La musica di Indiana Jones - Seconda Parte

La musica dell'avventura: Dossier Indiana Jones
Parte II:
Indiana Jones e il tempio maledetto

ColonneSonore presenta la seconda parte di un approfondito dossier dedicato alle colonne sonore composte da John Williams per la celebre serie dell'archeologo più famoso del mondo.

Harrison Ford veste ancora una volta i panni di Indy

"Se l'avventura ha un nome, deve essere Indiana Jones"

Uno dei patti che Steven Spielberg e George Lucas siglarono in quel leggendario incontro sulle spiagge delle Hawaii dove fu concepito il personaggio di Indiana Jones, fu di realizzare una vera e propria serie di film dedicati alle avventure dello stravagante archeologo. L'enorme successo commerciale conseguito da I predatori dell'Arca perduta – che ottenne inoltre ben otto nomination ai premi Oscar e conquistò cinque statuette – non lasciava comunque troppi dubbi sulla possibilità di vedere presto sullo schermo un nuovo episodio delle mirabolanti imprese di Indiana Jones. Spielberg e Lucas sono tuttavia consapevoli che non è sufficiente realizzare un mero sequel-fotocopia dell'originale: il pubblico moderno è molto critico ed esigente e ormai dalla creatività dei due filmmaker ci si aspetta sempre il massimo. Il duo commissiona la stesura dello script a Willard Huyck e Gloria Katz (coppia di sceneggiatori già collaboratori di Lucas per American Graffiti), sempre a partire da un soggetto originale firmato dallo stesso Lucas. Una delle prime direttive è ripescare tutto il materiale buono scritto da Lawrence Kasdan per il primo film e infine tagliato in fase di riscrittura: diverse sequenze (tra cui la lotta nel night a Shanghai e la discesa in canotto sulle montagne dell'Himalaya) furono infatti originariamente concepite per I predatori dell'Arca perduta ma vennero successivamente eliminate dallo script per ragioni di budget e di economia narrativa. Nel frattempo Spielberg e Lucas si dedicano ad altri progetti: il primo realizzerà E.T. l'extraterrestre, mentre il secondo chiuderà la trilogia di Star Wars con l'ultimo (almeno sino ad allora) capitolo della Saga, Il ritorno dello Jedi. L'incredibile successo mondiale dei due film consacra ulteriormente il prestigio e la fama dei due registi, che ormai si trovano saldamente al comando della grande macchina spettacolare hollywoodiana. E' quindi spontaneo che il nuovo capitolo di Indiana Jones venga atteso con spasmodica trepidazione dagli spettatori di tutto il mondo. E finalmente, nell'estate del 1984, arriva nelle sale cinematografiche la seconda, attesissima avventura: Indiana Jones e il tempio maledetto (Indiana Jones and the Temple of Doom).



