Quartet Records ed altre etichette sia italiane che straniere?

MDA: Non vorrei  dire una castroneria, ma forse è una  reazione  spontanea al 'silenzio tematico' che ci circonda. Dato che oggi è difficile ricordarsi di una colonna sonora, per i motivi di cui abbiamo parlato, la voglia di riscoprire qualcosa che in passato aveva trasmesso un’emozione si fa piuttosto evidente. Riscoprire che un brano musicale dopo 1, 2, 10 o 40 anni, riesce ancora a comunicarti delle sensazioni, vuol dire che a quel tempo qualcosa di buono era stata fatta. Non parlo per me, intendiamoci, lo dico in generale. E voglio sperare che la motivazione sia questa, altrimenti occorrerebbe fare un’indagine...

MP: Da appassionato di cinema quale sono sempre stato, appena vedo uscire dei CD di colonne sonore più o meno vecchie, li acquisto immediatamente! Oggi l’uscita di questi CD viene chiamata il Sacro Graal della musica.

GT: Mi viene in  mente che in un film di Michele Lupo con le vostre musiche, Uno sceriffo extra terrestre... poco extra e molto terrestre, c’era quel fantastico pezzo per Bud Spencer e l’alieno. E poi con Michele Lupo ci sono stati altri successi...

MP: In quel film c’era pure quel valzer che mi faceva impazzire! Ho cercato tanto il disco, non sono mai riuscito a trovarlo.

MDA: Con Michele Lupo, di origini siciliane anche lui, c’era un rapporto molto familiare, intenso. Eravamo tutti e due tifosi della Lazio e andavamo insieme allo stadio. Ricordo anche che spesso incontravo Bruno Corbucci con uno dei suoi sceneggiatori, Mario Amendola, perchè entrambi avevano l’abbonamento allo stadio. Comunque, i contatti di lavoro coi registi era mio fratello più che altro a curarli, magari passava una giornata intera col regista e poi mi diceva, vai avanti così...

MP: Sempre nelle colonne sonore composte per Michele Lupo, oltre a Uno sceriffo extra terrestre..., avete fatto il seguito Chissà perché capitano tutte a me. Di quest’ultimo ricordo tutti i brani davvero con grande piacere. Nel precedente film invece c’era un brano meraviglioso che nel CD non c’è, il succitato valzer. Non capisco il motivo.

MDA: Non lo trovi perchè lo avevamo composto per Gigi Proietti, il film era Languidi baci, perfide carezze, ma Lupo l’ha voluto lo stesso, gli piaceva troppo. Naturalmente, abbiamo chiesto il permesso all’editore per riutilizzarlo.

MP: L’avete riadattato?

MDA: No, non era possibile riadattarlo e poi era stato registrato con una grande orchestra.

foto_maurizio_de_angelis 3.jpgMP: Beh, andava benissimo anche in quel film.

MDA: Ci sono delle cose che a volte riescono particolarmente bene ed è un peccato che vengano utilizzate solo per una scena e per giunta solo per 80 secondi!

MP: So che da poco hai composto le musiche per il serial TV Titanic di cui parlavamo prima.

MDA: Sì, e anche lì c’è una grande orchestra, quella sinfonica di Praga. Non l’ho diretta io, ma un direttore appositamente convocato. In queste circostanze preferisco mettermi in cabina di regia per seguire la registrazione.

GT: Ma l’orchestrazione l’hai curata tu?

MDA: In parte sì, sai... mi piacerebbe occuparmene, ma è un’altra specializzazione e per ragioni di tempo non mi è possibile. Fare un’orchestrazione vuol dire concentrarsi due settimane su un tema e il tempo non lo trovi, allora devi chiamare un orchestratore, spiegargli quello che vuoi, consegnarli un demo, ecc...

MP: Vorrei adesso parlare del vostro stile. Se oggi tu volessi spiegare ad un neofita chi sono Guido e Maurizio De Angelis, quale brano proporresti, anche al di fuori del panorama cinematografico?

