"Horror Soundtrack": La musica e il cinema Horror - Parte 4

foto_simonetti_argento.jpg"Horror Soundtrack": La musica e il cinema Horror - Parte 4

Cap. 4 - Dario Argento e i Goblin

La maggior parte dei registi fa il film, lo monta e poi lo consegna al musicista disinteressandosi della musica.
In seguito sente la musica e la mixa , ma non sa nemmeno di che si tratta.
Per me è incredibile questo modo di lavorare, il film mi sembrerebbe di un altro.

Dario Argento

Il 23 aprile 2007 Dario Argento ha partecipato ad un incontro, organizzato da Filmidea, con gli studenti di Scienze della comunicazione presso l’Università degli studi di Salerno. Riportiamo qui di seguito il suo intervento riguardante le musiche dei suoi film:
«In un periodo in cui non facevo ancora il regista cominciai a pensare che le colonne sonore erano sbagliate, perché accompagnavano le scene ma non partecipavano veramente all’opera, non partecipavano al film. Il film finiva con te che dicevi “ma che c’era la musica?” Non te ne accorgevi, c’era una musichetta che accompagnava ma che non ti rimaneva mai impressa, a parte qualche motivetto.
Invece pensavo che la musica fosse una delle colonne importanti in un film (facevo ancora il critico), assieme alla recitazione, alla sceneggiatura, alla regia, al colore, alla macchina da presa…pensai che fosse una cosa fondamentale, una delle strutture portanti che dovesse partecipare al film, e non starne distaccata, lo spettatore doveva ricordarla. Già dal primo film che ho fatto, ricordo che andai da Ennio Morricone, che abitava vicino casa mia, e cominciammo a parlare del film L’uccello dalle piume di cristallo. Ennio studiò il film ed io capii che stava per fare di nuovo una musica di accompagnamento. Io ero ingenuo, ero ancora un ragazzino, era il mio primo film, però ero abbastanza sicuro di me stesso e gli dissi di comporre una bella musica potente che partecipasse, una musica che fosse come il grido di una persona, che fosse presente e si manifestasse parlando, strillando o urlando o mormorando. Ad esempio, nel film volevo che ci fosse una voce femminile che cantasse, una voce molto giovane che doveva ricordare, nella mia idea, il personaggio di lei che ha sofferto, che è stata violentata, qualcosa che ricordasse quando era bambina, quando era ancora pura e cantava queste musiche delicate, queste nenie. Morricone fece ciò che gli chiesi, e in seguito ho partecipato sempre di più alla realizzazione della musica, finché abbiamo litigato perché insistevo troppo, rompevo troppo le scatole. Lui era un grande autore, però aveva le sue idee. Per questo sono passato ai Goblin, a Keith Emerson, e a tanti altri. I miei film piacciono molto ai musicisti. Lo capisco, perché c’è molta musica e danno adito ad un musicista di fare musica buona. In Suspiria ho partecipato alla stesura della musica e alla composizione di due pezzi, così come in Zombi di George Romero.»

