Per me "L’amore non basta"

foto_stefano_chiantini.jpgPer me "L’amore non basta"
Intervista al regista Stefano Chiantini

Sembra un ragazzo qualsiasi. Uno dei tanti in coda qui, alla serata di chiusura del MIFF-Film Festival Internazionale di Milano, giunto all’ottava edizione. Aria vagamente timida, mani in tasca, imbarazzo quando gli viene richiesta una foto. E’ un giovane tra i giovani, dall’allure casual, dai modi veri. Sa di genuino questo Stefano Chiantini. Sa di amore per il cinema, di passione per la regia e le storie vere che, come dirà, gli vengono dallo stomaco. Da un impulso prepotente. Non è stato forse questo il tema conduttore di tutto il festival milanese? Perciò, il Miff ha messo a segno un altro colpaccio e si è “portato a casa” l’anteprima nazionale de L'amore non basta, ultimo film del giovane Chiantini, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi e Rocco Papaleo (qui anche in veste di co-sceneggiatore oltreché di “grillo parlante”). "Il film prende spunto da sensazioni che ho vissuto”, racconta il regista, abruzzese, 33 anni, qui al suo terzo lungometraggio dopo Forse si... forse no... e Una piccola storia. E continua “Non volevo mostrare una storia definita, lineare, ma far rimanere in sospeso la vicenda dei due protagonisti, perché nella vita spesso le cose rimangono indefinite. E' vero, l'amore non basta, bisogna difenderlo e conquistarlo giorno per giorno. E a volte ci si lascia anche se ci si ama perché la felicità è fatta di tante cose, di equilibrio, di comunione, di realizzazione di sé”.

Colonne Sonore: Parliamo del tema del film, da dove nasce l’esigenza di raccontare una storia così sentita?
Stefano Chiantini: Dallo stomaco! Dalla necessità di scandagliare delle sensazioni che albergano nel profondo dell’animo, sensazioni che continuano a bruciare dentro finché non è più possibile contenerle. Sensazioni sicuramente personali ma che nello stesso tempo  vanno oltre la sfera privata e pretendono di rappresentare una porzione, non so quanto grande, di umanità. Avevo come l’urgenza di dare spazio a questo sentimento che è poi alla base della storia che ho scritto e diretto.

CS: Raccontiamo brevemente la trama del film…
SC: L’amore non basta racconta di Angelo e Martina, di Fernando e Marit, di Nicola ed Angelo, di persone che si amano in maniera diversa, con tutte le sfumature che la parola amore contiene, ma che nonostante questo non riescono ad incontrarsi e comprendersi pienamente. Più in generale è la storia dell’individuo nella società moderna; un individuo che potrebbe avere qualsiasi età e potrebbe appartenere a qualsiasi classe, una società in cui il rapporto interpersonale sta scomparendo.

CS: Come lo definiresti, una commedia per via degli spunti umoristici -forniti in primis da Rocco Papaleo- oppure un film drammatico?
SC: Ma…sostanzialmente è un “dramma” che contrariamente a come dovrebbe essere non progredisce. E’ un accadere che non porta con sé sviluppi; è un rapporto-non rapporto tra i personaggi: quello che si dicono non è altro che un monologo mascherato in forma dialogica.

CS: Come hai lavorato per rendere questo sottile rapporto –non rapporto?
SC: Ho cercato di rappresentare la sospensione, la non definizione, la crisi dei rapporti presenti nella sceneggiatura con un linguaggio cinematografico basato sulla perdita di fuoco dei personaggi, sulla non centralità dell’attore all’interno dell’inquadratura, sulla costruzione di un ritmo diverso del mondo che scorre intorno ai protagonisti del racconto.

CS: D’atra parte, a contenuti così profondi, fa da contraltare un “andirivieni” di divertenti siparietti. Era voluto?
SC: Sì. Ho utilizzato un registro comico ed ironico perché, sempre a mio modo di vedere, è attraverso la commedia e l’ironia che si possono amplificare e sottolineare in maniera più forte situazioni tragiche e dolorose. Sempre in questa direzione ho diretto alcuni momenti della sceneggiatura verso il grottesco, amplificando ed esasperando delle situazioni per raggiungere un effetto satirico.

cover_amore_non_basta.jpgCS: Poi la sorpresa: il film finisce senza una svolta. Decisone presa sin dall’inizio o “incidentale”?
SC: Volevo fosse così perché preferisco soffermarmi su spaccati di vita che restano in sospeso…a volte capita davvero così, no? Non mi piace dare allo spettatore una chiave di lettura, preferisco lasciare le cose “appese”. Qualcuno potrebbe vederci del pessimismo, ma credo che l'ottimismo stia nell'accettare lo stato delle cose. Nel cinema, non si deve per forza raccontare qualcosa che abbia uno sviluppo drammaturgico lineare con concatenazioni di causa ed effetto…mi piaceva così…

CS: Dove avete girato il film?
SC: In Abruzzo, per la maggior parte a L’Aquila, e poi ad Avezzano e Pescara.