MDA: E’ una domanda che non mi sono mai posto, anche perchè per rispondere credo sia necessario far ascoltare più di una cosa. C’è pure un altro discorso da fare, se oggi mi proponessero Sandokan, verrebbe fuori una cosa diversa, quindi come si fa a rispondere con esattezza?  Chiunque, anche Zimmer, farebbe un altro tema su una cosa già fatta. Diciamo che il comune denominatore corrisponde all’aver privilegiato sempre la scrittura di brani con un minimo di riconoscibilità. C’è stato qualcuno che in un’occasione mi disse: “guarda, qui si riconosce che è una cosa tua!” “Ma da cosa?”, gli chiesi, non capivo... Posso dire con certezza che mi è sempre piaciuta un pò di sorpresa armonica, anzi, le armonie mi piacciono da morire ed è difficile che nei nostri brani ce ne siano poche, a meno che non si tratti di un brano legato tipicamente ad un genere, che so, di scazzottate. Ecco, da un punto di vista dell’impegno e della buona fede, ho, abbiamo, sempre fatto il massimo. Adesso da solo e prima con Guido, ho, abbiamo cercato sempre di scrivere la musica che piacesse a noi prima di presentarla al regista. Il risultato finale era dovuto ad una nostra precedente selezione, in quanto componevamo 3-4 temi, poi ne sceglievamo uno, al massimo due da proporre al regista. Eravamo abbastanza convincenti e, non so... forse è stato questo l’elemento che ha fatto la differenza.

MP: Ti manca un pò il non lavorare più a stretto contatto con tuo fratello? Almeno da un punto di vista musicale.

MDA: Beh, sì, perchè è venuto fuori che occorre prendere atto di alcuni parametri che non conoscevo: i budget a disposizione, i tempi, l’incontro col regista... insomma una serie di lavori paralleli legati alla composizione. Il pranzo col regista per poi venire qui in studio a discutere dell’idea che mi è venuta o dell’idea che ha lui, il quale magari si presenta con dei dischi e mi dice: “ascolta, vorrei una cosa così”. Alla fine però scopri che la cosa non è possibile. Ecco, si impara anche così a capire, a confrontarsi con le varie esigenze, di cui prima faceva da filtro mio fratello. Questo filtro oggi mi manca. Quando si lavora insieme in coppia per tanti anni, come ad esempio un grande binomio storico Garinei e Giovannini, credo nessuno si ponga il problema di cosa abbia fatto Garinei o di cosa abbia fatto Giovannini. Voglio dire che si fa un prodotto di squadra. Ed è l’unica cosa che deve interessare a chi ascolta.

CM: Riconoscerei un vostro brano dopo pochi secondi! Ho sempre trovato qualcosa di speciale, di personale nelle vostre composizioni.

MP: Mi ricongiungo a quello che ha detto Carmelo per farti altre domande, riguardo alla colonna sonora del film Zorro di Duccio Tessari con Alain Delon, e agli Oliver Onions di cui non abbiamo ancora parlato. Proprio di questi vorrei chiederti se rappresentano il vostro alter ego canoro o cosa realmente rappresentano per i fratelli De Angelis, e soprattutto quando cantavate “Zorro is back”, quale era la vera anima degli “Oliver Onions”?

cover_zorro_deangelis.jpgMDA: Che divertimento! Ed un grande entusiasmo! Ci eravamo suddivisi i compiti, vocalmente parlando, Guido faceva il solista mentre io mi occupavo dell’armonizzazione del gruppo e, come dicevo, ci siamo divertiti da matti! Grazie al multipista abbiamo potuto fare ben sedici voci per un coro, come per “Fantasy” da Bomber, ottenendo con la stessa voce quattro piste. Per lo spettatore non c’era assolutamente il tempo di capirlo ed il ritmo era perfetto, anche troppo, e l’effetto sonoro straordinario. Su questa base così ritmica e se vogliamo anche un pò “swingata”, mio fratello faceva quello che trattava, nel senso che allungava vocalmente la linea melodica ottenendo maggiore libertà.

CM: Anche la colonna sonora di Porgi l’altra guancia è notevole.

MDA: Sì, ma lì non sono gli Oliver Onions, almeno ufficialmente... mi viene un pò da ridere a dirlo, perchè abbiamo dovuto usare un altro pseudonimo, Barqueros. In quel periodo lavoravamo molto ed era impossibile che inflazionassimo il mercato discografico con ogni cosa che facevamo. E siccome ci dicevano che ogni brano doveva essere quantomeno separabile dalla colonna sonora per avere una sua vita indipendente, abbiamo dovuto usare non so quanti pseudonimi,  allora ci siamo inventati Barqueros, Dilly Dilly, M e G. Orchestra...