argento_regista.jpgDario Argento rappresenta l’autore che, nel genere di cui stiamo trattando, dà forse la maggiore importanza all’elemento musicale. Argento è forse il primo vero grande autore moderno del genere horror, per la massima rilevanza data all’opera demiurgica del regista, per il forte e ampio potere creativo di cui è dotato e per l’intervento fondamentale e il ruolo necessario che egli pone in ogni elemento filmico, da quello visivo a quello auditivo, dall’elemento narrativo a quello fotografico. Il valore e il peso che Argento assegna alla musica è la dimostrazione di tutto ciò. Con Argento la musica assumerà nel genere un rilievo ed una significatività massima, un livello di importanza costitutiva del film ineguagliato. Se l’horror è uno dei generi in cui maggiormente si rileva un intervento del regista o dell’autore nella stesura della colonna sonora, Dario Argento porta all’estremo tale tendenza, anticipando figure come John Carpenter.
La filmografia di Argento viene generalmente suddivisa in due fasi: nella prima fase troviamo gialli dall’impianto narrativo logico-razionale, con una serie di delitti compiuti da un assassino che viene smascherato al termine del film (formula a cui è ritornato nelle sue ultime pellicole). A tale fase appartengono i film della cosiddetta trilogia animalesca: L’uccello dalle piume di cristallo (1971), Il gatto a nove code (1971) e Quattro mosche di velluto grigio (1972), tutti e tre musicati da Ennio Morricone. A partire da Profondo rosso (1975) saranno prevalenti gli elementi fantastici e orrorifici e comincerà la fruttuosa collaborazione con il gruppo rock dei Goblin.
Le musiche dei Goblin per i film di Argento smentiscono e contraddicono uno dei criteri fondamentali del funzionamento di una colonna sonora, identificato nell’ascolto privo di un’attenzione cosciente nello spettatore. La musica dei Goblin viene invece ascoltata coscientemente, lo spettatore ha consapevolezza di ciò che sta ascoltando, poiché essa si impone prepotentemente alla sua ricezione, pretende di essere ascoltata e memorizzata. La musica è in primo piano, diviene protagonista della scena filmica, acquisisce un’importanza pari se non superiore all’elemento visivo.
Il cinema di Argento è forse il migliore esempio e la migliore dimostrazione, nel genere, della audiovisione di Michel Chion, una fruizione che implica uguale coinvolgimento di entrambi i sensi, quello visivo e quello acustico. In una conversazione Chion afferma: «Cinema non vuol dire immagine, vuol dire movimento, e il movimento attiene sia al suono che all’immagine. Liberandosi da un’impostazione dualistica ci si accorge che certi elementi del cinema non sono né visivi né sonori, ma piuttosto transensoriali.» (36)  In Argento suoni e immagini si influenzano reciprocamente, caratterizzandosi l’un l’altro. Nel suo cinema spesso è addirittura la musica a prevalere sulle immagini. La musica segue le scene e  le completa  di significato, senso narrativo e descrittivo.  

1. Profondo rosso

cover_profondo_rosso.jpgPer la realizzazione delle musiche di quello che divenne il suo più famoso e forse miglior film, Dario Argento cercava un gruppo rock che avesse idee nuove e diverse con i quali caratterizzarlo originalmente dal punto di vista sonoro. L’incontro con il gruppo dei Goblin avvenne grazie all’editore musicale Claudio Bixio. Il disco della colonna sonora include sette brani: “Profondo rosso”, “Death Dies” e “Mad Puppet”, composti dai Goblin, e “Wild Session”, “Deep Shadow”, “School at Night” e “Gianna”, composti dal jazzista Giorgio Gaslini ed eseguiti dai Goblin.
Guardare Profondo rosso equivale ad ascoltare un disco di rock  progressive, il genere musicale nato alla fine negli anni ‘60 in Inghilterra, in cui sostanzialmente il rock si allargava ad altri generi musicali, come il jazz, il blues e la classica, rinnegando la forma canzone e conferendo maggiore importanza alle parti strumentali. Argento inserisce nel film un genere musicale “colto” e di nicchia, che grazie ad esso non solo raggiunge indirettamente una fruizione di massa (così come era accaduto per la musica contemporanea in L’Esorcista) ma anche un consumo presso un largo pubblico dalla variegata e indefinita appartenenza culturale e sociale: l’album della colonna sonora ottenne il “Disco di platino”, rimase primo nelle classifiche di vendita dei 45 giri per 52 settimane in Italia ed ebbe successo anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Il tema principale sconfina dappertutto, dalla tv alla radio, da Internet ai cellulari. Appartiene alla cultura popolare (cosa rara per un brano progressive) ed è universalmente riconosciuto ed identificato. Molte persone conoscono il tema senza aver mai visto il film. Esso rappresenta senza dubbio uno dei temi da colonna sonora in assoluto più celebri e ricorrenti nell’immaginario collettivo, e sicuramente, almeno in Italia, il tema di paura per antonomasia, più diffuso e famoso.    
Tuttavia è l’intera OST ad essere particolarmente funzionale e rilevante. All’interno di Profondo Rosso si ravvisa un utilizzo variegato di generi musicali, dovuto al contemporaneo intervento di un jazzista e di un gruppo progressive rock. La partitura del film passa dal rock progressive, con qualche influenza classicheggiante, al jazz, al blues, all’elettronica, a cenni di avanguardia novecentesca, alla musica per bambini. Ma nonostante questo ricorso multistilistico, la musica del film gode di una ipnotica impressione di coerenza interna e di equilibrato sviluppo. Profondo rosso asseconda, all’interno di uno stesso film, quella dote posseduta dal cinema che Gilles Mouellic definisce come vocazione ad “accettare la musica, tutte le musiche, senza stabilire una gerarchia fra il nobile «nobile» e il «volgare». Nella sua storia vi sono tanto la canzone, il jazz, il rock, il pop, la disco music o il rap, quanto la musica cosiddetta «seria», per non parlare della musica «contemporanea».” (37) Argento e i Goblin creano un universo musicale inedito e originale che influisce in maniera determinante nella maniera di pensare l’immagine cinematografica. Con Argento la colonna sonora non è più rilegata nel mondo a sé stante della post-produzione. La sua immagine filmica nasce in genere includendo in sé anche la tipologia di ascolto musicale che dovrà accompagnarla, un idea-concetto che egli trasmette ai suoi compositori, partecipando attivamente alla realizzazione del prodotto finale.
I brani dello score intervengono all’interno del film in maniera ordinata, strutturando il divenire del racconto e scandendo acusticamente le scene, ognuna delle quali è dotata, a seconda di ciò che viene mostrato, di un preciso referente sonoro. La colonna sonora ha quindi una funzione narrativa importante che sottolinea e marca i diversi episodi. Qui di seguito esaminiamo i diversi brani, seguendo l’ordine della track-list dell’album dei Goblin:

1) “Profondo rosso (Main Title)”: brano utilizzato nei titoli di testa, nelle carrellate che mostrano in dettaglio gli oggetti-feticcio, bambole, pupazzi, disegni di omicidi, pugnali, corde, di cui si circonda la mente malata dell’assassino; poi ancora quando il protagonista Mark David (David Hammings) scopre in una villa abbandonata un macabro disegno di morte dipinto su di un muro e infine nei titoli di coda. In qualche modo il tema si ricollega sempre alla psiche perversa dell’assassino, all’origine del male e alla fonte della sua follia, simbolo di una profondità che appartiene alla complessità del cervello umano. Il brano è nato dalla mente dei Goblin in una cantina alle due di notte, dopo che Argento aveva fatto sentire loro il tema iniziale di “Tubular Bells” di Mike Oldfield e aveva chiesto loro qualcosa che gli assomigliasse (anche qui abbiamo uno stesso tema  su un ritmo che alterna i 7/8 agli 8/8). L’enorme suggestione e orecchiabilità del tema, la presa immediata che possiede all’ascolto, il suo sound unico e inconfondibile, ottenuto con chitarra acustica, clavicembalo e minimoog, hanno determinato un’identificazione totale e completa del tema con il film, imprescindibili l’uno dall’altro. Il tema è ripetuto all’ossessione, sempre con un volume elevato, per cui rimane inevitabilmente impresso nella mente dello spettatore. Si potrebbe dire che il tema racchiuda in sé la sensazione dell’intero film, l’impressione che di esso si crea nella mente dello spettatore. Gran parte del successo e della popolarità di cui ancora gode il film sono dovuti certamente ad esso.

cover_profondo_rosso_old.jpg2) Il secondo brano dell’album, “Death Dies”, un veloce e ritmato tema suonato con i bassi del piano, su cui si alternano parti di basso, chitarra e pianoforte, si identifica e interviene con la commissione degli omicidi. C’è da segnalare che nel primo omicidio il brano comincia esattamente con l’esecuzione dello stesso. Negli omicidi successivi l’inizio del brano precede l’esecuzione degli omicidi. Per cui lo spettatore ricollega il pezzo, anche se forse non del tutto consapevolmente, al primo omicidio, preparandosi ad attendere così scene forti e violente. La musica precede l’evento e assume una funzione mnestica: “con l’utilizzazione del medesimo brano musicale vuole richiamare alla memoria la scena che ha accompagnato in precedenza. In termini di ricezione, la funzione mnestica è dunque discriminante sul piano cognitivo, dal momento che implica un buon livello attenzionale e una buona capacità mnemonica. Nel cinema, non soltanto temi musicali, ma interi brani possono essere utilizzati per richiamare una situazione precedente del racconto cinematografico, e insieme ad essa i sentimenti che vi si accompagnano.” (38) Nel caso del cinema di Argento, lo sforzo cognitivo dello spettatore è minimo, propria per l’intensità che i brani posseggono e per la loro ostinata reiterazione. Nel quarto intervento del brano, quando Mark David e la giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi) sono all’interno della scuola elementare alla ricerca di prove, tutto farebbe supporre ad un nuovo attacco dell’assassino, che però avviene fuori campo e fuori scena: vagando per i corridoi della scuola Mark trova Gianna ferita, in maniera non letale, con un coltello. Da segnalare che il brano interviene in varianti dalle differenze impercettibili se non ad un attento ascolto.

