Colonne Sonore Made in Italy

locandina_il_buono_il_brutto_il_cattivo.jpgSiamo un popolo di poeti, santi, navigatori e…compositori (Colonne Sonore Made in Italy).

Ciak, si gira!

Scena prima.
La cinepresa indugia sul gioco di sguardi tra Clint Eastwood (il Buono - Joe - il Biondo), Eli Wallach (il Brutto - Tuco) e Lee Van Cleef (il Cattivo - Sentenza); il luogo è il cimitero.

Scena seconda.
Al Pacino (Michael Corleone), vestito di tutto punto, inizia a ballare con Simonetta Stefanelli (Apolllonia Vitelli in Corleone): è il giorno del loro matrimonio.

Cosa hanno in comune le due scene apparentemente slegate tra loro ed appartenenti a due film diversi, girati da due registi differenti?
Semplicemente, un aspetto che la sola parola scritta ma muta non riesce a rendere. D’altronde, stiamo parlando di film, quindi di un prodotto audiovisivo.
Parliamo quindi della musica, della colonna sonora dei film in questione: Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo (1967) di Sergio Leone e Il Padrino (1972) di Francis Ford Coppola.
Il grande cineasta e teorico del cinema russo Sergej Ejzenstein nel suo “Teorie Generali Del Montaggio” (Marsilio, 1986) individua chiaramente i tratti distintivi di una colonna sonora. Per Ejzenstein «l’arte comincia propriamente solo a partire dal momento in cui l’associazione tra il suono e la rappresentazione visiva non è più semplicemente registrata secondo il rapporto esistente in natura, ma è istituita secondo il rapporto richiesto dai compiti espressivi dell’opera. Nelle forme più rudimentali si tratterà della sottomissione di ambedue gli elementi allo stesso ‘ritmo’, rispondente al contenuto della scena. È questo il caso più semplice, più accessibile e più frequente di montaggio audiovisivo, in cui i pezzi della rappresentazione visiva sono tagliati e montati secondo il ritmo della musica che scorre parallelamente sulla colonna sonora. […] >> A partire da questo caso più elementare – la semplice coincidenza metrica degli ‘accenti’ nella scansione – è possibile ottenere un gran numero di combinazioni sincopate ed un ‘contrappunto’ puramente ritmico che consiste nel gioco calcolato della non coincidenza degli accenti, delle lunghezze, delle frequenze, delle ripetizioni ecc.». Ejzenstein ricorre (non a caso) ad un esempio tratto dall’ambito musicale: «A tutti è familiare l’aspetto esteriore di una partitura d’orchestra: una certa quantità di pentagrammi in ciascuno dei quali è scritta la parte di un determinato strumento. Ogni sua parte si sviluppa con un movimento progressivo in orizzontale. Ma la connessione verticale è un fattore non meno importante e decisivo: la correlazione musicale tra i diversi elementi dell’orchestra in ogni unità di tempo. Così con il movimento progressivo della verticale che coinvolge tutta l’orchestra, e avanza orizzontalmente, si realizza il complesso e armonico movimento musicale dell’intera orchestra. Se ora passiamo dall’immagine di una partitura musicale a quella di una partitura audiovisiva osserveremo che in questo nuovo stadio è come se alla partitura musicale si aggiungesse un ulteriore pentagramma: quello delle inquadrature che procedono l’una dopo l’altra confermandosi plasticamente al movimento della musica e viceversa» (ibidem)
E se Ejzenstein ha posto l’accento essenzialmente sul piano del ritmo, esistono altri studiosi di semiotica che hanno considerato anche altri aspetti della colonna sonora: Chion nel suo “L’audiovisione. Suono Ed Immagine Del Cinema” (Lindau, 1990) individua delle situazioni cosiddette patemiche (cioè portatrici di ‘emozioni’) a seconda della combinazione del modo e del ritmo nella composizione: ad esempio, il modo minore abbinato ad un ritmo molto lento vorrà sottolineare dei momenti di tristezza, mentre con il velocizzarsi del ritmo si andrà sempre di più verso lo stato di tensione; diversamente nel modo maggiore un ritmo lento sottolineerà uno stato di calma o di gioia, mentre un ritmo più veloce sarà inserito per dare una sorta di ‘pomposità’ all’insieme audiovisivo.
locandina_il_padrino.jpgLe similitudini tra i due film citati precedentemente si devono però ricercare ancora più a fondo, al di là dell’aspetto meramente teorico, anche perché per adesso le due composizioni appaiono quantomeno slegate. Sveliamo quindi l’arcano: chiunque conosca le due scene a cui si è fatto riferimento, sa che la musica a sostegno dei film citati ha come elemento comune il gusto musicale tipicamente Made in Italy. Entrambi i brani sono infatti opera di due grandi compositori di colonne sonore nostrani, il primo di Ennio Morricone, il secondo di Nino Rota. Provate ora ad immaginare le due scene, di cui sopra, senza alcun commento musicale abbinato: avrebbero lo stesso effetto se paragonate a quelle con la musica? Diciamocelo chiaramente: decisamente no! Dobbiamo dunque ringraziare i due padri putativi della colonna sonora italiana per averci regalato queste stupende pagine di musica e di cinema. Con loro, la scuola italiana ha portato alla ribalta i vari Piccioni, Trovajoli, Bacalov. Con gli anni abbiamo avuto altri grandi nomi che hanno avuto grandi collaborazioni: Pino Donaggio e Brian De Palma, Angelo Badalamenti e David Lynch. Ma si può parlare quindi di una storia della colonna sonora in Italia? Ed al giorno d’oggi, chi può essere il nuovo enfant prodige? Lo abbiamo chiesto a Gianni Dell’Orso: un cognome che chi segue il cinema e la musica deve assolutamente conoscere, più avanti si capirà perchè. Compositore di colonne sonore, collaboratore di Ennio Morricone, adesso Dell’Orso gestisce un’etichetta, la GDM (ex General Music, fondata da Morricone), specializzata nella produzione di dischi di colonne sonore composte da artisti italiani. Il cognome Dell’Orso poi è il cognome di una grande cantante che ha collaborato con Morricone ovvero Edda, cognata di Gianni: suo il celeberrimo "Sean Sean" in Giù La Testa.
Nel catalogo della GDM si possono riscontrare titoli di Morricone (ovviamente), Rota, Piccioni, Bacalov, Trovajoli. Ma anche altri autori giovani poco conosciuti, il nuovo che avanza in Italia. Proprio Dell’Orso racconta le caratteristiche peculiari di chi compone colonne sonore: «Il regista opera delle significative richieste nell’ambito della colonna sonora. Proprio queste richieste sono alla base di una solidità di rapporto tra il regista ed il compositore: se si chiede espressamente un certo tipo di colonna sonora ecco che il regista si affida sempre allo stesso compositore, perché sa che da questo potrà trarre il miglior risultato per il film che ha in mente, dato il rapporto instaurato fra i due; da qui nascono i famosi binomi del cinema italiano come Fellini-Rota e Leone-Morricone. I due che ho citato, inoltre, hanno avuto secondo me una grande fortuna: essere più che due grandi strumentisti due grandi arrangiatori.
Se Bacalov o Trovajoli erano pianisti a livelli eccelsi, Morricone e Rota nascevano arrangiatori (il primo in particolare per la RCA) ed avevano una visione d’insieme migliore, che ha dato loro la capacità di un’innovazione nettamente maggiore rispetto a quella che si poteva riscontrare nelle altre colonne sonore. Morricone, in particolare, ha sempre messo insieme la musica classica della sua formazione di base, la sua esperienza come arrangiatore e la capacità di sperimentare usando l’elettronica o strumenti particolarmente inconsueti. L’uso del fischio ne
Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo e la capacità di comporre una melodia ed un arrangiamento appropriato per mia cognata Edda in Giù La Testa ne sono forse l’esempio più significativo.
Ecco quindi i fondamenti per una buona colonna sonora: l’alchimia giusta con il regista che la deve inserire all’interno del film ed una buona visione d’insieme di tutti gli strumenti che prendono parte alla composizione. Quindi, meglio l’arrangiatore dell’esecutore in senso stretto