CM: Beh, anche il coro di Porgi l’altra guancia è davvero fortissimo, trascinante...

MDA: In quell’occasione, partecipavano al coro anche tutti quelli che suonavano con noi. C’era Adriano Giordanella, Mandrake, il percussionista brasiliano che purtroppo è morto.

MP: Anche nel film Banana Joe vi siete firmati Barqueros.

MDA: In Banana Joe, non so se c’era Olimpio...

cover_zorro_deangelis_lp.jpgMP: In un’intervista a proposito di Sandokan che avete rilasciato tempo fa sempre a noi di Colonne Sonore, sulla ex rivista cartacea, dicevate che per voi la partitura composta per quello sceneggiato rappresentava la completezza della dimensione lavorativa, almeno per la televisione.

MDA: Sì, avevamo raggiunto, a nostro parere, l’obiettivo di fare come pensavamo si dovesse fare una cosa nazional-popolare, con all’interno del soundtrack elementi che di nazional-popolare avevano ben poco a che fare. Inoltre, dal punto di vista professionale, era molto qualificante. C’era poi stato tutto uno studio preparatorio... Ricordo che mi feci portare due sitar e, insieme ad Enrico Ciacci, il fratello di Little Tony, li abbiamo suonati con grande passione. Come sapete, all’epoca, era il 1975, non c’era la possibilità di intervenire sulla registrazione, perciò, se uno sbagliava, si doveva ricominciare da capo. E non c’era nemmeno il sound-designer, c’erano a malapena le otto piste.

CM: Restando a Sandokan, ti devo confessare, che per certi miei lavori fatti in pellicola super-8 negli anni ‘70 ti ho “rubato” alcuni brani strumentali di quella splendida colonna sonora, per commentare delle immagini mute da me realizzate. Ed ancora, per altri filmati, ho utilizzato il celebre “Verde” dallo sceneggiato 40 giorni di libertà.

MDA: Ricordo che questo brano piaceva molto al compianto Tommaso Maestrelli, grande allenatore e general-menager della Lazio, del quale ero amico. Poco prima di morire, a soli 54 anni, nel 1976, disteso sul letto dell’ospedale, era sua abitudine chiedere ai suoi figli di fargli ascoltare l’audiocassetta con la registrazione di “Verde”. Diceva che udire quel brano lo faceva “uscire” dalla stanza. La cosa ci ha davvero toccato molto.

CM: Bellissime parole!... Qualcosa di simile è successa anche a me, ascoltando e riascoltando infinite volte sia quello stupendo brano che altri. Essendo quasi un tuo coetaneo, devo dirti che le vostre musiche, a partire dagli anni ‘70, mi hanno gratificato molto, aiutandomi a superare momenti difficili. Mi viene in mente quella soave melodia composta per lo sceneggiato televisivo Dedicato ad una coppia, intitolata “London Town”, o “Mister Love”, scritta per il film A mezzanotte va la ronda del piacere, con Giancarlo Giannini e Monica Vitti.

MP: Siamo in chiusura, vorrei parlarti delle sigle televisive. Qualche giorno fa ho fatto ascoltare a mia figlia, che ha sei anni, “Fantasy”,  la canzone  che  avete  utilizzato sia in quei fantastici cartoon per la Rai, Galaxy Express, che nel film Bomber. Bene, alla fine la bambina mi ha detto: “papà, ma ha un ritmo da paura!”...  Capito?! A sei anni. Anche a me da ragazzo mi faceva impazzire, l’ascoltavo sempre, la cantavo piangendo dalla felicità... e pure adesso mi manda letteralmente su di giri!

MDA: Hanno collaborato tutti i componenti del coro di cui parlavo poc’anzi.

MP: Sì, il coro che avevi registrato più volte in varie piste. C’era anche Rocky Joe...

cover_sandokan_ alla_ riscossa_deangelis.jpgGT: Come lavoravate allora sulle sigle, prima vi facevano almeno vedere la puntata pilota?

