Genova, una città, un film

foto_michael_winterbottom.jpgGenova, una città, un film

Anteprima italiana il 5 dicembre al Cineplex di Genova, del film Genova di Michael Winterbottom. In sala il foresto Jovanotti, autore della canzone su cui scorrono i titoli di coda.

Due chiacchiere con Michael Winterbottom

Viso da bambino vispo e intelligente. Tipico sguardo curioso di chi fa cinema con disinvolta purezza, alla Godard per intenderci, senza copione e cogliendo l’attimo con la sola cinepresa. Mani inquiete. Corpo slanciato e scattante, come quello di un ragazzo con la metà dei suoi 46 anni. Perenne ghigno furbetto di chi ha già qualcos’altro in mente. Spirito indipendente ed eclettico, senso visivo tagliente, gusto orientato verso storie melodrammatiche con cui dire qualcosa di intimamente necessario. Regia aspra, inquadrature veloci e nervose, montaggio serrato e frenetico in cui vena documentaristica e invenzione narrativa si mescolano. Winterbottom è un cineasta a tutto tondo (regista, sceneggiatore, produttore e co-fondatore della Revolution Films insieme a Andrew Eaton), instancabile sperimentatore di opere debordanti spesso apprezzate dai Festival (Orso d’Oro per Cose di questo mondo, 2002, e Orso d’argento per The Road to Guantanamo, 2006). La costante? La centralità dei personaggi che si definiscono attraverso l’ambiente nel quale agiscono. Sia questo gestito da un dramma on the road (l’acclamato Butterfly Kiss, 1995), da una tragicomica vicenda (Go Now, 1995), o ancora da una parentesi in costume (Jude, 1996) o da un 'docu-film’ (Benvenuti a Sarajevo nel 1997), passando dal melodramma noir (I Want You, 1998) all’esperienza in digitale (Wonderland, 1999); passando per Mighty Heart (storia vera del corrispondente asiatico per il “Wall Street Journal”, rapito e poi ucciso da un gruppo integralista islamico) sino all’odierno ghost movie Genova. Sono queste le storie che Michael ama raccontare. Storie “difficili”, spesso socio-politiche, la cui chiave unificante risiede nella semplicità con cui catturare realtà ed emozioni. L’indole “felina” di Winterbottom lo porta poi a circondarsi solo di pochi e fedeli amici e scegliere temi che di volta in volta lo interessano, messi in scena nel modo a lui più congeniale. “Tutta questa libertà d’azione si perderebbe se dovessi lavorare ogni volta con uno staff nuovo. L’intesa è essenziale quando si ha poco tempo… spesso giro in sei settimane e ogni giorno cerco di fare il possibile, così se avanza del tempo procedo oltre. Una delle cose belle del lavorare senza copione e senza un piano di lavoro, è che tu, in sostanza, non hai nulla di pianificato da fare quel dato giorno, potresti anche bighellonare tutto il tempo, e nessuno può dirti che non hai girato tutto quello che dovevi, perché non c’è un copione da rispettare!”. Non c’è dubbio. La formula “liberi e rilassati” o più semplicemente “easy” -come dice lui- è la più idonea a garantire filmografia a scadenza annuale. Quattordici film in dodici anni di cinema, con svariate pellicole in arrivo, tra cui appunto Genova, film che il regista ha girato nel capoluogo ligure nell’estate del 2007, presentato in anteprima proprio nell’omonima città, lo scorso 5 dicembre. “Mi voglio scusare. Mi dispiace…perché questo non è un film su Genova, è un film girato a Genova. Parla di una famiglia persa e che si perde letteralmente in questa città mentre cerca di trovare se stessa”. Con questa “captatio benevolentiae”, Micheal Winterbottom saluta il pubblico del Cineplex, per quella che è stata definita l’anteprima italiana di Genova. Un’anteprima però atipica, visto che a questa proiezione, organizzata dalla Genova–Liguria Film Commission, non farà seguito, almeno per ora, nessuna programmazione. Nonostante sia già passata in diversi festival (San Sebastian e BFI London), la pellicola, infatti, non ha ancora trovato una distribuzione in Italia. foto_genova_film1.jpgLa vicenda ha per protagonista un trio familiare: il padre Joe (Colin Firth) e le due figlie Mary e Kelly (rispettivamente Perla Haney-Jardine e Willa Holland), che cercano di ricostruirsi una vita migrando da Chicago a Genova, dopo la morte della madre (Hope Davis) in un incidente d’auto. Nel capoluogo ligure, Joe inizia a lavorare come insegnante di inglese all’università (nello specifico i locali ripresi sono quelli della facoltà di legge di Via Balbi 5), dove ritrova la compagna di studi Barbara (Catherine Keener), mentre le figlie, in vacanza dalla scuola, dissimulano un distacco sempre più profondo tra di loro (la piccola si sente responsabile della morte della madre e la sorella maggiore l’accusa silenziosamente). Il film si snocciola per la maggior parte nei caruggi che, pur incarnando la metafora dello smarrimento, conservano tutto il loro genuino folklore. Michael gioca la carta dell’empatia col paesaggio; i personaggi sono schiacciati, quasi sopraffati, da ciò che li circonda, il frastuono dei vicoli e del traffico cittadino sono perfetti per descriverne lo stato d’animo. Ma non sono da dimenticare altri due protagonisti della pellicola: l’onnipresente colonna sonora originale di Melissa Parmenter, principalmente a base di pianoforte (la madre defunta