La trama del film

Shanghai, 1935. In un prestigioso night della città, Indiana Jones sta per concludere un affare con Lao Che, un potente boss della malavita cinese: dovrà scambiare una preziosa urna contenente le ceneri di un antico imperatore con un favoloso diamante di inestimabile valore. Ma i gangster non hanno la minima intenzione di rispettare i patti e cercano di incastrare il nostro eroe avvelenandolo. Scoppia allora una furiosa rissa dove si ritroverà coinvolta suo malgrado anche la petulante cantante americana Willie Scott (Kate Capshaw). Dopo un emozionante inseguimento nelle strade di Shanghai, Indy e Willie, insieme al piccolo ma coraggiosissimo “aiutante” Short Round (Ke Huy Quan) riescono a salire a bordo di un aereo e a fuggire all'ultimo istante. Purtroppo a pilotare l'aereo ci sono gli sgherri di Lao Che, che pensano bene di abbandonare il veicolo durante il volo mentre i nostri eroi dormono ignari. Con l'aereo ormai in fase di precipitazione, il malcapitato trio trova una improbabile via di fuga gettandosi dal velicolo a bordo di un canotto! Sopravvissuti per miracolo ad una discesa a grande velocità sui monti dell'Himalaya e alle rapide di un fiume in piena, Indy & Co. si trovano così alla soglia di un poverissimo villaggio indiano, dove vengono accolti come salvatori venuti dal cielo. La piccola comunità di agricoltori è la custode di una delle cinque pietre sacre di Shankara, un leggendario manufatto della tradizione indù che la leggenda narra portare “fortuna e gloria” al loro possessore e che viene venerata dagli abitanti del villaggio come una benedizione di Shiva in grado di dare pace e prosperità. Ma come viene raccontato a Indy dallo sciamano, la pietra è stata rubata dai seguaci del culto della Dea Kalì e con essa sono stati rapiti tutti i bambini che lì risiedevano, condannando il villaggio alla povertà e alla carestia. Attirato dalla possibilità di mettere le mani su una preziosa reliquia e dai conseguenti sogni di “fortuna e gloria”, Indy decide di partire in missione verso la città di Pankot con la promessa di riportare al villaggio la pietra e di liberare tutti i bambini. Il trio si ritrova ospite nel sontuoso palazzo di un giovanissimo Mahrajah, dove Indy sospetta si nascondano i seguaci della Dea Kalì. Sopravvissuti ad una cena a base di serpenti e all'aggressione di un misterioso Thug, Indy & Co. scoprono un passaggio segreto sotterraneo (infestato da disgustosi insetti giganti) che li condurrà nel cuore di un inquietante tempio dove si sta celebrando un macabro rituale di sacrifici umani offerti alla Dea Kalì. E' proprio lì che si trovano tre delle cinque pietre di Shankara, inclusa quella che appartiene al villaggio. Indy decide così di rubare tutte e tre le pietre ma scoprirà subito che nel sottosuolo sono tenuti prigionieri tutti i bambini del villaggio, costretti ai lavori forzati nelle miniere per ritrovare le due mancanti pietre di Shankara. Mosso dalla compassione, Indy affronta un pericoloso Thug ma viene immediatamente catturato e con lui anche Willie e Shorty. Il sacerdote capo del culto, il temibile Mola Ram, costringe Indy a bere una pozione stregata che lo getta in uno stato di trance sotto un incantesimo vudù. Willie viene condannata al sacrificio per la dea, ma il piccolo Shorty riesce a liberarsi e a riportare Indiana allo stato naturale di coscienza. Dopo aver salvato la povera Willie, Indy libera i bambini prigionieri e si riprende le tre pietre sacre, ma dovrà affrontare un gigantesco guerriero Thug. I tre riescono a fuggire, mettendo a ferro e fuoco il tempio e trovando una fortunata via di fuga tramite i vagoncini delle miniere. Ritornati finalmente in superficie, Indy, Willie e Shorty si ritrovano accerchiati nel mezzo di un traballante ponte sospeso. E qui si svolgerà il duello finale tra Indy e Mola Ram, in cui i sogni di fortuna e gloria dell'archeologo verranno infine messi alla prova...

La locandina originale di Indiana Jones e il tempio maledetto (1984)