3) “Mad Puppet” è un brano sostanzialmente diviso in due parti: la prima, fatta di suoni e rumori elettronici e strumenti percussivi, interviene nel film solamente quando Mark David nella villa abbandonata distrugge il muro che nascondeva la scena del delitto. La seconda presenta un riff di basso su di un giro armonico tipicamente blues, costruita con un sound che deve molto alla parte finale di “Tubular Bells”. Questa seconda parte compare durante l’esplorazione di luoghi e la ricerca di prove dei due protagonisti, quando vagano all’interno della villa abbandonata e nella scuola elementare. Si tratta nuovamente di una funzione mnestica. Esprimendo un concetto simile, Noske parla di recalling themes, o reminescenza, consistente in temi che richiamano una situazione precedente del film e lo stato d’animo corrispondente. “La reminescenza, pertanto, rinvia ad un momento preciso, richiamato alla memoria dello spettatore secondo una dinamica modello-replica.” (39)

4) “Wild Session” risulta anch’esso diviso in due parti. La prima parte presenta un angosciante sottofondo di rumori e canti inquietanti. Interviene più volte quando l’assassino spia le sue vittime in soggettiva. La seconda parte è un jazz-rock con interventi di piano e sassofono ed è inutilizzata nel film.

5) “Deep Shadows”, ancora divisibile in due parti: la prima, tipicamente progressive, con sonorità fortemente caratterizzata dal suono del sintetizzatore Moog, interviene quando Mark David, tentando di penetrare nella villa dall’esterno nel punto in cui la finestra della stanza luogo del delitto è scomparsa, scivola rischiando di cadere, per poi raggiungere dall’interno il muro della stanza stessa. La seconda, ancora un jazz-rock, con il pianoforte protagonista, caratterizza la scoperta degli omicidi della sensitiva tedesca Helga Ulmann (Macha Meril) e della scrittrice Amanda Righetti (Giuliana Calandra) da parte di Mark.