MDA: Oh Dio, due fotogrammi... Volevano dei brani commerciabili... esattamente l’opposto di ciò che ti chiedono adesso, cioè un soundtrack che potesse avere una vita indipendente. I discografici all’epoca volevano vendere dischi e non si vergognavano a dirlo. Mi pare anche giusto, se uno fa quel mestiere... C’erano però diverse scuole di pensiero, ricordo che ai tempi della RCA, vi erano artisti famosi che dicevano ai discografici delle cose tipo “ah, no, lo voglio rifare questo pezzo, perchè la batteria è troppo da Hit Parade!

GT: Spiazzante sentire una cosa del genere. “Troppo da Hit Parade...” roba che ti demolisce!

CM: Ricorderai certamente la famosa trasmissione radiofonica Alto Gradimento, curata da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, bene, le canzoni composte e cantate da voi per i film di Enzo Barboni, come  Anche gli angeli mangiano i fagioli o Anche gli angeli tirano di destro, si ascoltavano spessissimo.

MDA: Quei motivi avevano un sound fresco, di rottura, che faceva a cazzotti con lo standard allora in voga.

CM: Vorrei ora citare un’altra ottima composizione, “La Gatta”, per lo sceneggiato omonimo della Rai, ancora per la regia di Leandro Castellani. Nel motivo conduttore, c’è una chitarra solista, suonata certamente da te, che imitava il verso del gatto. Era il 1978 e i mezzi di allora non è che fossero così straordinari...

MDA: L’ho fatta col wah-wah, un dispositivo elettronico provvisto di un pedale su cui premendo il suono schiariva, alzandolo si oscurava e veniva fuori quell’effetto. Era il massimo che si poteva ottenere con la tecnologia di allora, c’erano soltanto il wah-wah, il vibrato e il chorus. Quest’ultimo, molto bello, ti dava la possibilità di regolarne la velocità e\o la profondità. Sulla chitarra poi era fantastico, riusciva a creare una particolare atmosfera, suscitandomi anche delle intuizioni che, a volte, ti vengono suggerite proprio dalla timbrica.

CM: Dunque, t’innamori di un timbro musicale, ci ricami sopra con la fantasia e crei! La cosa è paragonabile a quando un regista, d’improvviso, modifica, migliorandola, la scena di un film scritta in precedenza in un altro modo.

MDA: Sì, è così e può anche capitare che uno decida di cambiare una nota mentre che so... sei davanti ad un semaforo!

cover_40_gradi_ombra_lenzuolo.jpgCM: O magari mentre sei in bagno...  Passando ora alle commedie anni ‘70, quelle con Edwige Fenech, per intenderci, bisogna dire che anche lì alcuni brani sono carinissimi, spesso superiori agli stessi film e con ritmi trascinanti. Basta citare il tema di 40 gradi all’ombra del lenzuolo o di Giovannona Coscialunga...

MDA: Sì, abbiamo fatto anche Bonny e Clide all’italiana, con Paolo Villaggio, e Il signor Robinson, mostruosa storia d’amore e d’avventure, sempre con Villaggio, dove c’era anche Zeudi Araja.

GT: Un’ultima domanda. Abbiamo parlato di mancanze di vario genere, secondo te, come compositore e più in generale come spettatore, mancano in Italia i generi cinematografici?  Hai lavorato tantissimo nei generi, perciò una persona più preparata di te oggi è difficile trovarla.

MDA: Diciamo che oggi nel cinema italiano il genere è solo uno, la commedia, e in qualche caso il dramma, ma lo si fa in modo melodrammatico,  anzi no, perchè melodrammatico vuol dire che anche da un punto di vista musicale ci dovrebbe essere uno sviluppo, o la presenza di scene che prevedano un tema musicale. Insomma, un “Tema di Lara” lo devo ancora sentire in una fiction televisiva, e questo prescinde dai compositori, credo piuttosto che il problema stia nelle richieste che vengono fatte ai compositori, perchè non vediamo l’ora che finalmente ci venga proposto un tema! Quando sento dire che nel cinema italiano e nella fiction televisiva la commedia imperversa, devo purtroppo dire che è abbastanza vero e che la commedia di oggi ad un compositore non dà molto spazio, non c’è possibilità di aggiungere molto. Sono cambiati anche i ritmi di montaggio e i canoni di lunghezza delle singole scene. Il compositore è costretto, come dire... a minimizzare i suoi interventi con il risultato di anonimizzarsi e rinchiudersi in un unico alveo che è simile a tanti altri prodotti di pari genere. Questa è naturalmente una mia valutazione personale, ad ogni modo, se non viene rilanciato l’incentivo che serva a differenziare i compositori tra di loro, che  possa  far dire  al pubblico  “questo l’ha fatto Morricone, questo invece...”, non ha alcun senso. Attualmente, se uno guarda una fiction e ci trova scritto “musiche di pinco pallino”, ditemi voi, si riconosce a “pinco pallino” la patente di originalità? E magari non certo per colpa sua.