Fortuna e Gloria: Indiana all'inferno e ritorno

Come si intuisce dalla trama, Spielberg e Lucas decidono di dare una virata un po' più cupa alle avventure di Indiana Jones. Così come L'impero colpisce ancora è l'atto più oscuro della saga di Star Wars, anche il secondo capitolo della serie di Indy diventa la metafora della classica “discesa agli inferi”, che qui viene rappresentata in maniera pressoché letterale. Il coté misticheggiante del primo film lascia dunque il passo ad un tono che guarda più dalle parti del thriller e dell'horror (valga come esempio la tanto vituperata “sequenza del cuore strappato dal petto”), dando così al film un'atmosfera abbastanza diversa da quella de I predatori, sebbene lo spirito in nuce della pellicola sia il medesimo. Tuttavia le vicende dell'archeologo non sono così serializzate come quelle della saga stellare di Lucas e quindi il parziale cambio di tono è il frutto della volontà di non ripetere banalmente la formula e di voler sorprendere il pubblico con qualcosa di inaspettato. Il cosiddetto “McGuffin” (ossia il pretesto narrativo che mette in moto la vicenda, in questo caso le sacre pietre di Shankara) è senza dubbio meno avvincente rispetto a quello del primo film, la mitologia che stavolta circonda il manufatto è piuttosto nebulosa. Viene inoltre accentuato anche il tono della commedia e quello più propriamente “cartoon” delle situazioni, arrivando talvolta a punte di improbabilità che possono mettere a dura prova la sospensione dell'incredulità dello spettatore. E' così che Indy, da eroe di matrice simil-hitchcockiana, diventa un puro personaggio fumettistico (complice l'interpretazione ancora più scanzonata di Harrison Ford), corredato da personaggi di contorno ridotti al mero ruolo di comprimari bidimensionali.

Steven Spielberg e George Lucas durante le riprese di Indiana Jones e il tempio maledettoInsomma, il film denuncia la propria natura di b-movie ancora di più di quanto non faceva già I predatori. Ma Il tempio maledetto riempie i vuoti di sceneggiatura con materiale cinematografico di alta scuola. Oltre ad una fattura tecnica sopraffina (scenografie, fotografia, montaggio ed effetti speciali sono ancora una volta di elevatissimo livello), i due filmmaker sembrano interessati ad imprimere al film un ritmo ancora più vorticoso ed indiavolato. Indiana Jones e il tempio maledetto è una vera e propria corsa sull'ottovolante, un film-luna park in cui viene chiesto solamente di farsi travolgere dalla frenesia e dal puro divertimento. Poco importa quindi se i personaggi si riducono ad essere poco più che figurine (o sarebbe meglio dire action figures) e se la coerenza narrativa diventa talvolta un optional: Spielberg e Lucas fanno correre il pubblico alla velocità delle montagne russe, in barba a qualsiasi genere di pretesa artistica e intellettuale. E in questo si dimostrano ancora come i migliori su piazza. Ma Il tempio maledetto non riuscirebbe a raggiungere lo stesso risultato se non ci fosse ancora una volta l'inimitabile supporto musicale del grande John Williams.


Una partitura indiavolata

John Williams in una foto dei primi anni '80Come abbiamo già osservato precedentemente, John Williams è il cantore perfetto del cinema di Steven Spielberg, dove ha trovato il suo ideale veicolo di espressione. La partitura di E.T. l'extraterrestre, vincitrice di un premio Oscar, consacra probabilmente in maniera totale e definitiva la simbiosi artistica tra regista e compositore: così come il film diventa l'apoteosi della filosofia e dell'anima del cinema spielberghiano, la colonna sonora di E.T. è l'espressione massima del sinfonismo williamsiano, arrivando a diventare un vero unicum con la sua controparte filmica. Da questo momento in poi la collaborazione Spielberg/Williams diverrà storica e proverbiale, oltre che un punto di riferimento imprescindibile, tanto quanto i celebrati binomi tra regista e compositore come Fellini/Rota, Leone/Morricone, Hitchcock/Herrmann. La partitura di Indiana Jones e il tempio maledetto è la precisa e fedele traduzione musicale del film, tanto da incarnarne forse lo spirito migliore e più efficace. Se dunque Spielberg e Lucas evitano di riproporre semplicemente la formula del primo film senza tradirne l'anima, ecco che Williams ritorna al medesimo sinfonismo vorticoso de I predatori ma con un taglio più febbrile e, se possibile, ancora più sopra le righe. Così come il film spinge sul pedale del ritmo assurdo e frenetico, la colonna sonora ne interpreta l'anima musicale corrispettiva, mostrandoci un Williams “furibondo” sia dal punto di vista della quantità di materiale tematico messo in campo che da quello del florilegio timbrico.

