Il volto musicale di Babadook

locandina_babadook2.jpgIl volto musicale di Babadook

Il recente, dibattuto e controverso film dell’esordiente Jennifer Kent mette in luce forti ed originali scelte musicali, che pongono decisamente in discussione i classici stilemi sonori del cinema dell’orrore.

A differenza di quanto possa indurci a credere il tetro ed orrorifico trailer, il lavoro dell’australiana regista -  distribuito in Italia solo ora, con un anno di ritardo - non desidera far leva su istantanee trovate ad effetto.
Con le sue intelligenti scelte estetiche, Babadook sa infatti inanellare un irrequieto ed estenuante crescendo, offrendo i contorni ad un terrore apparentemente immobile.

La narrazione registica - legata a doppio filo alla componente musicale - rovescia l’epidermide narrativa del lavoro, mettendone a nudo il vibrante contenuto psicologico, che diviene l’autentico piano narrativo in cui i protagonisti, Amelia e il figlio Samuel, mettono in atto i propri demoni.

In ragione di ciò il commento sonoro realizzato da Jed Kurzel sceglie di non affidarsi ad un motivo portante o ad una prevedibile, forse desiderabile, ricerca dell’impatto.
Babadook imbocca infatti una direzione volta a contraddire i tanti luoghi comuni del cinema e delle musiche dell’orrore, palesando maggiori affinità con i toni di una fiaba nera, o di un racconto alla Edgar Allan Poe, che con una sanguinolenta pellicola horror.

Nella colonna sonora in oggetto non ci imbatteremo dunque nelle consuete sinistre dissonanze di archi, o in familiari staccati di contrabbasso, perché, a dispetto di quanto possa evocare la nera sagoma della locandina, non c’è nessuna grandguignolesca presenza da annunciare, nessuna tangibile entità da cui la musica voglia metterci in guardia.

In Babadook la componente sinistra non risiede in alcuna casa posseduta o alcun luogo del delitto, ma ha come vero scenario l’interiore - abitativo ed emotivo - dei due protagonisti: una giovane vedova schizoparanoide alle prese con un bambino con gravi problemi di adattamento sociale e scolastico.

Ma la vera chiave di volta - musicale e filmica - di Babadook combacia con la sua valenza proiettiva: basta poco per accorgersi che l’uomo nero non è che un pretesto, un muro su cui i protagonisti proiettano l’ombra dei propri demoni.
I due tormentati personaggi mettono dunque in atto un macabro palleggio delle proprie angosce, nascondendosi dietro la sagoma di un favolistico e sfuggente “Boogie Man”.
Che si tratti della paura dell’abbandono da parte del bambino o delle sempre più tangibili nevrosi materne, i tratti del nero protagonista appaiono via via con maggior nitore, e con essi il sonoro, che prende i contorni di un livido motivo musicale.

La trama sonora della pellicola non desidera perciò consacrare i momenti più violenti - di cui non è priva - con l’ingresso di uno specifico tema, e raramente cede il passo a facili esplosioni musicali.

Questo perché non c’è nessun mostro da celebrare. In altre parole non esiste alcun Babadook.

La nera sagoma, che si presenta a tratti come una buffa summa dei tanti miti dell’uomo nero - un pò Babayaga un pò Freddy Kruger - altro non è che il risultato della sinergica compressione psichica di una madre ed un figlio sempre più esausti.
I due, in qualche modo, cercano di ricostruire un rapporto affettivo nato sotto una cattiva stella, un legame sfregiato fin dal principio da una gravissima perdita.

Come intuibile non si rintraccia nessun brano diegetico nell’andamento musicale film; il sonoro ha qui un ruolo mediato perché, oltre ad accompagnare le sequenze con poche note liquide, si pone come la cantilenante trasposizione dell’indefinito terrore che prende possesso dei protagonisti.
Tale rovesciamento narrativo si rintraccia a tutti gli effetti nell’armonia del film, dando luogo a brusche pause quando l’ossessione prende le forme di un sogno interrotto, ora tacitandosi dolorosamente quando la protagonista appicca il fuoco all’inquietante libro, esorcizzando la terribile presenza che porta con sè.

foto_jed_kurzel.jpgPer questo la lettura musicale segue esclusivamente il piano interiore dei due protagonisti, privandosi volontariamente di roboanti ingressi o di violente esplosioni sinfoniche.
La volontà di preparare lo spettatore/ascoltatore ad un’insoddisfatta esplosione musicale è una chiara prerogativa di questa pellicola, che predilige un disarmonico strascichìo ad una gratificante deflagrazione sonora.
La partitura è dunque affidata al ricorrere di pochi elementi, disarmonici ed estranei a sviluppi che rincorrano gli orizzonti narrativi.

La musica in Babadook resta sostanzialmente immobile, esattamente come l’angoscioso libro di cui la protagonista fatica a liberarsi.

La colonna sonora gioca un ruolo sinestetico, lavorando per contrasto e sottrazione, caricandosi di significati senza per questo imporsi sugli altri elementi sonori e visivi.
Innanzitutto il commento è affidato a tenui macchie sonore, dove pianoforti ed echi intessono un indistinto sottofondo, come a ricalcare i sempre più trasfigurati contorni emotivi di Amelia e del figlio Samuel.
La musica prende le fattezze di un fluido sonoro, fatto di passaggi atonali e sonorità carillonesche; un doloroso e impalpabile contrappunto ai sempre più svuotati dialoghi dei due.

Nel dipanarsi della storia Jed Kurzel, autore delle musiche, agisce inoltre con elementi che divengono a tutti gli effetti protagonisti sonori, come il disturbante ronzìo che identifica l’arrivo di Babadook.

Vanno infine portate all’attenzione altre due fondamentali componenti nell’uso della musica nel film.
La prima è rappresentata dal sapiente impiego di ampi e dilatati silenzi, giocando ad annunciare il mancato fragore tematico prima citato.
Secondo e non meno importante cardine musicale è la scelta di una costruzione che prende le mosse dal tono favolistico del lavoro: spesso la colonna sonora del film sembra fare il verso alle filastrocche del libro maledetto che dà il titolo all’opera.

locandina_babadook.jpgIn Babadook la musica riesce dunque a trascinarci in un andamento spiraliforme che non ammette sviluppi o modulazioni, ma solo un angoscioso e divorante reiterarsi delle medesime cellule armoniche.
La sua musica restituisce la raggelante sensazione sonora di un irrequieto sguardo sull’abisso, e spaventa perché, in maniera geniale, adotta l’alfabeto sonoro dell’infanzia, evocando con efficacia l’uomo nero nascosto dentro l’armadio.

Con il suo senso apparente di incompiutezza, il commento musicale di Babadook ci suggerisce che quell’uscio, quello spiraglio, non saranno mai del tutto chiusi.

Per approfondire l'aspetto filmico di Babadook leggete la recensione della pellicola al seguente link:
http://www.cineavatar.it/recensioni/babadook-un-horror-di-pura-convenzione-filologica-la-recensione/

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