Star Wars: Il Mito (e la Musica) continua!

locandina_star_wars_il_risveglio_della_forza.jpgStar Wars: Il Mito (e la Musica) continua!

Il vasto e variegato popolo degli “starwarsdipendenti”, che si estende ormai per due generazioni, era sino a questo momento diviso in due grandi partiti. Il primo ritiene che la saga sia perfettamente racchiusa e conclusa nei primi (in ordine di realizzazione dal ’77 all’83) tre episodi, il IV, V e VI, contenenti già tutti gli elementi narrativi e le tematiche del mito, e guarda quindi con diffidenza se non con aperta ostilità ai successivi episodi, I, II e III (1999-2005), così come alle manipolazioni tecnologiche apportate ex-post da Lucas ai capitoli precedenti, ritenendoli superflui, addirittura ridondanti e rispondenti a puri fini commerciali, oltre che stilisticamente incompatibili con la prima trilogia.
Il secondo partito al contrario ricorda che lo stesso originario progetto lucasiano prevedeva una ennealogia (nove capitoli), e quindi gli episodi realizzati a cavallo dei due millenni costituiscono un necessario prosieguo del percorso mitologico della saga, di cui forniscono approfondimenti psicologici e persino ideologici, non potendo dunque in alcun modo essere separati dalle altre parti del ciclo.
Si può facilmente prevedere che a queste due fazioni se ne aggiungerà tra pochi giorni una terza, a sua volta divisa in due correnti: chi riterrà l’Episodio VII un ulteriore, naturale passo nel compimento dell’opera (che dovrebbe infatti concludersi con gli episodi VIII e IX nel 2019), anche se affidato a mani diverse da quelle del suo creatore; e chi invece lo valuterà come un blockbuster fra i tanti cui ormai il pubblico è assuefatto, buono al massimo per tentare di fidelizzare – anche attraverso una martellante campagna di marketing – il pubblico più giovane ad una serie di personaggi a lui del tutto sconosciuti.
Non essendo questa la sede – ed a schermo ancora oscuro – non staremo qui ad addentrarci in quella che rischia di rivelarsi un dibattito ozioso tra puristi e apocrifi, apocalittici e integrati della saga fanta-avventuroso-scientifica più celebre della storia del cinema. Quel che ci preme invece sottolineare, aspettando Il risveglio della forza di J. J. Abrams sugli schermi dal 16, è che un solo elemento sembra mettere d’accordo tutte queste varie scuole di pensiero: e questo elemento si chiama John Williams.
Quanto dire che tutti concordano sull’assoluta centralità, sul ruolo di coesione poetica e psicologica, sul fortissimo spirito di unità che la colossale architettura musicale edificata dall’oggi quasi 84enne compositore newyorkese in poco meno di un quarantennio ha conferito alla saga Star Wars in ogni suo risvolto e in ogni sua ramificazione. Se mai, insomma, un musicista del cinema è stato a tutti gli effetti co-autore nella costruzione di una mitologia, questi è stato sicuramente John Williams nel ciclo Star Wars. E ancora una volta, nel proporre questa considerazione, non si può non andare con la mente all’inevitabile parallelismo con l’impresa wagneriana dell’”Anello del Nibelungo”, sia per il ruolo dei leit-motifs sia per le assonanze narrative, ma soprattutto per l’impressionante analogia tra la non-linearità cronologica delle due saghe: realizzate cioè in un arco creativo di tempo lunghissimo e senza seguire l’ordine cronologico degli eventi.
La memoria, allora, corre inevitabilmente a quell’estate del 1977 in cui sulla scrivania e sul piatto del giradischi dei (relativamente) pochi appassionati dell’epoca planò il doppio, lussuoso vinile Fox dell’Episodio IV, successivamente re intitolato Una nuova speranza, ma all’epoca – semplicemente – Star Wars, Guerre stellari: una confezione sobria, singolarmente simile a quella del soundtrack in uscita il 18 dicembre, scritta bianca enorme su sfondo nero. All’interno un poster e molte foto dal film. Poco d’altro, se non la precisazione dell’orchestra: London Symphony, allora come ora una delle compagini più prestigiose del mondo. Sarà l’edizione italiana, distribuita poco dopo dalla Phonogram, a declinare le generalità uno per uno di tutti i componenti dell’organico.
Malgrado avesse già vinto un Oscar con Lo squalo e vantasse una già lunghissima filmografia, il nome dell’autore, quasi provocatoriamente così comune, non era notissimo fuori dagli States; né gli strumenti del marketing quarant’anni fa somigliavano neanche lontanamente alla spaventosa macchina da guerra contemporanea. La curiosità era insomma notevole e su questa curiosità si abbattè come un ciclone l’ascolto, sin da quell’incipit divenuto, nei decenni, leggendario, quasi una sorta di inno nazionale alternativo americano: l’esplosione dell’accordo di si bemolle maggiore dei Main Title, marcato “Maestoso” in partitura, declinò allora – e lo avrebbe poi fatto altre sei volte – le generalità di uno score fuori dal comune per quantità, imponenza, importanza e spessore. Spiace davvero molto che Bernard Herrmann, scomparendo nel ’75, non abbia fatto in tempo ad ascoltarla perché proprio lui, che dagli anni Sessanta in poi lamentò – e subì sulla propria pelle – la deriva “pop” della musica per film, e che aveva avuto sotto la sua ala protettrice il giovane Williams delle prime armi, avrebbe salutato con gioia questo gigantesco ritorno ad una tradizione musicale sinfonica della grande Hollywood, ma aggiornata a tutte le suggestioni della modernità da parte di un compositore che ha sempre avuto ben presenti, nel corso della propria carriera, la lezione dei grandi modelli tra ‘800 e ‘900 e, in alcuni casi, anche quella delle avanguardie storiche.