MP: E’ proprio quello il problema, ormai sono tutti uguali.

GT: Personalmente, la brutta sensazione che si arrivasse a questa deludente circostanza, l’ho avuta circa 10 anni fa, dopo i capolavori del regista americano Michael Mann, diciamo dopo Collateral, ma non pensavo si raggiungessero queste dimensioni. Sono convinto, ed è una mia personale opinione, che, per come conosco la materia, per ciò che vedo e secondo la mia sensibilità di spettatore, questo tipo di non-musica arriverà ad un punto di saturazione, esaurendosi spontaneamente. E si ripartirà da capo.

foto_maurizio_de_angelis 5.jpgMDA: Se si ritornasse alla figura del compositore, chiunque esso sia e che rimpiazzi il sound-designer, sarebbe una cosa benvenuta. Ma forse rimpiazzare non è la parola giusta, diciamo che l’intervento del sound-designer è di collaborazione, perché a volte la sua partecipazione è necessaria, anche per coprire le solite carenze di budget. E poi, certo, si può essere anche minimalisti, però devono esserci almeno alcune sequenze di note, anche solo due, che diano la possibilità al pubblico di capire che sta assistendo ad un racconto. In questa maniera anche la casalinga può intuire dalle note che, per esempio, il protagonista sta per entrare in scena. Voglio aggiungere un’altra cosa: recentemente ho scritto la musica per lo sceneggiato Non avere paura, diretto da Andrea Porporati. Quando si comincia a visionare il montaggio del film si scopre che una scena sembra lunga in assenza di musica. Ma non ci si pone la questione “la lasciamo lunga tanto il compositore sicuramente la riempirà con la sua musica e quindi non sembrerà più tale”, ma si taglia subito comunque e si accorcia cercando anche il consenso del regista. Per ragioni di raggiungimento ascolti hanno sempre il terrore che lo spettatore si annoi e cambi canale. Per questo velocizzano tutto e stringono le scene a tal punto che diventa quasi impossibile per il compositore produrre uno sviluppo tematico od emotivo. E allora si è costretti a mettere un paddone, perchè magari lega e ti risolve il problema.  

MP: E questa è una cosa che immagino ti mortifichi molto.

MDA: Certo che mi mortifica!... Perché così oggi questo mestiere lo può fare chiunque!

GT: Lo può fare un ingegnere del suono...

MDA: Naturalmente. E ti dirò di più, lui lo farebbe pure meglio, perchè  conosce qualche trucco in più, trucchi tecnici ovviamente, non certo musicali, davanti ai quali mi devo fermare e sarebbe inutile pensare a una viola o che so io.... Allora, se è questo ciò che chiede la piazza, il tecnico specializzato se lo prenda, ma non è un problema mio, non è un problema di uno che scrive musica.

GT: Certo che no!... So di un compositore che aveva preparato la colonna sonora di una miniserie thriller. Ha scritto un brano per i titoli di testa molto adatto agli argomenti trattati, che funzionava benissimo. Ebbene, quel brano gli è stato cassato perchè si pensava avrebbe messo troppa paura alla massaia che vedeva la TV a quell’ora. Ha dovuto stravolgere quella musica e riscriverla da capo.

MDA: Ha cambiato tema o solo l’arrangiamento?

GT: E’ stato costretto a cambiare completamente l’approccio, sia a livello di orchestrazione che di armonia.

MDA: Cose simili sono capitate anche a me e ad altri. A questo punto mi chiedo: ma c’è ancora questo lavoro?

A voi cari lettori e musicisti-compositori che ci seguite l'ardua risposta!

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