CS: Come mai questa “felice” scelta”? Gli scorci che si intravedono sono molto caratteristici, quasi a misura dei personaggi…anzi veri e proprio personaggi…
SC: L’Abruzzo è la mia terra, e sono molto legato a quel tipo di paesaggi, e mi piaceva che i paesaggi fossero i volti dei protagonisti. Ho sempre immaginato la storia lì. Già nella scrittura ho fatto vivere e muovere i personaggi in quelle vie, bar, botteghe…

CS: La sceneggiatura è firmata da Rocco Papaleo e da te. Come è stato lavorare insieme? E soprattutto è vero che la partecipazione di Giovanna Mezzogiorno è “merito” di Papaleo?
SC: Sì (ride)!. Quando ho conosciuto Rocco Papaleo, avevo messo da parte lo script per fare un altro film, ma il rapporto di amicizia che era nato nel frattempo mi ha fatto decidere di portare avanti il progetto insieme. Sapevo che era amico di Giovanna Mezzogiorno, ma mai mi sarei permesso di chiedergli di parlarne con lei e sinceramente non pensavo potesse mai accettare di fare questo film. Invece mi sono dovuto ricredere quando ho ricevuto una sua telefonata in cui mi diceva che aveva letto la sceneggiatura e che voleva la parte. Pensavo fosse uno scherzo...con Giovanna  a bordo il progetto ha potuto prendere corpo!

CS: Facciamo un gioco. Immagina che non ci siano problemi di budget, a quali attori stranieri affideresti il ruolo dei protagonisti del tuo film?
SC: Allora, bella domanda…fammi un po’ pensare…Ah! A Leonardo Di Caprio, e a Emily Watson.

CS: Bella scelta. Il ruolo di Papaleo invece, a chi lo affideresti?
SC: …per lui è dura…dammi un aiuto…

locandina_amore_non_basta.jpgCS: Jean Reno?
SC: Sì, perché no, Jean Reno! Ce lo vedo, sì, vada per Reno!

CS: E ora parliamo un po’ della colonna sonora. A proposito, primi di iniziare, hai una colonna sonora cui sei particolarmente affezionato, o che ti ha colpito…
SC: Fosse solo una sarebbe facile! Ti dirò, quella dell’ultimo film di Wang Kar-Wai, My Blueberry Nights, l’ho trovata davvero bella…mi ha conquistato subito.

CS: Come mai, per il tuo film, ti sei affidato ad una colonna sonora originale anziché ad una compilation di successi che magari, a volte, ha più presa nel pubblico…e poi il repertorio italiano è pieno di canzoni d’amore che avrebbero potuto cantare la tua storia…
SC: E’ vero, infatti all’inizio avevamo pensato a qualche nostro cantautore…a Polo Conte nel ballo, e ad altri interpreti come Vinicio Capossela, per il pezzo finale…ma correvo il rischio di fare come gli ultimi film in circolazione, da Notte prima degli esami in poi, che sono film accompagnati da successi conosciuti da tutti. Il punto è che per questa storia così intima e dolorosa volevo un tema intimo e doloroso, che facesse male, che procurasse la stessa sofferenza che provano i due ragazzi. La scelta è quindi andata su musiche originali perché mi sembrava bello sviluppare un leitmotiv che diventasse poi il tema portante del film, anche perché, ripeto, è un tema molto doloroso, molto intimo. E’ stato difficile lavorare alla musiche, il problema ha riguardato soprattutto la prima parte del film, dove si portavano avanti due temi diversi: un tema ironico e comico e quello malinconico. Mi spiego meglio; nella scena iniziale, ad esempio, c’è Rocco che dice “Se cade l’aereo che faccio”, e subito dopo c’è l’inquadratura di spalle di Giovanna che va via -che forse, dal mio punto di vista è una delle inquadrature più malinconiche del film- tutta sola sull’aereo tutto vuoto. Il musicista Piernicola Di Muro, è giovane, ha 32 anni…ha letto la sceneggiatura, abbiamo parlato spesso anche perché abbiamo un rapporto che ci porta a confrontarci in maniera molto aperta, e ha composto le musiche non appena è iniziato il montaggio dei provini. Ovviamente poi abbiamo modificato, tagliato, cambiato…è stato un lavoro come sempre molto di squadra.

CS: Un ultima curiosità: ma dove trovi l’ispirazione per una storia?
SC: Prendo spunto dalla mia vita…che è un dramma!

 

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