Ancora una volta Spielberg chiede al suo musicista di comporre uno score che accompagni il film dalla prima all'ultima sequenza (si contano sulle dita di una mano i momenti del film in cui la partitura tacet) e di enfatizzare all'ennesima potenza tutto quello che avviene sullo schermo, dall'avvenimento più insignificante a quello più spettacolare e preponderante. Williams accoglie alla lettera le indicazioni del regista e produce una colonna sonora incredibilmente densa, esplosiva quanto un fuoco d'artificio e frenetica come nulla aveva mai scritto prima di allora. Il compositore sembra intenzionato a portare alle più estreme conseguenze il tono e lo spirito “da balletto” del film precedente, facendo danzare vorticosamente la sua grande orchestra per tutta la durata del film in un profluvio di agitatissimi numeri musicali. E' un Williams tumultuoso ma comunque scanzonato e “cartoonesco”, assolutamente consapevole della natura del film che sta commentando e dunque in grado di non prendersi troppo sul serio. La partitura sembra prestare il fianco ai detrattori di Williams, che spesso accusano il musicista di soffocare i film a cui presta servizio con commenti musicali invadenti e sopra le righe. Ma Il tempio maledetto è un film in cui tutti gli elementi sono intonati sul registro del "fortissimo" e del "allegro con fuoco" e dunque la musica non può che esserne la sua fedele traduzione su pentagramma. E ad esaminare questo funambolico score da vicino, ci si accorge della enorme generosità della penna williamsiana e della sua innegabile maestria tecnica di compositore ed orchestratore.


Indy si addentra in un nuovo mistero...

Temi, leitmotiv e numeri musicali

Il tempio maledetto
segue il medesimo modello creativo su cui Williams ha poggiato le straordinarie partiture che lo hanno reso celebre. Il fondamento è quindi una solida architettura tematica in grado di reggere il notevole peso specifico della composizione. E come ogni sequel che si rispetti ecco tornare l'indimenticabile tema principale, la celeberrima Raiders March. Il leitmotiv è ormai già indelebilmente impresso nella memoria degli spettatori e dunque Williams non ne presenta decisive variazioni. Tuttavia, oltre a sbucare in tutti i momenti in cui ce lo si aspetta, il tema è frequentemente sottoposto a interessanti modulazioni in grado di dargli una veste differente rispetto a I predatori ma senza snaturane lo spirito. Si potrebbe dire che Williams ne esplora ogni genere di “umore” possibile ed immaginabile, dimostrando una volta di più la straordinaria plasticità di questa solo apparentemente “semplice” invenzione tematica. La “Raiders March” è dunque ancora una volta il motore che muove l'intera partitura. Ma sono soprattutto le nuove idee e i nuovi temi a dare alla colonna sonora de Il tempio maledetto la sua unica e specifica personalità.

Indy si prepara a liberare i bambini tenuti schiaviLa prima e più importante nuova composizione del film è il tema dei bambini schiavi, altrimenti noto come Slave Children's Crusade. Si tratta di una melodia dall'incedere severo ed impetuoso, cadenzata da un incessante stappare di percussioni ed affidata alla potenza maestosa dei corni. E' un tema incandescente, che Williams modella sulle celebri pagine “da parata” delle partiture peplum di Miklos Rozsa (Ben-Hur, El Cid, Quo Vadis?). La sua apparizione più vistosa ed importante la troviamo nella sequenza in cui Indy, liberatosi dall'incantesimo vudù, libera tutti i bambini tenuti prigionieri nelle miniere del tempio maledetto (da questa pagina Williams trarrà poi una appassionante versione da concerto, presente nel CD Sony Classical The Spielberg/Williams Collaboration). Va inoltre osservato che il tema viene usato di riflesso anche come leitmotiv del potere positivo delle pietre di Shankara: Williams, come sua abitudine, evita di dare vincoli troppo rigidi ai suoi temi (soprattutto a quelli non legati ad uno specifico personaggio) e si prende la libertà di utilizzarli soprattutto nella loro valenza di “catalizzatori” emotivi. Ecco allora apparire il tema, opportunamente riorchestrato, quando lo sciamano del villaggio “benedice” la partenza dei nostri eroi verso la città di Pankot oppure nella sequenza finale del duello tra Indy e Mola Ram (“Tu hai tradito Shiva!”), in cui la potenza delle pietre sconfigge il malvagio sacerdote.

