La musica per immagini: un elogio del finito! Intervista esclusiva a Stefano Lentini

foto_stefano_lentini_1.jpgLa musica per immagini: un elogio del finito! Intervista esclusiva a Stefano Lentini

Colonne Sonore per le sue interviste sui generis ai compositori italiani del passato e del presente questa volta incontra un giovane autore di musica applicata ponendogli le nostre due classiche domande cine-musicali e i titoli della sua filmografia che a parere della redazione sono i più significativi nel suo percorso artistico-musicale. Parliamo di Stefano Lentini, compositore polistrumentista romano dalle mille sfaccettature stilistiche, un autore che passa agevolmente dalle sonorità sinfoniche a quelle elettroniche, dal rock al pop al folk, dalle influenze popolari nostrane a quelle esterofile con un uso accurato della strumentazione e degli arrangiamenti di vari organici, che siano piccoli ensemble o compagini orchestrali e corali di maggior rilievo (collaborando con l’orchestra di Roma, l’A.M.I.T., la Roma Sinfonietta e The National Bulgarian Symphony Orchestra). Lentini, uno dei pochi compositori italiani esperti in sound design e sonorizzazione, firma dal 2004 le musiche per produzioni cinematografiche e televisive, passando dai documentari (Sfiorando il muro, selezionato alla 69ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, Skin Deep, Fumo nero all’orizzonte) ai corti (La nuova armata Brancaleone del compianto Mario Monicelli), dagli spot ai reportage per la nota trasmissione Rai Ballarò, dai film per la TV (Il sorteggio con Beppe Fiorello e Bakhita entrambi di Giacomo Campiotti) al Cinema (Shooting Silvio) e teatro. E’ laureato con il massimo dei voti in Antropologia Culturale, ha collaborato come ricercatore con la Regione Lazio e l’Università di Siena, è stato docente presso l’Istituto di Stato per la Cinematografia e la televisione “Roberto Rossellini” del corso-laboratorio “La colonna sonora”. Collabora con la rivista “Sound & Lite”, ha studiato liuto rinascimentale al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma con Terrell Stone, poi il piano, la chitarra classica, il flauto traverso, il basso e la batteria. Ha pubblicato diversi album con le etichette Rai Trade e C.A.M. Original Soundtracks e nel 2004 compone il “Concerto per pianoforte e orchestra 84 Urne” che viene eseguito in Italia e in Romania dall’Orchestra Filarmonica Mihail Jora di Bacau. Molte delle sue opere sono state eseguite in diverse nazioni del mondo, tra cui Stati Uniti, Australia, Inghilterra e Spagna. Il suo sito è www.stefanolentini.it . L’ennesimo giovane compositore italiano da osservare e soprattutto ascoltare con attenzione!         

Colonne Sonore: Cosa significa per lei “musica per immagini”?  
Stefano Lentini:
Mettere la musica al servizio delle immagini significa riconoscere il primato di una zona di contenimento per la creatività. E' accettare dei limiti, muoversi entro un orizzonte narrativo ed estetico prefissato: è un elogio del finito. E' l'incoronazione di un recinto. Muovermi dentro uno steccato mi permette di canalizzare la creatività in una direzione unica e con obiettivi definiti, cosa che mi risulta altrimenti difficilissima da fare se non ho dei paletti. Per anni ho creduto si trattasse di una sorta di oltraggio alla musica pura, una trasgressione ai valori di ricerca dell'assoluto. Forse è così, o forse è solo una visione ideologica, sta di fatto che  per me trasgredire questa regola, accettare i limiti di una narrazione, imparare a muovermi dentro un orizzonte predefinito, ha significato poter trovare una chiave per arginare lo straripamento creativo, decidere quale direzione prendere tra le mille possibili, imbrigliare tutte le soluzioni in una voce unica.
L'immagine che domina la musica è la seconda vita della Possibilità. Il luogo in cui l'infinito incontra il finito e dove posso finalmente intervenire senza perdermi nell'indeterminatezza dell'immaginario. L'immagine che guida la musica ha rappresentato l'elemento interiore che mi ha consentito di trasformare la creatività in lavoro. Divenire più pratico, efficace e di trasformare la musica da privata in pubblica, di condividerla, liberarla.

CS: Quali sono i suoi compositori italiani e stranieri preferiti di musica per film?
SL:
Nella musica da film, come anche nel pop, nel rock, nella musica classica o nell'indie cerco sempre l'indipendenza creativa. Amo quei compositori che riescono a restare sintonizzati con ciò di più unico di cui sono portatori. Apprezzo molto meno la musica di genere, quando cioè con grande maestria ma poco coraggio si va a calcare strade segnate da altri per il semplice fatto che, si sa, funzionano. Quest'attitudine alla ricerca, non intesa come sperimentazione a tutti i costi, ma ricerca come attenzione alla propria identità, diversità e peculiarità, è per me l'elemento più importante, il valore della musica.
Non ho dei compositori preferiti quanto piuttosto delle opere preferite. Ne ho amate di Preisner, Söderqvist, Blanchard, Sakamoto, Morricone, Zimmer, Armstrong. Devo dire però che trovo molto più stimolante e vivace quello che succede fuori dalle colonne sonore: Owen Pallet, Cass McCombs, My Brightest Diamond, Crystal Fighters, The Irrepressibles, Tunng, A Toys Orchestra, Efterklang, Isbells, Mgmt, Steven Wilson. Non sono dei compositori di musica da film ma rappresentano una parte di quelli che fanno evolvere la musica.

