Herrmann & Shostakovich

Bernard HerrmannDimitri Shostakovich

Cos'hanno in comune fra loro le figure di Dimitri Shostakovich e Bernard Herrmann, ossia di due fra i maggiori compositori del secolo scorso?
Apparentemente poco: a parte alcune curiosità personali (entrambi soffrivano di una forte miopia, entrambi erano rinomati per il difficile carattere e per una propensione alla malinconia depressiva) e la comune data della scomparsa, avvenuta giusto quarant'anni fa, nel 1975, a pochi mesi di distanza (il 9 agosto per il russo, la vigilia di Natale per l'americano), fra i due sembra intercorrere un'enorme distanza in termini di formazione, personalità artistica, linguaggio musicale, storia individuale. Nato nel 1906 ossia sotto gli Zar il primo, formatosi nell'infuocato periodo della Rivoluzione bolscevica, osannato e perseguitato a fasi alterne, più volte accusato e riabilitato, compositore di Stato dell'Unione Sovietica ma anche imputato di “formalismo” e “distacco dalle masse”; newyorkese classe 1911, ma di famiglia dalle radici russo-ebraiche il secondo, formatosi negli ambienti della Juilliard School, direttore oltre che compositore, didatta e divulgatore molto sensibile nei confronti della musica contemporanea.

 

Ma se li ricordiamo oggi qui, insieme, è perché alcuni elementi delle rispettive personalità creative sembrano curiosamente combaciare, e confluire proprio in quell'attività – che entrambi coltivarono sia pure in misura diversa – della composizione per il cinema. Innanzitutto: non sappiamo con certezza se Shostakovich conoscesse il lavoro di Herrmann, anche se è probabile, ma sappiamo sicuramente che Herrmann conosceva, ed anzi dirigeva Shostakovich. Proprio in àmbito cinemusicale, è rimasta agli atti una memorabile incisione Decca di una lunga suite dalla partitura shostakovichiana dell'Amleto (1964) di Grigorij Kozincev, con Herrmann sul podio della National Philharmonic, in un album intitolato “Music from Great Shakespearian Films”. Si tratta di una testimonianza discografica preziosa e illuminante sul piano interpretativo, ma anche di un collegamento diretto e forte fra le due figure. Collegamento che si rinforza ancor più se si analizzano le modalità con cui i due maestri ebbero accesso alla musica per film, e l'atteggiamento diremmo quasi ”filosofico” che essi mantennero nei confronti del cinema e di questa branca della storia della musica. Shostakovich si accostò inizialmente alla musica per il cinema come pianista-improvvisatore, per pura necessità economica e non senza malumore: ma quell'esperienza, vissuta negli anni '20, lo mise a stretto contatto con le più tenaci e innovative avanguardie culturali del paese (prima che esse si sbriciolassero sotto il tallone della tirannide staliniana), e gli consentì più tardi di divenire - più continuativamente e largamente del suo collega Prokof'ev – un musicista cinematografico di grande spicco creativo, coraggioso e disponibile, versatile e visionario, estremamente dotato sia sul fronte epico-celebrativo che su quello grottesco-surreale. Anche quando le sue composizioni classiche, le sue sinfonie, i suoi concerti e quartetti, le sue opere, lo avevano ormai reso celebre, Shostakovich non rinnegò mai quell'esperienza nella musica per immagini, e continuò anzi a praticarla con  entusiasmo rinnovato, considerandolo solo uno dei numerosi generi musicali affrontati nella propria carriera.

Il medesimo atteggiamento caratterizzò tutta la vita e l'opera di Herrmann, dalle prime esperienze radiofoniche per il Mercury Theatre di Orson Welles sino al sodalizio meraviglioso con Alfred Hitchcock, per giungere ai più tardi capolavori con le partiture per De Palma, Truffaut e Scorsese. “I don't write songs, I write film music!” tuonava il compositore in uno dei suoi ricorrenti e temuti scatti d'ira a chi aveva l'ardire di chiedergli una deviazione dai suoi abituali standard compositivi. Herrmann, che ha composto una sinfonia, musica da camera e vocale, nonché una delle più gigantesche e splendide opere del Novecento musicale, “Wuthering Heights”, dal romanzo di Emily Brontë , sciaguratamente ignorata dai teatri, considerava la musica per film come un territorio di pari dignità con tutti gli altri, in cui anzi esercitare, far progredire e innovare il proprio linguaggio con una libertà e un'indipendenza sconosciute alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi.

Furono insomma entrambi alfieri e custodi, Shostakovich ed Herrmann, della “nobiltà” e libertà artistica della musica cinematografica, verso la quale spesero buona parte delle proprie energie creative senza il minimo complesso di inferiorità o atteggiamento riduttivo. Erano due personalità costantemente prioiettate in avanti, verso il futuro e verso nuovi approdi, che avrebbero raggiunto in modi e con mezzi che non possiamo purtroppo immaginare, se non fossero entrambi scomparsi abbastanza prematuramente: né le condizioni politiche per Shostakovich, né le difficoltà e gli ostacoli dello star-system e delle sue spietate leggi per Herrmann, impedirono loro di conservare sino alla fine un profilo autonomo, orgogliosamente ribelle e creativamente indomabile.

Li ricordiamo e li rimpiangiamo, oggi, soprattutto per questo, da Mosca a Hollywood, grati per il lascito che ci hanno consegnato e consapevoli che, anche guardando alla loro opera, la storia della musica per il cinema (e non solo per esso) ci appare quello scrigno di pietre preziose e quel fiume in piena di creatività che da quasi un secolo accompagna la nostra esistenza.

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