Come già detto, Dell’Orso ha attraversato 3 decenni di colonne sonore italiane e pare quindi sia una delle persone più qualificate a parlar dell’involuzione dei compositori italiani: «Non vorrei fare quello che rimpiange i tempi andati, anche perché attualmente abbiamo una schiera di volti nuovi molto bravi come Pivio e Aldo De Scalzi e Nicola Piovani, o meglio ancora la sperimentazione fatta da La Banda Osiris per L’imbalsamatore (2004). Certo è che il carisma e le capacità professionali della vecchia guardia risultano in un certo senso quasi ineguagliabili». Altro punto cruciale quindi: l’eredità dei grandi del passato. Morricone e Rota hanno avuto il loro seguito nazionale ed internazionale, ma il nodo cruciale sta forse proprio in questo: i migliori compositori (come d’altronde buona parte dei professionisti che lavorano ad un film) sono, al giorno d’oggi, merce di esportazione. Infatti, tra i nomi non citati da Dell’Orso, bisogna ricordare anche Dario Marianelli che ha curato le musiche premio Oscar per Espiazione (2007) o l’opera di Marco Beltrami per il recente remake di The Omen (2006). Manca quindi un personaggio carismatico che possa tracciare un solco nelle colonne sonore? Non si rischia di rimanere forse ancorati ai vecchi nomi? Non che questo però sia un male, intendiamoci… Difatti Dell’Orso dichiara ancora: «Sono contento della riscoperta di autori come Morricone e Bacalov ai giorni nostri in un senso più generale… Ad esempio, se si ascoltano le suonerie del telefonino si può notare la riscoperta delle colonne sonore di cui stiamo parlando, e nei negozi di dischi con il tempo sono nate delle sezioni apposite per chi vuole cercare musica altra rispetto al successo del momento
E sempre a proposito della vendita di dischi, Dell’Orso fa ancora un’altra precisazione riguardo agli artisti di successo usati nella colonna sonora di un film: «A volte appare appropriato inserire brani musicali di artisti di musica popolare come è successo con noi per La Finestra Di Fronte (2003) con Giorgia. Se vogliamo parlare di altri tipi di film, i cosiddetti film ‘di cassetta’, diciamo che si fa ampio uso dei brani musicali in voga in quel periodo: sono una garanzia di appeal su di un pubblico generalmente abituato alla fruizione di quei prodotti musicali
La colonna sonora è quindi una forma musicale che risente fortemente dell’influenza del mezzo ‘cinematograficamente’ visivo, e chi si cimenta in questo campo lo deve tenere ben presente.
E chiudendo sempre con Dell’Orso in fondo bisogna ricordare che: «Il compositore è vincolato enormemente alla storia narrata, ma dipende dalla professionalità e sensibilità di ciascuno degli autori il modo di porsi nei confronti di un determinato film. Il prodotto finale deve rispondere a quegli standard qualitativi richiesti dal regista stesso. Anche se si parla di tempi, come ad esempio il 4/4 o il 3/4, lo scopo principale di un compositore rimane rispondere alla pellicola ‘sovrana’. Se non si raggiunge questo scopo, una colonna sonora non può essere considerata valida».

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