6) “School at Night”, per la fondamentale funzione narrativa ed espressiva che svolge all’interno del film è forse il brano più importante della OST, anche più del tema principale. E’ una semplice ed ingenua nenia infantile che sentiamo per la prima volta nel prologo del film, il quale interrompe momentaneamente i titoli di testa e il relativo brano musicale, ponendosi come nucleo narrativo originario dell’intera vicenda. Il brano, in seguito, annuncia allo spettatore la presenza nascosta dell’assassino, in agguato e pronto a colpire. Con esso Argento mette in atto un uso magistrale dell’acusmà musicale. Il concetto di suono acusmatico è stato teorizzato dal compositore di musica concreta Pierre Schaeffer, per poi essere ripreso in campo cinematografico da Michel Chion. Esso consiste in un suono “che si sente senza vedere la causa originaria del suono”, o “che fa sentire dei suoni senza la visione delle loro cause.” (40) La nenia parte sempre fuori campo, popolandolo di una presenza ignota. Introduce l’assassino che solo in un secondo momento verrà deacusmatizzato. Tuttavia, nel caso di Profondo rosso, si tratta sempre di una deacusmatizzazione parziale, in quanto mai veniamo a sapere da che luogo sia partita la nenia. Argento ci mostrerà anche la fonte della nenia, un registratore che l’assassino porta con sé, deacusmatizzandola, per poi ri-acusmatizzarla subito dopo. Tuttavia la deacusmatizzazione non è effettiva, in quanto è visibile solo l’apparecchio in dettaglio e non il luogo in cui si trovano esso ed il suo portatore. Questo procedimento “mantiene a lungo il segreto sulla causa e sul suo aspetto prima di rivelarlo. Esso genera una suspense, un’attesa, e costituisce dunque di per sé stesso un procedimento drammaturgico puro, analogo a un’entrata in scena annunciata e differita. ” (41) Tutto ciò è accentuato dalle false soggettive, i mille punti di osservazione, i folli controcampi tipici del regista. (42) L’utilizzo del brano è esclusivamente intra-diegetico, con due eccezioni: nel prologo, quando l’utilizzo diegetico non può essere percepito dallo spettatore, che solo in seguito ne comprenderà il significato; quando a seguito della scampata aggressione da parte dell’assassino, Mark David acquista il disco contenente la nenia infantile, la cui melodia comincia come musica extra-diegetica (musica da buca) per poi essere assorbita in musica intra-diegetica (musica da schermo) emessa da un giradischi, mostrando come la musica nel cinema sia “l’«attraversamuri» per eccellenza, capace di comunicare istantaneamente con gli altri elementi dell’azione concreta (…) e di oscillare istantaneamente dalla buca allo schermo, senza tuttavia rimettere in questione la realtà diegetica o colpirla con l’irrealtà, come farebbe una voce off che intervenisse nell’azione.” (43) Nell’omicidio dello psichiatra Giordani (Glauco Mari) si può dire che Argento quasi tradisca le aspettative dello spettatore: la nenia non parte, sostituita dalla voce fuori campo acusmatica dell’assassino che sussurrando chiama lo psicologo per nome (così come accadrà nella scuola elementare con Gianna). Nel flashback finale rivelatore, il brano esplicita tutta la sua valenza narrativa. Il riferimento a Psycho è chiaro: la madre pazza, il figlio che assiste al parricidio rimanendo traumatizzato a vita. Solo che anziché avere gli archi stridenti di Herrmann, non diegetici, abbiamo la canzone per bambini, diegetica. Potentissimo è l’effetto orribilmente straniante quasi kubrickiano: un’immagine di puro orrore è associata ad una musica innocente e pura che dovrebbe trasmettere tranquillità e spensieratezza ma che invece, assieme alla casa accogliente ed addobbata per festeggiare il Natale, infonde una profonda angoscia di infanzia violata. Le certezze e le gioie della nostra infanzia, rappresentate dalla canzone, sono messe in discussione e trasferite nell’orrore più profondo della psiche. Una canzone per bambini così ispira ansia, timore e inquietudine, e servirà all’assassino, secondo la spiegazione di Giordani, a «creare di nuovo intorno a sé quelle particolari condizioni che danno modo alla sua follia di potersi liberare, (…) qualcosa, insomma, che gli faccia risorgere le stesse immagini che in un tempo remoto furono la cornice occasionale del suo trauma scatenante.»

7) “Gianna” è un delicato e soffuso brano di soft jazz, con una gradevole melodia di fiati che interviene più volte durante i dialoghi tra il pianista jazz e la giornalista, allentando la tensione e alleggerendo il film, identificando così il personaggio di quest’ ultima secondo il più classico principio del leitmotiv. Il brano va ad integrare e evidenziare l’interpretazione stilizzata e molto particolare della spregiudicata giornalista, tra ironia, sensualità e pragmatica intraprendenza.