La nuova fiamma di Indy: la cantante americana Willie Scott (Kate Capshaw)

Non sarebbe un vero film di Indy se non ci fosse il personaggio femminile a fare da contraltare sentimentale al protagonista. La cantante americana Willie Scott viene caratterizzata da Williams con un nuovo love theme, una melodia discendente sorniona e sfacciatamente retrò. E' sicuramente un'invenzione lirica meno memorabile rispetto al tema di Marion, ma dipinge con efficacia il carattere petulante del personaggio e la sua relazione con Indy. La sequenza in cui il tema viene espresso più compiutamente è la conversazione sentimentale tra Indiana e Willie dopo la disgustosa cena a base di serpenti e cervelli di scimmia, dove oboe e archi accompagnano con beffarda ironia lo scambio di battute tra i due amanti. Williams dimostra abilità notevoli nel plasmare le sue composizioni a seconda della circostanza narrativa: il tema di Willie è infatti sovente citato e modulato anche nelle sequenze d'azione, magari solamente nelle sue cellule iniziali ma conservandone comunque l'identità primaria.

La nuova spalla di Indy: il ragazzino cinese Short Round (Jonathan Ke Quan)

Anche la presenza del comprimario di turno, il vivace ragazzino cinese Short Round, è immediatamente riconosciuta da Williams con un tema nuovo di zecca, una vivace melodia pentatonica che vagamente richiama gli stilemi della musica orientale. E' una sorta di controparte solare e “giovanilistica” alla adulta mascolinità della "Raiders March", in grado inoltre di contrappuntarsi perfettamente con essa (come si può ascoltare nella splendida suite dei titoli di coda). Il tema viene usato da Williams per descrivere le incredibili gesta del giovanissimo eroe (non di rado in strettissima compagnia del tema di Indy), ma la sua apparizione più memorabile è forse quando Williams lo utilizza per accompagnare le sequenze di lungo cammino sugli elefanti, dove questa semplice melodia è arricchita da un lussuoso trattamento sinfonico.

 Il tenebroso Tempio maledettoI cattivi del film sono stavolta caratterizzati da Williams attraverso materiale tematico particolarmente originale e sorprendente. Il tema del tempio maledetto è una tenebrosa, lugubre pagina per coro e percussioni in cui viene cantato un testo in sanscrito (lingua che poi Williams utilizzerà anche per il brano corale “Duel of the Fates” in Star Wars Episodio I). La composizione accompagna le sequenze del macabro rituale Thug, diventando così a sua volta il tema del cattivissimo Mola Ram. Tuttavia, è presente anche un'altra idea che Williams associa ai Thug e ai cattivi del film: un affascinante tema esotico che si può sentire bene durante l'arrivo al palazzo di Pankot, ma che poi viene successivamente frammentato nelle quattro note finali come “tema dei cattivi”.

Come accadeva ne I predatori, il film trova la sua massima espressione nelle fenomenali ed entusiasmanti sequenze d'azione e la musica non è da meno. E' soprattutto in queste pagine che la frenesia e il virtuosismo di Williams raggiungono livelli di incandescenza che talora arrivano anche a vette di parossismo. Ma il tono è sempre ironico e, come dicevamo, il compositore non sembra mai prendersi troppo sul serio. Tutta la sequenza iniziale è emblematica: dopo il prologo musical in cui Kate Capshaw interpreta in lingua mandarina la celebre “Anything Goes” di Cole Porter (con uno scintillante arrangiamento in stile MGM), la partitura accompagna con precisione il teso scambio di battute tra Indy e Lao Che mimando ogni azione, per poi esplodere in un furibondo “agitato” a piena orchestra a commento della rissa nel night, nella quale Williams interpola con bravura accenni al brano di Cole Porter. La partitura procede senza soluzione di continuità nel seguente numero d'azione: la fuga in automobile per le strade di Shanghai. Qui il compositore mette in moto uno dei suoi noti “ostinato” in cui ottoni e legni si palleggiano cellule tematiche e complicati fraseggi che mettono a dura prova l'abilità degli orchestrali, per culminare infine nell'eroica esposizione della "Raiders March", che sottolinea la fuga in aeroplano dei nostri eroi.