nonché le figlie sono abili pianiste), e soprattutto il suono, quello vero, e in presa diretta, dell’esistenza. A proposito della colonna sonora Winterbottom racconta: “Abbiamo lavorato sulle musiche solo a film terminato. Dal momento che catturo quello che mi stupisce giorno per giorno non sarei stato in grado di farmi “dirigere” da una musica… è anzi stata proprio la sceneggiatura a suggerire l’andamento musicale dell’intero film, composto quasi esclusivamente di una colonna sonora originale creata da Melissa (unica eccezione la canzone di Neffa “Il mondo nuovo”, e la canzone scritta ad hoc per il film da Jovanotti "Per me" tratta dall' album "Buon sangue" su cui scorrono i titoli di coda". A proposito della sua collaborazione nel film, Jovanotti ha ricordato:“ Michael mi ha chiesto tramite e-mail di poter inserire una delle mie canzoni nella OST del film. Da sempre apprezzo i suoi lavori e ho accettato volentieri la sua proposta… Sono molto contento perché con tutti gli artisti meravigliosi genovesi che poteva scegliere, ha scelto me che sono toscano!”. Torniamo a Winterbottom. “Come ho impostato il lavoro con le musiche? Ho lasciato carta bianca a Melissa! (ride). Non avrei potuto fare altrimenti! Seriamente, Melissa era padrona della storia perché è stata parte del progetto sin dall’inizio, ha cercato le location con me, è sempre stata presente sul set, insomma, ha sempre respirato l’atmosfera dei personaggi”. Dal canto suo Melissa Parmenter fa apparire il lavoro del tutto naturale. “Non è stato un lavoro difficile per me”, racconta in un ottimo italiano. “Mi sono lasciata guidare dai sentimenti che prova questa famiglia. Hanno sofferto, il ricordo è ancora vivo, ma hanno voglia di ricominciare, hanno speranza. La mia fortuna è stata soprattutto quella di godere del film ‘in diretta’ mentre veniva girato. Come ha detto Michael, ne ho fatto parte sin dall’inizio. Questo mi ha permesso un approccio inconsueto. Di solito un compositore lavora sulle immagini proiettate sullo schermo, o sulla base di indicazioni date dal regista. Io, invece, avevo il film a disposizione. Ho solo seguito la storia, ho ascoltato le emozioni che mi suggeriva di volta in volta”. Winterbottom chiacchierando durante il party organizzato dalla Liguria-Genova Film Commission al Nouvelle Vague (noto locale bohemien del centro storico genovese), confessa anche di esser rimasto colpito dalla città ligure, per il rumore, ecco perché, come già avevo detto, il suono nel film è così presente nella pellicola. “Di Genova mi è piaciuta la gente normale che la abita, l'atmosfera che si respira così diversa dal caos londinese, la scenografia naturale. I rumori del centro storico e quelli della natura quando giravamo gli esterni a Camogli… si sentivano le cicale. Li ho lasciati apposta nel film, perché è quello che ha colpito tutti”. Ma come ha organizzato le riprese? “Ho cercato di riprendere tutto così come lo vedevano i miei occhi, non avevo storyboard. Ero libero di lasciarmi ispirare dalla città sul momento, per questo mi sono mosso con una troupe di poche persone, cinque al massimo. C’era una sceneggiatura da seguire, ma se gli attori improvvisavano, meglio, quella diventava realtà da filmare”.
foto_jovanotti.jpgSempre addosso ai personaggi, la cinepresa del regista inglese ne documenta i rapporti reciproci e ne descrive stati d’animo e variazioni emotive. Ai suoi attori è chiesto di improvvisare, ma senza definire troppo i contorni (psicologici e narrativi). E’ compito specifico della cinepresa, infatti, far vivere sullo schermo il senso ultimo di quel continuo alternarsi di dialoghi e silenzi, di violenza e tenerezza che attraversano i suoi film. “Di solito funziona così: ci incontriamo e parliamo della storia, ne discutiamo tutti insieme, e ognuno può dire la sua, arricchendo così l’ossatura dello script. La mia improvvisazione non è alla Mike Leigh che sì, improvvisa, ma dopo una preparazione di mesi; è più un sentirsi liberi di fare ciò che si vuole. Si può decidere di cambiare tutto nel bel mezzo delle riprese, senza sconvolgere nessun piano. E’ lo stesso motivo per cui preferisco girare con una camera a mano, gli attori possono andare dove vogliono e noi possiamo seguirli con facilità, riprendendo tutto ciò che accade sotto ai nostri occhi”. Libertà di operare che si ritrova anche sul set. “Parecchie sequenze nei miei film sono completamente improvvisate, e gli attori sono liberi di fare, dire e muoversi liberamente all’interno dell’azione. A questo punto, la struttura della storia e i personaggi sono più veri di quanto si potrebbe dedurre dalla sola sceneggiatura o dal suo pedissequo rispetto. Ecco perché preferisco andare sul set e vedere come va. Mi piace lavorare in un clima rilassato in cui gli attori quasi non si accorgono di essere al lavoro. In genere sono discreto e intervengo solo se necessario, e per creare le condizioni migliori cerco sempre di non lavorare più di otto ore al giorno”. Michael Winterbottom: piacevole, colto, sensibile e intelligente. Praticamente perfetto.


Per il materiale fotografico e l’intervista con Winterbottom ringrazio Beatrice Iasiello, della Genova-Liguria Film Commission.

Stampa