foto_stefano_lentini_2.jpgCS: Sfiorando il muro (Silvia Giralucci - Luca Ricciardi, 2012)
SL:
Una rivelazione umana, artistica, creativa e storica. Silvia è la figlia di una delle prime vittime delle Br. Perse il padre a tre anni durante un'irruzione delle Br nella sede padovana dell'Msi. Cresciuta in un clima di ovattata assenza di risposte, timore di fare domande e paure profonde, decide in età matura di affrontare lo strappo mai ricucito. Intervista protagonisti dell'epoca, un'amica ex-missina del padre, un autonomo fuggito in Francia, il magistrato protagonista del processo di quegli anni, un dissidente minacciato di morte. Tutto questo per capire dove era impigliato il padre in quegli anni, per capire cosa stava succedendo nella società e perchè gli uomini giungono a tanto. Il tema è forte perchè coinvolge un pezzo di storia e politica del nostro paese, pure il fatto che un morto fascista valesse un pò meno degli altri. Partendo da qui, senza voler individuare colpe e responsabilità, ma esplorando gli anni di piombo per "capire" nel senso più elevato del termine, il documentario mescola un flusso continuo di fatti pubblici e vicende private con una saggezza quasi eroica.
Nel momento esatto in cui è terminata la prima proiezione - eravamo in fase di montaggio, la struttura andava decisa, le musiche assenti, le interviste da selezionare - ho avuto la certezza di trovarmi di fronte ad una storia unica. Il modo in cui Silvia ha deciso di tessere la trama del tessuto che le è stato strappato offre un'angolatura di sguardo particolare dove i muri del silenzio, del dolore, delle divisioni politiche, vengono toccati con una mano che vuole sentirne la densità senza pregiudizi ideologici. Questo desiderio di esplorare l'uomo e la storia per me unisce un'esperienza quasi "sacra" di svelamento e una dimensione più "profana" a contatto diretto con la violenza e ciò che di più incomprensibile l'essere umano porta con sè. Per questa ragione nel documentario ho voluto lavorare mescolando due registri musicali specifici. Da un lato la musica sacra con lo "Stabat Mater" e "Alma", cantate in latino, profonde e solenni; dall'altro, un universo sonoro più fosco fatto di tensioni, inquietudini, domande.
L’idea di confrontarmi con il repertorio classico - con testi come lo Stabat Mater - l’avevo dentro da tanto. Quando più o meno diciottenne scoprii che Pergolesi compose il suo Stabat a soli ventisei anni, ecco, magari ho provato un senso di inadeguatezza. Un’opera perfetta scritta ad una così giovane età? Qualcosa non tornava. Messo da parte questo imbarazzo, oggi quella voglia di musica struggente e imponente, interiore e universale, è tornata. Con Sfiorando il muro credo che abbia trovato una giusta sede. Il film mi ha portato a Venezia, dove è stato selezionato alla "69ma Mostra del Cinema" nella sezione Proiezioni Speciali Fuori Concorso e ha ottenuto consensi davvero inattesi. Mi fa stare bene l'idea di aver potuto lavorare ad un progetto portatore di un messaggio tanto importante e profondo.

Il Trailer del film. (http://www.stefanolentini.it/Sfiorando-il-muro)

CS: Il sorteggio (Giacomo Campiotti, 2010) 
SL:
Gli anni '70 sono una sorta di archetipo del suono, la sensibilità artistica, la ricerca compositiva, l'espressività, e tecnicamente, i metodi di registrazione, restano tra i miei capisaldi. Per questo film ho lavorato su due registri, da un lato una ricerca che fosse storicamente dentro la scena, chitarre elettriche, basso, batteria e un'orchestrazione asciutta e aspra in sintonia con il clima di ansia e preoccupazione che travolge il protagonista. Dall'altro, il tango. Ho lavorato sulla scena con la coreografa mentre preparava i movimenti. E' stato necessario costruire delle musiche che consentissero espressività, fluidità e facilità d'esecuzione per gli attori che non avevano controfigure nel ballo.
Il sorteggio è un film sugli anni di piombo, prodotto per Rai Uno. Tonino (Beppe Fiorello) è un operaio di Fiat Mirafiori appassionato di tango che per un caso fortuito viene scelto per far parte della giuria popolare nel primo processo alle Brigate rosse. Si trova gettato in un luogo terribile, solo, impaurito e minacciato, deve scegliere tra responsabilità civile e interesse personale. Il suo amico e mentore, il sindacalista Gino (Giorgio Faletti) lo aiuterà a capire quali sono le sue responsabilità e i suoi doveri. Mentre il mondo privato del protagonista si gioca nelle pieghe del tango, fuori le tensioni del terrorismo politico mostrano tratti più inquietanti. L'unione e la sovrapposizione di questi elementi mi ha spinto in territori che non avevo mai avuto modo di esplorare, il tango prima di tutto, che è stato per me una novità e una sfida, ma anche le inquiete atmosfere notturne trattate in modo da poter essere calate nella specificità dei colori e delle atmosfere di quegli anni.