Ancora più febbrile e caotica è la pagina che accompagna la discesa in canotto sui monti dell'Himalaya e lo slalom nelle rapide del fiume. L'orchestra diventa un vero e proprio vortice inesorabile in cui il virtuosismo richiesto ad ogni sezione raggiunge vette di parossismo. Così come la sequenza è un vero e proprio improbabile cartone animato, la musica ne interpreta l'anima fino in fondo, spingendo al limite massimo l'approccio “sopra le righe” della composizione. Ma il momento in cui tutto questo raggiunge l'apoteosi è la scena dell'inseguimento sui vagoncini della miniera. Williams corre alla velocità delle montagne russe diventando la traduzione musicale perfetta di ciò che avviene sullo schermo. Ottavini e xylofono sono i protagonisti di un febbrile ostinato (che Williams ricalca su quello del noto brano “Powerhouse”, composto dal jazzista Raymond Scott e usato spesso nelle colonne sonore dei cartoon della Warner Bros), trasformando l'orchestra in un vero e proprio entusiasmante rollercoaster. E' una delle vette assolute di tutta la partitura e forse il brano che ne esprime al meglio la folgorante personalità.

Il tempio maledetto contiene molti altri momenti degni di nota, in cui la vena creativa di Williams si dimostra sempre vivace e brillante: la sequenza della trappola mortale nel tunnel ripieno di disgustosi insetti è accompagnata da un minaccioso tema di sei note che è un vero “congegno infernale”; il corteggiamento tra Indy e Willie dopo la loro discussione sentimentale è sottolineata da un delizioso pizzicato degli archi e da una melliflua melodia per clarinetto; tutta la battaglia nelle miniere è un concitato tour de force in cui l'orchestra intera non smette praticamente mai di suonare; il finale sul ponte sospeso è commentato da un interessante pagina per sole percussioni tribali e poi esplode in un “caos organizzato” dove tutti i temi principali convergono in un crescendo esplosivo. Williams congeda la partitura con una bellissima suite che accompagna l'epilogo e i titoli di coda, dove la "Raiders March", il tema dei bambini schiavi, il tema di Shorty e quello di Willie vengono esposti nella loro completezza secondo la tradizionale struttura dell'overture da concerto. Williams e l'orchestra possono finalmente tirare il fiato e insieme a loro anche noi spettatori/ascoltatori, gratificati da due ore di esagerato e frastornante divertimento... proprio come all'uscita da un coloratissimo luna park.



Le edizioni discografiche


Cover Indiana Jones e il tempio maledettoDi tutte le colonne sonore della serie di Indiana Jones, Il tempio maledetto è probabilmente quella in cui l'edizione discografica appare maggiormente sacrificata. Williams seleziona una quarantina di minuti dai circa 100 della partitura totale, che vengono pubblicati in LP da Polydor all'uscita del film nelle sale. I “numeri” più importanti sono tutti presenti ma la track list è solo una parziale rappresentazione della totale ricchezza della composizione. Come accadde per l'album originale de I predatori, Williams concepisce una scaletta molto gradevole che però priva l'ascoltatore della possibilità di poter godere di una più esaustiva completezza dell'opera. Siamo quindi ancora in attesa di una edizione completa di questa partitura, che tra tutte le opere williamsiane del cosiddetto “periodo d'oro” è quella che forse più necessita di un trattamento discografico del genere.

FINE SECONDA PARTE

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