La Musica nel Muto: Smile…parte sesta

La Musica nel Muto: Smile…parte sesta

Il 15 maggio, alle ore 16, puntuale in Auditorium di Milano, ero seduta insieme a centinaia di persone pronta ad ascoltare/vedere, per l’ennesima volta, Tempi Moderni di Charlie Chaplin. Ci siamo lasciati in occasione dell’ultimo post di circa 15 giorni fa, dicendoci che avremmo fatto riferimento nei successivi approfondimenti a colonne sonore per il muto in grado di rispondere in modo serio all’idea di “composizione musicale”. Ebbene quale occasione più ghiotta della stessa musica di Chaplin per iniziare?!

E’ l’ottantesimo anniversario di questo capolavoro di Charlie Chaplin, Tempi moderni, e l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi ha deciso di inserire in programmazione l’esecuzione dal vivo della colonna sonora del film; a guidare la compagine, in questa occasione, è la bacchetta esperta di Timothy Brock, direttore che collabora stabilmente con la Cineteca di Bologna e con la Fondazione Chaplin, annoverato tra i più esperti della filmografia chapliniana. Una partitura restaurata nel 1999 quella di Tempi Moderni, con la supervisione dello stesso Brock; quali caratteristiche ha la score di Chaplin? Innanzi tutto è una partitura ricca, densa di evocatività, ma anche di sfondi clowneschi, senza tralasciare momenti struggenti e romantici, ma senza – ed è questo davvero un aspetto di rilievo – perdere terreno nella capacità di sorprendere, ironizzare, creare attesa. Il direttore originale della partitura, in occasione della registrazione in studio per la Fox, fu Alfred Newman, pluripremiato compositore, a sua volta vincitore di ben 9 Premi Oscar; l’arrangiamento curato da Edward Powell e David Raksin. L’orchestra originale di 64 elementi registrò per 4 ore di fila, tempo considerato realmente impegnativo se paragonato agli standard dell’epoca; Chaplin abituato ad un’orchestra solitamente di non più di 30 elementi, per l’occasione ne richiese più del doppio.
modern timesTempi Moderni è un lungometraggio che appartiene già al mondo del sonoro essendo del 1936, post crisi del 1929, quindi. Appaiono pienamente intellegibili, infatti, tutte le problematiche sociali dell’epoca: una società americana piegata dalla diminuzione drammatica del PIL, dal tasso di disoccupazione aumentato dal 3 al 25%, dalla crisi depressiva dilagante; le riflessioni personali di Chaplin affiorano in questa pellicola più che in ogni altro lavoro. Non possiamo non ricordare gli articoli scritti dallo stesso Charlie tra il 1932 e il 1933 per una rivista, titolata “A Woman’s Home Companion”, in cui il regista raccontava dei suoi viaggi in giro per il mondo ma, al contempo, spiegava la propria visione del mondo: la solidarietà nei confronti delle classi operaie e dei disoccupati; la visione delle istituzioni come volte più all’oppressione dei lavoratori che non a garantir loro un miglioramento delle condizioni di vita effettive; l’incoraggiamento nei confronti degli artisti ad uscire allo scoperto, anche occupandosi di temi sociali e politici. Ebbene, proprio in quegli anni, tra il 1933 e il 1934, Chaplin si dedica all’ideazione di Tempi Moderni. Lo si riconosce come progressista apartitico, sostenitore del New Deal roosveltiano. Il sistema nervoso a pezzi derivante dal lavoro alla catena di montaggio che, ancora il 15 in concerto, ha destato il sorriso negli spettatori/ascoltatori, il suo essere cavia di esperimenti e macchinari volti a ridurre il tempo di riposo degli operai e aumentarne la produttività, lo spionaggio del capo e la velocità disumana della catena di montaggio, son tutti rappresentati in scene comiche di alto profilo, ma che non perdono in alcun modo la propria potente natura di denuncia profonda del contingente.
E Chaplin trova la strada per riuscire a dire, a voce alta, tutto ciò, ma velandolo di quella quotidianità umana, di quella tenerezza e al contempo di quella comicità, di un grande sorriso, espresso magistralmente in “Smile” e nella delicatezza dell’idea musicale, tale da essere ancorato alla realtà sociale oltre ogni limite ed essere in grado di farla vivere e ri-vivere ancora oggi, inesorabilmente, ad ogni rappresentazione/ascolto della sua pellicola e della sua musica.
In questa partitura Chaplin esprime la sua idea di film sonoro, un sonoro affidato alla musica e agli effetti integrati al commento musicale. Nasce così una vera e propria invenzione musicale, sonora e vocale, unica nel suo genere, con voci filtrate da altoparlanti, grammofoni e radio, lasciando che anche la voce sia assoggettata alla macchina. Chaplin aveva in realtà scritto anche i dialoghi originariamente per il film, ma poi decise di non utilizzarli, convinto che il dialogo fosse solo in grado di impoverire la texture della partitura e del film, anziché sostenerla. E in funzione di una non letterarietà del testo e utile in-intellegibilità, sceglie per esprimersi con la propria voce, la canzone dal titolo “Je cherche après Titine”, conosciuta anche coi titoli “Nonsense Song” e “Titine”, ovvero una canzone composta nel 1917 da Léo Daniderff su testo di Bertal-Maubon ed Henri Lemonnier, connotabile come grammelot, ovvero un misto di parole in francese, spagnolo, italiano prive di senso e messe insieme senza alcun vero costrutto. Un non sense gli garantisce però la piena comprensione da parte del pubblico e il pieno apprezzamento: anche in questo ossimoro c’è tanto e profondo pensiero!
Il pubblico durante il film-concerto ha guardato tutto d’un fiato l’opera e ha ascoltato in religioso silenzio, sino alla conclusione…una fine diversa da quella solita del Vagabondo: Chaplin in Tempi Moderni non è più solo. Le due figure che chiudono la pellicola e che si allontanano insieme sono i due personaggi descritti da Chaplin stesso come gli unici due spiriti vivi in un mondo di automi. Chaplin sostiene che i due protagonisti posseggano in realtà ed esprimano in tutto il film l’eterno spirito della giovinezza, una giovinezza priva di morale, “…vivi perché sono bambini, senza senso di responsabilità. Spiritualmente liberi, mentre il resto dell’umanità è oberata di doveri. Non c’è attaccamento romantico nel rapporto tra questi compagni di giochi, tra questi bambini legati nella colpa da una complicità ingenua e innocente”. E l’unica regola che pongono al proprio vivere è quella del sorriso…Smile…sorridi anche se il tuo cuore sta soffrendo…when there are clouds in the sky,/ You'll get by,/ If you smile through your fear and sorrow / Smile and maybe tomorrow / You'll find that life is still worth while / If you just smile… Un giorno senza un sorriso è davvero un giorno perso.

 

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