cover_suspiria_goblin.jpg2. Suspiria

Per Suspiria (1977) Argento si affidò di nuovo ai Goblin, contribuendo ancora una volta in prima persona alla realizzazione delle musiche. Il film tratta di streghe e di magia nera, per questo Argento voleva, come tema musicale principale, un brano che richiamasse la stregoneria medievale. Dopo settimane di ricerche tra musiche antiche, avvenne che in Grecia, una signora che lavorava come promoter per la Cinevox, Irene Malatesta, propose al regista, un po’ per scherzo, una vecchia nenia tradizionale con testo in latino, risalente al 1500 e intitolata “Le tre streghe sull’albero”. I Goblin composero un brano il cui risultato finale era molto simile alla nenia, per la cui realizzazione Argento fece utilizzare loro il buzuki, uno strumento a corde greco.
Durante le riprese, Argento girava con il sottofondo dei primi nastri registrati dal gruppo, in modo da creare l’atmosfera adatta e la giusta tensione emotiva tra gli attori, a dimostrazione del fatto che il suo cinema prevede a priori la dimensione musicale, la quale risulta necessaria anche nella fase di realizzazione della dimensione visiva, inconcepibile senza la musica, che diventa impulso integrativo e completamento migliorativo alla produzione stessa.
Suspiria, da molti considerato il film migliore del regista, è forse la colonna sonora più riuscita dei Goblin, con fini più sperimentali e meno pretese commerciali della precedente. Essa delinea acusticamente e manifesta a pieno l’energia di cui è dotato il cinema di Argento, che influenzerà molto horror da lì in divenire e che appartiene tanto all’elemento visivo, nella macchina da presa folle e ardita, nella profondità della fotografia dai colori intensissimi, nell’indeterminatezza lussureggiante e disorientante delle scenografie, quanto all’elemento sonoro. Morandini parla, in proposito, di “thriller assordante, che picchia sull’orecchio quanto sul nervo ottico.” (44) Suspiria è un film che non dà tregua, dal ritmo incessante. La ferocia della prima sequenza di omicidio è un’espressione pura di cinismo visivo, incontrollato e chirurgicamente dettagliato, in cui il punto di vista dell’assassino è impossibile da identificare, frantumato in mille sguardi sospesi nel nulla. La scena è un preludio al caos energico che caratterizzerà tutto il film. L’immagine è satura di senso, la musica non aggiunge altro, ma si stanzia in una dimensione parallela e allo stesso tempo esaltatrice sonora della folle forza narrativa di Argento. La musica è “irrazionale” e assurda quanto il plot è assolutamente e fantasticamente pazzesco. E’ infatti la dimensione favolistica a prevalere, introdotta fin dall’inizio dalla voce fuori campo dello stesso Argento, insieme all’onirismo occulto della vicenda. Gilles Deleuze, nel cercare di definire le specificità della musica da film, rispetto alla musica in generale, afferma che il cinema privilegia prevalentemente due dimensioni del tempo musicale: la melodia e il ritmo. Tale caratteristica giustificherebbe la sua apparente semplicità, lontana dalle pretese più contemporanee della musica cosiddetta seria, nella quale intervengono molte altre componenti. Per Deleuze, quindi, le colonne sonore, tendono generalmente a liberare il ritornello e il tempo ritmato come due elementi puri e sufficienti. (45) Se tutto questo può ritenersi valido per generi diversi tra loro, quali il western, la commedia, il musical, il dramma, fattori come la complessità visiva dell’horror e il ribaltamento di una logica filmica che sia accomodante alla fruizione, piacevole e tranquillizzante nel consumo, hanno facilitato il ricorso ad elementi musicali che risultassero tutt’altro che semplici all’ascolto, poco comprensibili e disorientanti, hanno fatto sì che le musiche divenissero sempre più complesse e variegate. Suspiria ne è forse la migliore dimostrazione: il tema principale non ritorna come un classico ritornello, ma si ripete maniacalmente all’infinito, secondo modalità e funzioni simili a quelle viste per Profondo rosso; alcune melodie vocali sono assolutamente deliranti; le armonie sono complesse, spesso indecifrabili; le sonorità e i timbri sono colorati, artefatti, eccentrici e senza eguali; i ritmi sono assolutamente folli, irregolarmente martellanti, senza accenti ordinatori o scansioni temporali stabili; e inoltre è rilevante la presenza del rumore, che per Gilbert Durand simboleggia il terrore davanti alla fuga del tempo, vero e proprio archetipo delle tenebre (46), il quale costituisce un elemento spesso tipico del sonoro orrorifico, innestato all’interno della musica; “l’orecchio è il senso della notte e l’oscurità, sempre avvalorata negativamente, è risonanza amplificatrice del rumore.” (47) La colonna musicale di Suspiria è “tutta pulsante di voci, sussurri e grida, rantoli, sospiri, suoni della materia” (48), un’allucinazione sonora rintronante, esemplarmente  e follemente spaventevole.