Sbalorditiva apparve subito la ripartizione dei temi: lo svettante tema di Luke, quello di Leia (un sublime assolo per corno), quello della Forza di straordinaria potenza evocativa, la malefica e martellante Marcia imperiale (o tema di Darth Vader)… Un parco di idee che sembravano fiorire nel compositore con incredibile spontaneità, germinando l’una dall’altra in una fantasmagoria sonora tra Rimsky-Korsakov, Prokofiev, Sostakovich e Strauss, e che apparve subito con tutta evidenza destinata ad approdare anche nelle sale da concerto.
Il primo a intuirlo, nei piani “alti” dell’interpretazione musicale, fu Zubin Mehta che nel ’78, sul podio della Filarmonica di Los Angeles, incise per la London una sontuosa esecuzione della suite abbinata a quella da Incontri ravvicinati del terzo tipo, di fatto sancendo la indiscutibile collocazione di Williams ai piani più elevati della musica colta. Ma nel frattempo anche l’inesauribile Charles Gerhardt aveva fatto altrettanto, e anche di più, con la National Philharmonic, avviando quella che sarebbe stata nei decenni una fortuna discografica senza precedenti del ciclo, le cui riedizioni e riesecuzioni – anche da parte dello stesso autore - oggi non si contano. Sappiamo che l’Italia fino a qualche anno fa in questo repertorio non fa testo: e tuttavia già cover_star_wars_episodio4_vinile.jpgmolti anni orsono (se la memoria non ci inganna a metà anni ’80) il direttore inglese Jan Latham Koenig propose al Filarmonico di Verona la suite di Star Wars, dinanzi ad un pubblico dapprima perplesso poi entusiasta. Oggi è forse presto per dire che siamo dinanzi ad una prassi, ma certo è che a rompere il ghiaccio fu a Roma Antonio Pappano che nel 2006, nel concerto di chiusura dell’Accademia di Santa Cecilia in occasione della prima edizione della Festa del Cinema di Roma, annunciò al pubblico come bis una “sorpresa” e diede il formidabile attacco dei Main Title, suscitando un’ovazione incontenibile. Oggi (sarà anche l’effetto del marketing, in questo caso positivo) le musiche di Williams hanno una circolazione sempre più frequente: a Milano l’orchestra de laVerdi sotto la guida di Simone Pedroni è ormai un punto fisso di riferimento in questo repertorio, come dimostrato la scorsa estate e come avverrà nella prossima, mentre a fine maggio, di nuovo a Santa Cecilia, sarà il maestro francese Stéphane Denève, allievo di Solti e Prêtre, a proporre un omaggio a Williams in una serata a lui dedicata.
Ma mentre tutto questo accadeva il compositore aggiungeva altri preziosi tasselli al mastodontico puzzle concepito da Lucas. Se l’Episode V e il VI, realizzati nell’arco di poco più di un lustro, poterono godere rispetto al IV di una coerenza leitmotivica e di un’uniformità sonora abbastanza prevedibile, una nuova ondata di stupore attendeva l’uditorio allorché il maestro americano, nel frattempo divenuto figura carismatica e pluripremiata della musica internazionale, riprese in mano la materia a ben ventidue anni di distanza dalla prima partitura. Ancora oggi appare sensazionale l’immediatezza, la freschezza d’ispirazione e l’energia con la quale Williams ha saputo ritrovare intatti non solo la lettera dell’universo musicale di Star Wars, ma soprattutto il suo spirito: attraverso la ripresa dei temi, la riformulazione dei timbri orchestrali, l’intatta e irrefrenabile irrequietezza ritmica, Williams ha dato l’impressione di aver lasciato la partitura sul pianoforte aperto appena qualche giorno prima, anziché per quasi un quarto di secolo. E in questo caso gli episodi I, II e III esibiscono un crescendo emotivo, una palpitazione interiore, una frenesia romantica incontenibili, che culminano – almeno sino ad ora… - in La vendetta dei Sith: tutto il materiale degli episodi I e II vi confluisce ad una temperatura incandescente, con una infinità di nuove indimenticabili idee tra le quali citiamo solo il tema d’amore fra Padme e Anakin noto come “Across the Stars” che più di qualcuno ha dichiarato essere il più bel love theme di tutta la storia della musica per immagini. E proprio nell’epilogo di questa che sinora appariva come l’ultima tappa del viaggio, ecco che Williams “si ricorda” del tema di Luke e di Leia, evocandone sommessamente l’eco alla loro nascita, proprio come aveva – con geniale allusione – suggerito il futuro tema di Darth Vader in coda al tema dedicato ad Anakin bambino.
Sono elementi crediamo sufficienti per attendere ora (dopo altri sedici anni dall’Episodio I) la nuova fatica di Williams con trepidazione: è noto che per potervi attendere con il dovuto impegno il maestro, anche alle prese con gli inevitabili acciacchi della propria veneranda età, ha dovuto rinunciare per la prima volta dopo trent’anni al sodalizio con Steven Spielberg, lasciando a Thomas Newman il compito per Il ponte delle spie. Una rinuncia che dev’essergli costata non poco, ma che ci rende tutta intera l’idea di quanto egli stesso, ormai, identifichi una gran parte della propria traiettoria creativa e del proprio mondo poetico con quell’universo, apparentemente così ludico e disimpegnato in realtà così simbolico e stringente, di avventurieri spaziali, ideologie totalitarie e aspirazioni ad un’umanità migliore.

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