Titoli di testa su Vimeo. (https://vimeo.com/42489282).

CS: Bakhita. La Santa africana (Giacomo Campiotti, 2008)
SL:
Bakhita è una storia per me ricca di incontri. Il primo, importante e intenso, quello con il regista Giacomo Campiotti, è stato fondamentale. Ho lavorato a questo film per diversi mesi, con ritmi e orari improbabili, imparando moltissimo ogni giorno, producendo una quantità impressionante di provini e arrivando a fare le ultime modifiche due ore prima della partenza per andare a registrare l'orchestra, quando circa quattromila pagine di spartiti erano state stampate. E' stata una piccola epopea sviluppatasi con soddisfazione e successo nelle due puntate che continuano ad andare in onda in diversi paesi del mondo.
Bakhita è tratto dalla storia vera di una schiava comprata da un console italiano alla fine dell'800 in Sudan e condotta a servire la sua famiglia in Veneto. Bakhita, che in arabo, la lingua dei suoi rapitori, significa "fortunata", divenne libera in Italia e volle ricevere i sacramenti cristiani. Non conobbe i suoi genitori e la sua famiglia divenne la città di Schio, dove grazie alla sua bontà e al suo sorriso divenne amata e molto nota. Divenne suora e nel 2000, in seguito alla canonizzazione, Santa. 
Per questa colonna sonora ho utilizzato tanti strumenti, un'orchestra d'archi di 48 elementi, arpa, pianoforte, corni francesi, flauti, clarinetto, oboe, timpani, percussioni, strumenti etnici, la biwa cinese e la kora africana, voci, coro, coro di voci bianche e gruppo di djembe, balafon, doundounba e sabar, chitarra e anche un liuto rinascimentale per alcuni bordoni nel brano "Tabasamu" cantato in lingua swahili. Ho improvvisato al piano con il griot senegalese Madia Dyabate, ho diretto il coro di voci bianche di Paolo Lucci e un gruppo di percussionisti africani, ho suonato qualche percussione qua e là. Insomma è stato un viaggio denso e profondo alla ricerca di temi e sonorità etniche e popolari integrate naturalmente nel grande respiro dell'orchestra d'archi. Lavorare con Giacomo Campiotti ha significato imparare a servire il film e non la musica, la storia e non i temi. L'attenzione all'emozione, la cura del dettaglio di ogni singolo personaggio ed atmosfera mi ha portato a registrare una composizione diversa per ogni singola scena, talvolta molte versioni dello stesso tema riadattato. Ho prodotto più di ottanta tracce musicali ed è stato un lavoro davvero vasto ed accurato.
   
foto_stefano_lentini_3.jpgTabasamu su YouTube. (https://www.youtube.com/watch?v=aB7YNuZ8pzk)

CS: Shooting Silvio (Berardo Carboni, 2007) 
SL:
La mia opera prima per il cinema. E' stato un film autoprodotto, che ha visto la collaborazione di tante persone. Per un momento è stato una sorta di caso nazionale, la sua rassegna stampa stava raggiungendo i livelli dei film hollywoodiani, l'interesse della stampa estera, il merchandising, la partecipazione di artisti internazionali. C'è stato un attimo di grande fremito attorno a Shooting Silvio. Ho avuto la fortuna di essere prodotto dalla storica etichetta C.A.M. Original Soundtrack che ha stampato e distribuito il cd in Italia. La colonna sonora è stata il risultato di un lavoro polimorfo e variegato e il disco sembra più una compilation fatta con lo shuffle dell'ipod che un lavoro unico. Ci sono brani orchestrali, dance, uno in stile balcanico-underground, due brani classici quasi ottocenteschi suonati con la chitarra-lyra, altri per piano solo, una canzone pop. Non mi è mai più capitato di essere tanto variegato in una volta sola e devo dire che la cosa non è stata particolarmente apprezzata leggendo poi le recensioni. Ho sbagliato anch'io nel modo in cui ho ordinato la titletrack del disco, sicuramente non ho reso la vita facile all'ascoltatore. Ero in un momento di grande instabilità, emotiva e musicale. Ma la colonna sonora rimane un lavoro di grande qualità tecnica ed artistica. Sono molto legato al brano "Anthropology" che in quegli anni ha significato per me una sorta di manifesto-ricerca musicale. 

La scena della metropolitana, con A. Haber su Vimeo. (http://vimeo.com/35095174)

 

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