cover_tenebre1_simonelli.jpg3. Film successivi

La forza audiovisiva e i risvolti narrativi ed espressivi assunti dalla musica saranno presenti e sviluppati anche nei successivi film di Argento.
Inferno (1980), continuazione della saga delle Tre Madri iniziata con Suspiria, con le suggestive musiche per piano e orchestra, tra progressive e classica d’avanguardia, del tastierista Keith Emerson, presenta una significativa scena di contrasto sonoro. Argento inserisce, come musica da schermo, il coro del “Và pensiero” del Nabucco di Giuseppe Verdi in due contesti completamente diversi, dimostrando quanto l’impressione suscitata dalla musica cambi a seconda dell’immagine di riferimento. Inizialmente il brano, presentato durante una lezione universitaria, denota grandezza e magnificenza musicale. In seguito diviene musica di morte, facendo da sfondo orrorificamente straniante di un duplice omicidio, rinforzando anempaticamente “l’emozione individuale dei personaggi e dello spettatore, proprio nella misura in cui finge di ignorarli.” (49) Vale la pena di citare il film Tenebre (1982) per la sequenza dell’omicidio delle due lesbiche, realizzata attraverso il Louma, una macchina da presa con un braccio meccanico estendibile e girevole. Al piano-sequenza che indaga dall’esterno l’edificio e al primo omicidio si lega efficacemente il tema principale della colonna sonora, il quale, successivamente, passa dalla buca allo schermo nel momento in cui la seconda ragazza ferma il giradischi su cui il brano sta scorrendo, creando un silenzio inaspettato e rivelando l’impossibilità acustica di quest’ultima di sentire le grida emesse durante il primo omicidio.

Phenomena (1987), un horror duro e violento, con trovate narrative e visive che spesso si ritrovano negli horror contemporanei, e un celebre horror theme lirico composto da Claudio Simonetti, il tastierista leader dei Goblin, si segnala per l’innovativo impiego di brani heavy metal nelle sequenze degli omicidi, a completamento, sia visivo che sonoro, di quella potenza propria del cinema argentiano. I brani in questione sono “Flash of the Blade” degli Iron Maiden e “Locomotive” dei Motorhead.



NOTE:

36.A. Boschi, M. Dall’Asta (a cura di), Una falsa barriera. Conversazione con Michel Chion, in «Cinema & Cinema», 1991.
37.Gilles Mouellic, La musica al cinema. Per ascoltare i film, Lindau, Torino, 2005, pp. 27, 28.  
38.Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine racconto, Gremese Editore, Roma, 2002, pp. 188-189.
39.Ibidem.
40.Pierre Schaeffer, Traité des Objects Musicaux, Seuil, Paris, 1967.
41.Michel Chion, L’audio-vision. Son et image au cinéma, Paris, Editions Nathan, 1990. (trad. it. di Dario Buzzolan, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 1997, p.75).
42.Tale espediente venne utilizzato per la prima volta da Fritz Lang (uno dei registi prediletti da Argento) in M, Il mostro di Dusseldorf (1931). Il regista nasconde a lungo l’aspetto dell’infanticida, la cui presenza e minaccia incombente è suggerita dal suo fischiettare un’aria dal Peer Gynt, di Edward Grieg, tra l’altro unico intervento musicale del film, oltre a quello dei titoli di testa.
43.Ibidem, p.83.
44.Laura, Luisa e Morando Morandini. Il Morandini 2007, Zanichelli editore.
45.Cfr. Gilles Deleuze, L’immagine-tempo, Ubulibri, Milano, 1984, pp. 107, 108.
46.Cfr. Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo, Bari, 1972, p. 67.
47.Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine racconto, Gremese Editore, Roma, 2002, p. 173.
48.Roberto Pugliese, Dario Argento, Milano, Il Castoro, 1996, p. 44.
49.Michel Chion, L’audio-vision. Son et image au cinéma, Paris, Editions Nathan, 1990. (trad. it. di Dario Buzzolan, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 1997, p. 18)

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